venerdì 30 settembre 2016

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA

SEMPLICEMENTE AL SERVIZIO DEL VANGELO

[5]Gli apostoli dissero al Signore: [6]"Aumenta la nostra fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.
[7]Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? [8]Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? [9]Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? [10]Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".( Luca 17,5-10)

Il brano registra un cambiamento di scena: Gesù si rivolge con un messaggio diretto agli “apostoli” che lo interpellano forse perché l’insegnamento sulla cura dei più deboli e sul perdono reciproco era parso loro troppo duro ed esigente.
La richiesta degli apostoli (che qui sta per discepoli) è quindi ben fondata e motivata: se vuoi che prendiamo sul serio le tue proposte di vita, aiutaci ad aumentare la nostra fede. Gesù non perde l’occasione per richiamare i discepoli e le discepole all’essenziale. Non si tratta di costruire una personalità eroica, una volontà infrangibile, una virtù eccezionale. La strada è un’altra: occorre sempre di più affidarci a Dio, attingere forza e amore da Lui. Solo allora, con una immagine paradossale che appartiene alla retorica della esagerazione, una fede come un granello di senape basterebbe per sradicare e piantare nel mare il gelso che farebbe trasloco senza opporre resistenza al vostro ordine.. Matteo e Marco parlano addirittura di un monte…Che Luca parli di un sicomoro (una specie di gelso) invece di una montagna, come in Matteo e in Marco, non modifica in alcun modo la sostanza del messaggio: la fede si affida a Dio ed è Dio che apre il ventaglio di nuove possibilità nella vita dei discepoli.

L’arte di Gesù consiste proprio in questo ricondurci alla radice della nostra fede per aiutarci a trovare la fiducia davanti alle difficoltà e darci coraggio nel tentare strade nuove. Se la vita di fede è una casa, occorre avere fondamenta e non solo verniciare i muri. Una fede matura e adulta deve sempre di più curare le radici.
Dalla ripetizione alla creatività
Una vita di fede matura e adulta, come ho appena annotato, non può ridursi alla ripetizione del passato, ma avverte l'esigenza di inventare il presente.
Si tratta, proprio per prendere sul serio il tempo che viviamo e il messaggio evangelico come continuamente sorgivo di vita e di liberazione, di avere il coraggio di aprire sentieri nuovi, percorsi in cui le persone più emarginate possano avvertire la gioiosa compagnia di Dio.
Se i credenti, per riprendere le metafore evangeliche "non sradicano nessun gelso" e non "trasportano nessuna montagna" dei pregiudizi e delle "certezze", se non aprono sentieri nuovi ed esperienze diverse, rendono insignificante ed estranea per gli uomini e le donne di oggi la loro fede.
Succede spesso, purtroppo, che chi si avvia su sentieri non ancora battuti, venga considerato una "testa calda", un eretico, un sovvertitore....Ne so qualcosa.... Le gerarchie vogliono montagne molto stabili e gelsi inamovibili, anche se sono aridi e secchi.
"Servi inutili".

La seconda parte del brano che leggiamo oggi è occupata dalla parabola del servo che torna dalla campagna. Essa è la eco, quasi il “quadro”, di ciò che avveniva nella società ai tempi di Gesù. Essa non costituisce l’approvazione di Gesù di quel genere di relazione tra padrone e servi.
Ovviamente la parabola è costruita sul rapporto padrone- servo, non certo per approvare questa situazione, ma  per rispettare la  cultura del tempo, oggi fortunatamente da noi inaccettabile.
La “punta” del messaggio però  sta nel fatto che quel contadino, dentro il suo contesto culturale, non mena  vanto ed è consapevole di compiere soltanto il suo dovere, quello che gli compete.
Sarebbe inconcepibile che il padrone, dentro quella cultura,  si mettesse a servire il contadino….
Luca con la parabola, mediante questo spunto paradossale, polemizza e bacchetta, avendo davanti a sé la comunità del suo tempo, quei fratelli che cominciavano ad alzare la cresta, a pretendere posti e ricompense per il loro impegno. Non era ancora nata l’idea della “carriera ecclesiastica,” ovviamente, ma il cuore degli uomini e delle donne è sempre fin troppo accogliente verso i fumi dell’orgoglio, la voglia di supremazia o di privilegi o lo spirito di casta.
Essere servitori “buoni a nulla” è una bella mazzata anche per ciascuno e ciascuna di noi.
Non significa affatto degradarci ad esseri miserevoli, ma aiutarci a situarci nella dimensione creaturale e a contrastare le nostre umane voglie di prevalenza. Si tratta di una lezione che conserva intatta tutta la sua validità anche oggi a tutti i livelli della società e delle chiese.
Quando troppo si usa la parola servi e servizio, bisogna alzare il livello di guardia. Sovente al vertice di una carriera ecclesiastica ti trovi “il servo dei servi di Dio” e la realtà contraddice vistosamente le parole di stridente retorica.

O Dio
aiutaci a rimanere semplicemente operai della vigna, con umiltà e disponibilità.
Aiutaci a non porci né sopra né sotto i nostri fratelli e le nostre sorelle, a non cercare di “piazzarci” per farci un nome, una carriera, una fortuna, ma a restare tutta la vita operai a servizio  del Tuo regno, figli e figlie felici di lavorare per un mondo più giusto ed una comunità più povera e solidale. E ancora: liberaci dai nostri deliri di onnipotenza, dall’illusione di essere necessari, indispensabili, insostituibili e nello stesso tempo dall’angoscia dell’impotenza per vivere ogni giorno sicuri del Tuo amore e del Tuo abbraccio.