sabato 29 ottobre 2016

IL SEGRETO DELL'INFELICITÀ GIAPPONESE

TOKYO. Mio figlio ha 15 anni e frequenta un prestigioso liceo di Tokyo. Si alza alle 7, indossa l'austera divisa ispirata a quella degli ufficiali prussiani, arriva a scuola in metropolitana alle 8.15, alle 12.00 pranza con l'o-bento, spartano pasto portato da casa, torna verso le 17.30, fa una parte dei compiti, cena in fretta, alle 19.30 va in una seconda scuola, chiamata juku, dove si approfondiscono le materie insegnate nella prima scuola, rientra verso le 22.30, finisce i compiti del liceo e a mezzanotte  suonata va a letto. Tutti i giorni. Un fanatico secchione? No: un normale studente liceale giapponese che si prepara ad entrare nell'università "giusta" per avere un ruolo dirigenziale garantito nella opulenta società del suo Paese.
Tenendo presente questo profilo, non sorprende il dato che il Giappone sia il Paese con il più alto numero di studenti suicidi al mondo. Ogni giorno tre adolescenti non ce la fanno a sopportare il carico della loro esistenza tormentata da feroce competitività e terrificante bullismo e rinunciano alla vita. Fanno parte degli oltre 30 mila suicidi che si registrano ogni anno nel Paese del sol levante.
Questa strage quotidiana avviene in un Paese che ha tutto: pace da oltre 70 anni, stabile democrazia, benessere materiale, servizi sociali di straordinaria efficienza da tutti invidiati, unanime prestigio nel mondo, tassi di criminalità minimi, longevità da record. Perché dunque i giapponesi sono così irrimediabilmente infelici?
Una possibile risposta l'ha data una giovane donna sopravvissuta al proprio tentativo di suicidio. La 26nne Shinohara Eiji ha raccontato il suo dramma iniziato alle scuole medie superiori dove era pesantemente irrisa da compagni di classe maschi e femmine per il suo sovrappeso, nell'indifferenza degli insegnanti. L'umiliazione continua la portò alla decisione di rinunciare alla vita, e si recise le vene dei polsi. Fu tempestivamente ricoverata e salvata. Al ritorno dall'ospedale fu accolta dal padre con un lungo abbraccio. «Era la prima volta in tutta la mia vita che ricevevo un abbraccio da mio padre» ha raccontato. «Non ci siamo detti una parola, ma in quel momento, tra le sue braccia, ho capito che la vita era bella e degna di essere vissuta».
Forse è l'amore l'ingrediente che manca nell'aspro cocktail esistenziale dei giapponesi, Lo dimostrerebbe la valanga di divorzi: uno ogni due minuti e pochi secondi; l'astinenza dalla vita sessuale: oltre un terzo delle coppie sposate smette di avere rapporti sessuali dopo la nascita del primo (ed unico) figlio; la riluttanza a impegnarsi sentimentalmente per timore di finire intrappolati in un matrimonio: gli impegni della vita professionale e quelli della vita matrimoniale sono considerati inconciliabili; lo sfogo delle pulsioni sessuali attraverso la pornografia. Tutti aspetti di un unico problema: la mancanza di amore.
Compassione e perdono sono sentimenti poco praticati. Chi sbaglia paga. Le promesse di non ripetere l'errore non vengono prese in considerazione. La pena è dura e certa. Anche quella di morte, che viene amministrata in modo particolarmente crudele: il condannato viene rinchiuso nel braccio della morte senza che sia comunicato né a lui, né ai suoi famigliari quando salirà sul patibolo. Può restare nella sua cella anche molti anni. Poi il suo ultimo giorno verrà: il ministro di giustizia firmerà il documento che autorizza l'esecuzione mediante impiccagione e il condannato varcherà la soglia della sua cella per l'ultima volta. La famiglia lo saprà solo quando riceverà l'avviso di andare a ritirare un pacco all'ufficio postale con le ceneri del condannato, cremato a spese dello Stato.
È vero che quasi il cento per cento dei laureandi discute la tesi avendo in tasca una o più proposte di impiego a tempo indeterminate, ma è anche vero che la competitività nel campo del lavoro è feroce. Ferie non godute per paura di ritrovarsi demansionati al rientro, le ore di straordinario che non si contano (e non se ne chiede il pagamento: sarebbe uno sgarbo verso l'azienda) e una totale identificazione del dipendente con la ditta sono tutte concause di un dei più impressionanti aspetti della vita sociale giapponese: il karoshi, o morte per eccesso di lavoro. Sono circa 10 mila casi all'anno di operai e manager a cui scoppiano letteralmente il cuore o il cervello, schiacciati da disumani turni di 18 ore giornaliere di lavoro per settimane e mesi consecutivi.
Il Giappone ha due religioni ufficiali: il buddismo e lo shintoismo. Il primo predica la ricerca dell'illuminazione divina dentro l'uomo; il secondo, al contrario, cerca dio ovunque nel mondo materiale, venerando circa 8 milioni di deità. Ma neanche la religione sembra poter rasserenare l'animo giapponese. I preti sono "usati" per le cerimonie tradizionali (matrimoni, funerali ecc.), ma il Giappone rimane un Paese profondamente laico e impermeabile a discorsi consolatori di origine metafisica. Forse l'unico sollievo alla malattia esistenziale dei giapponesi è la dottrina della reincarnazione professata dal buddismo, che promette il raggiungimento del nirvana (eterna beatitudine celeste).
Il diritto alla ricerca della felicità è sancito dalla Costituzione chiaramente concepita sulla falsariga di quella americana. Una Costituzione pacifista che vieta al Giappone il ricorso alla guerra. Ma il premier Abe vuole rileggerla in chiave bellicista ed esige un esercito regolare, autorizzato ad intervenire con ogni genere di armamento, anche lontano dal suolo patrio, ovunque gli interessi del Giappone e dei suoi alleati siano minacciati da Paesi ostili: leggi Cina e Corea del Nord.
Non è facile per un popolo essere felice sapendo che il suo governo considera possibile un attacco armato da parte della gigantesca Cina o dell'imprevedibile Corea del Nord. E non aiuta a far salire il suo tasso di felicità la decisione governativa di pigiare a tavoletta l'acceleratore sullo sviluppo dell'energia nucleare senza tenere conto della dura lezione del disastro di Fukushima.
La fame di affetto dei giapponesi la si intuisce anche dal dilagare dei cafè dove si può gustare un buon cappuccino in compagnia di un gatto, un cane, un gufo. Poi si torna a casa con l'animo ingentilito, ma non è raro che all'ingresso della metropolitana si veda lampeggiare la scritta ginshinjico (incidente con persona): è la formula per indicare il suicidio di una persona che è saltata tra i binari al passaggio di un convoglio.
Che i giapponesi non siano felici viene confermato anche dall'Associazione nazionale psichiatri e neurologi (Jspn) secondo cui tra il 30 e il 40 per cento dei pazienti ricoverati in ospedale soffre di disordini psichiatrici.
Ulpiano riteneva che per avere una società felice bastasse "dare cuique suum" (dare a ciascuno la sua giusta parte), ma l'infelicità che pervade un Paese di lodata giustizia sociale come il Giappone dimostrerebbe che c'è qualcosa di essenziale per la felicità terrena che la giustizia sociale non può garantire: l'amore. Lo capirai, studiosissimo figlio mio?
Silvio Piersanti

(Il Venerdì, 21 ottobre)