martedì 15 novembre 2016

Dai giudici l'ultimo colpo a un patriarcato fuori del tempo

Cade l'ultimo fortino legale del patriarcato: la Corte costituzionale ha sancito che privilegiare il cognome del padre su quello della madre, il riconoscimento del figlio da parte del padre su quello della madre, è incostituzionale, perché contro il principio di uguaglianza tra uomini e donne, tra madri e padri, retaggio di una visione superata, appunto patriarcale, della famiglia e della discendenza, per cui la continuità tra le generazioni segue solo la linea maschile. Quasi che le donne fossero solo di passaggio nella famiglia, mai totalmente appartenenti, perché come figlie sono destinate a fare figli, a garantire continuità, ad un'altra famiglia, non alla propria. Ma proprio per questo, in quella in cui entrano possono portare solo la propria capacità riproduttiva.
La pretesa patrilineare era già indebolita nei comportamenti e nei sentimenti, là dove la continuità di un cognome era ed è appunto solo questo, senza essere più radicata nell'idea del primato della discendenza. Ma rimaneva tenace la difesa di un privilegio, di una superiorità simbolica del cognome paterno, anche quando la singola coppia desiderava diversamente. Anche la legge approvata dalla Camera dei deputati nel 2014 e poi dimenticata al Senato rimane ambigua su questo punto, là dove mantiene il privilegio del cognome paterno nel caso non vi sia una esplicita richiesta diversa da parte dei genitori. Logica e principio di uguaglianza vorrebbero che la soluzione di default fosse quella del doppio cognome, che riconosce anche simbolicamente la continuità e il legame con entrambi i genitori.
In ogni caso, la sentenza della Corte sembrerebbe non dare adito ad equivoci e a ulteriori tentennamenti da parte del Parlamento, anche se bisognerà leggere il dispositivo. Già da oggi chi volesse dare a un figlio/a anche, o solo, il cognome della madre, non dovrà più giustificarsi e attendere che il proprio caso sia valutato più o meno discrezionalmente, o, se non coniugato, rimandare il riconoscimento da parte del padre. Non deve neppure aspettare che il Senato si decida a tirare fuori dal cassetto la legge che attende di essere discussa da ormai due anni. Basta che faccia valere la legittimità costituzionale della propria richiesta e viceversa l'illegittimità di procedure che vi si oppongono.
Se poi si vorrà fare anche una legge per sostituire quella dichiarata incostituzionale, bisognerà stare bene attenti a non reintrodurre dalla finestra ciò che la Corte costituzionale ha definitivamente fatto uscire dalla porta.
Chiara Saraceno

(la Repubblica 9 novembre)