martedì 7 marzo 2017

UNO STRUMENTO UTILE PER RICORDARE

Corso Biblico , Torino 24.02.2017
Deuteronomio
(Appunti presi dalla conferenza di Franco Barbero).
Alla fine del secondo discorso, Mosè rinnova l'invito al popolo di obbedire alla voce del Signore (27,9) e a mettere in pratica i suoi comandi e le sue leggi, accogliendo così l'invito di Dio ad essere un popolo benedetto da Dio e felice. A questo invito seguono una serie di maledizioni, che occupano il cap. 27 dal v. 15 al 26, dove vengono lanciate in conseguenza di specifici ipotesi di trasgressione, ed il cap- 28 dal v. 15 fino al 68, dove si prevede una serie terribile di conseguenze disastrose nel caso di disobbedienza ai comandi del Signore. Le maledizioni sono inframmezzate dalle benedizioni (cap. 28 dal v. 1 al 14), che invece preannunciano le conseguenze benefiche dell'osservanza delle leggi del Signore.
Le maledizioni sono molto più lunghe delle benedizioni. In proposito si possono fare due osservazioni. La prima di carattere storico: i verbi di esortazione sono al futuro, ma in realtà tutte le trasgressioni previste sono già avvenute ed è evidente la consapevolezza di chi scrive che Israele è un popolo disobbediente; la redazione del testo risale al post esilio babilonese, dopo la deportazione a Babilonia ed il rientro in Israele, mentre i fatti raccontati (la fine della peregrinazione del popolo ebreo nel deserto e l'imminente ingresso nella terra promessa) risalgono ad un'epoca di molto anteriore. Quindi si tratta di una presa di coscienza delle trasgressioni e dei tradimenti del popolo, che vengono messi in bocca a Mosè, ma che erano sotto gli occhi dello scrivente. Il Deuteronomio è un libro coraggioso, che mette in evidenza le varie inadempienze, non le nasconde, né le dimentica e questo spiega anche la durezza dei toni usati.
In secondo luogo va fatta una osservazione sul carattere esortativo di questi testi:
la durezza delle espressioni con le quali si minacciano sventure di ogni genere come conseguenza della disobbedienza a Dio è funzionale all'educazione del popolo: se si trasgredisce non si sa dove si va a finire e ne va della stessa sopravvivenza del popolo. La previsione delle maledizioni non è altro che l'osservazione di ciò che è già avvenuto, con una accentuazione di toni a fini di ammonimento. E' sottesa una concezione di do ut des, propria dei trattati: se è vero che Dio è gratuito ed ha l'iniziativa nell' azione di salvezza, tuttavia ciò comporta la responsabilità dell'uomo, che deve impegnarsi nelle vicende della vita di ogni giorno, e se trasgredisce ne va della vita e della sopravvivenza. Sullo sfondo resta la memoria dell'esperienza della schiavitù di Egitto: “Farà tornare su di te le infermità dell'Egitto, delle quali tu avevi paura, e si attaccheranno a te” (28, 59) e “il Signore vi farà tornare in Egitto su navi, per una via della quale ti ho detto: “non dovrete più rivederla!”” (28, 68). Ma questo riferimento è scritto quando già Israele aveva subito la deportazione a Babilonia ed in parte era rientrato nel paese di origine. La situazione era precaria: la monarchia era fallita, il popolo era caduto nella idolatria, la salvezza viene intesa come una liberazione che è possibile solo se il popolo è capace di esercitare la propria libertà attraverso l'assunzione delle proprie responsabilità; se ciò non avviene il popolo ricadrà nella schiavitù e si procurerà le conseguenze annunciate nelle maledizioni: una sorta di automaledizione; l'esercizio della libertà è difficile senza la forza di Dio; anche Gesù vede la libertà come una liberazione ed un esercizio di responsabilità.
Si può osservare che questo modo di vedere è improntato ad un'etica individuale; vi sono altri contesti nella Bibbia (ad es. alcuni profeti) in cui vi è presente una denuncia politica, soprattutto di critica della monarchia; tuttavia è anche vero che la dimensione etica è importante, allora come oggi, purché non venga esasperata e non cada nel moralismo.
Il capitolo 29 inizia con un nuovo discorso di Mosè da cui traspare il suo tormento di fronte ad un popolo che continua ad essere infedele; Von Rad dice che Mosè è un personaggio isolato tra i due fuochi: da un lato Dio che rinnova il suo appello alla fedeltà dell'alleanza, dall' altro il popolo ostile. La sua delusione è palese: “fino a oggi il Signore non vi ha dato una mente per comprendere né occhi per vedere, né orecchie per udire” (29, 3). Il suo dolore è mitigato dalla speranza che domani possa essere migliore, poiché l'alleanza è per oggi ma è per tutte le generazioni e Dio è fedele alle sue promesse: “Non soltanto con voi io stabilisco questa alleanza e questo giuramento imprecatorio, ma con chi oggi sta qui con noi davanti al Signore Dio nostro, e con chi non è oggi qui con noi” (29, 13 – 14). Quindi egli rinnova ancora una volta l'esortazione ad essere fedeli, evitando qualsiasi ipocrisia e ogni doppio gioco: “Se qualcuno, udendo le parole di questo giuramento imprecatorio, si lusinga in cuor suo dicendo: “avrò benessere anche se mi regolerò secondo l'ostinazione del mio cuore”, pensando che il terreno irrigato faccia sparire quello arido, il Signore non consentirà a perdonarlo” (29, 18 – 19). Anche allora c'erano i “finti credenti” che vivevano nel compromesso, bollati nel discorso della Montagna (Mt, 7, 24: “Nessuno può servire due padroni...”). Le conseguenze negative di tale atteggiamento sono esposte dal v. 21 al v. 28, il quale ultimo è difficile da interpretare: “Le cose oscure appartengono al Signore, nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli, per sempre, affinché pratichiamo tutte le parole di questa legge”. Certo qui si vuol ribadire che le prescrizioni del patto sono chiare e comprensibili e non vi è giustificazione a non osservarle integralmente.
Nel cap. 30 emerge un Dio “prigioniero del suo amore”. Nonostante i tradimenti del popolo e le minacce per le conseguenze che ne derivano, il desiderio e la gioia di Dio è che l'uomo si converta. Traspare l'eco dell'esperienza della dispersione del popolo in terra straniera e del rientro da Babilonia: “se ti convertirai al Signore tuo Dio, e obbedirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il cuore e con tutta l'anima, secondo quanto oggi ti comando, allora il Signore tuo Dio, cambierà la tua sorte, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo da tutti i popoli in mezzo ai quali il Signore, tuo Dio, ti aveva disperso” (30, 2 – 3). Il problema è che la conversione deve essere totale, “con tutto il cuore” e non a metà. Il cammino verso la libertà è una questione di amore. Gesù riprenderà questi temi.
Il finale del discorso di Mosè (30, 15 – 20) è un ultimo richiamo pieno di pathos alla scelta che l'uomo deve fare tra la vita e la morte: se accetta il dono di Dio della legge e della terra avrà la vita, altrimenti perirà. La scelta va fatta senza indugio, più volte è ripetuta la parola “oggi”. E' una scelta di amore (v.20) senza compromessi ed ipocrisie. In questo appello la maledizione si pone come un baluardo, un avvertimento di ciò che l'uomo può perdere: ne va della vita. Ma bisogna stare attenti a non attribuire a Dio le responsabilità che appartengono all'uomo, chiamando in causa Dio di fronte a sciagure che sono causate dall'uomo. E' funzionale al potere usare il nome di Dio per giustificare leggi oppressive e punizioni ingiuste.
Guido Allice