martedì 2 maggio 2017

UN AIUTO PER RICORDARE

Corso Biblico. Torino, 21.04.2017.
Giosuè.

(Appunti presi durante la conferenza di Franco Barbero).
Nella seconda parte del libro di Giosuè, dal capitolo 13 fino a tutto il capitolo 22, l'argomento è la distribuzione della terra tra le varie tribù di Israele. Il messaggio è chiaro: Dio ha mantenuto la sua promessa, la terra è stata raggiunta ed è per tutti. Sta al popolo di custodirla e di goderne i frutti , la terra tanto desiderata e idealizzata da chi la sognava in esilio, la terra che stilla latte e miele. Ora si tratta di ripartirla in modo equo, ma c'è sempre chi ne vuole approfittare e se la vuole accaparrare per sé. Ogni tribù deve avere la propria parte (come ribadiscono i versetti 8, 15, 24 e 31 del cap. 13) e non lasciarsi corrompere dalla dinamica del possesso che considera la terra non come un dono, ma come una proprietà definitiva, lasciarsi prendere dall'ingordigia ed entrare in conflitto con le altre tribù.
L'assegnazione delle terre alle tribù viene fatta mediante sorteggio per ordine del Signore (14, 2) per non commettere ingiustizie e creare privilegi; il sorteggio era considerato un modo per evitare deviazioni umane; si pensava che Dio guidasse la mano di chi sorteggiava.
Segue l'episodio di Caleb, che si ricollega a fatti narrati in Numeri, 14. Caleb fu tra gli esploratori che vennero mandati da Mosè per fare una ricognizione nella terra di Canaan. Essi tornarono e riferirono che la terra era ricca, ma abitata da giganti e perciò era troppo pericoloso avventurarvisi. Caleb invece fu tra quelli che sostennero che bisognava affrontare il pericolo e per questo il Signore promise il possesso della terra (Num 14, 24). Ora, dopo molti anni, Caleb ottiene da Giosuè la ricompensa promessa, Ebron ed il suo territorio. (Gio 14, 6 – 14). Nella vita, per essere liberi bisogna osare e non lasciarsi spaventare dagli ostacoli (i giganti).
Segue dal capitolo 15 a tutto il capitolo 19 la descrizione dettagliata delle assegnazioni delle terre alle singole tribù. Anche questa parte non è una narrazione storica, ma una elaborazione mitica, che contiene la memoria di alcuni dati storici. Il capitolo 20 tratta delle città rifugio, già previste nella legislazione di Mosè e menzionate in Esodo (cap. 21,13), in Numeri (cap.35) e nel Deuteronomio (cap. 4 e 19), dove gli accusati di gravi reati potevano rifugiarsi in attesa del giudizio, per evitare vendette private. Si tratta di una istituzione molto avanzata per quei tempi a tutela del colpevole, al fine di consentire un ponderato giudizio prima di decidere la punizione. E' notevole l'attenzione data alla persona del colpevole, che può avere ucciso “per inavvertenza” e senza aver odiato la vittima (20, 5) o per errore (20, 9). Non è sicuro che questa istituzione sia stata effettivamente praticata.
Il capitolo 21 tratta della tribù dei Leviti, cui erano affidati i compiti inerenti al culto del tempio e delle istituzioni collegate ad esso. Questa tribù non aveva in assegnazione un territorio, e vi era il problema del suo mantenimento, reso urgente al tempo della redazione del libro per la recente ricostruzione del tempio consentita dai Persiani; il testo narra che ai Leviti vennero date con sorteggio un certo numero di città (villaggi) con i relativi pascoli, ma la verità storica di questa soluzione non è provata; può darsi che, invece di una assegnazione diretta, sia stato stabilito un obbligo a carico di alcune città di provvedere al mantenimento dei Leviti.
All'inizio del capitolo 22 Giosuè procede all'assegnazione di territori ad alcune tribù ed alla loro benedizione; il discorso è magniloquente e tace delle numerose trasgressioni commesse dal popolo.
Segue l'episodio della costruzione di un altare da parte di alcune tribù in riva al fiume Giordano, un cedimento all'idolatria che ricorda trasgressioni simili menzionate da Numeri, cap. 23, e che viene giustificato dagli esecutori dando all'altare un valore di memoriale, con esclusione di qualsiasi destinazione a culto sacrificale. L'insegnamento che se ne ricava è che tutto ciò che è sacro può diventare idolatrico ed occorre fare la massima attenzione, nell'utilizzare simboli religiosi, a non farlo in modo improprio, ad esempio imprigionando Dio in formule.
Il capitolo 24 contiene l'ultimo discorso di Giosuè, di tono aulico, dinanzi a tutta la grande adunata del popolo, in cui si fa con linguaggio epico il riassunto di tutta la storia di Israele. La preoccupazione di Giosuè è la fedeltà di Israele, un popolo la cui storia è costellata di infedeltà, come si legge nel Deuteronomio. Alle esortazioni di Giosuè il popolo risponde con una serie di promesse di fedeltà (24, 14 – 24). Al di sotto di queste affermazioni roboanti vi è tuttavia un pessimismo di fondo che è ben espresso nella frase conclusiva del successivo libro biblico dei Giudici: “In quel tempo non c'era un re in Israele; ognuno faceva come gli sembrava bene” (Giud. 21, 25) frase che prelude all'avvento della monarchia in Israele. Va sottolineato in questi testi il coraggio di riconoscere e di non nascondere gli errori; d'altro canto la forte esigenza di preservare l'identità del popolo si esprime con un linguaggio a volte crudo che rivela una visione esclusivista del messaggio di salvezza. Va riconosciuto però, che non solo nell'ebraismo, ma in ogni religione c'è un pericolo di derive esclusiviste e per evitare questo pericolo c'è bisogno di una conversione continua.

Guido Allice