venerdì 30 giugno 2017
ATTENZIONE
Nei mesi di luglio e agosto la celebrazione eucaristica si svolge il venerdì alle ore 21 in Via città di Gap,13.
La prossima eucarestia sarà il 7 luglio.
Svolgono il servizio della predicazione Fiorentina e Franco
CARTA DI BOLOGNA PER L'AMBIENTE: DA BEPPE MANNI
1) RICICLO DEI RIFIUTI
L’economia circolare, in particolare, può consentire alle Città metropolitane di slegare lo sviluppo dal consumo delle risorse naturali esauribili ed evitare la distruzione di valore insita nel modello economico attuale. E proprio da qui parte la Carta di Bologna per l’Ambiente: le città metropolitane si impegnano infatti a raggiungere gli obiettivi europei più ambiziosi: riciclo 70% e discarica max 5% dei rifiuti al 2030, riducendo la produzione dei rifiuti al di sotto della media europea e portando la raccolta differenziata ad almeno il 70% nel 2025 e all’80% nel 2030 (47,5% nel 2015 a livello nazionale).
2) DIFESA DEL SUOLO
In relazione alla tutela del territorio, le città si impegnano a ridurre del 20% il proprio consumo netto di suolo al 2020 (dai 2 attuali a 1,6 mq/ab l’anno di media nazionale) e centrare le politiche urbanistiche sulla rigenerazione urbana, prevedendo sviluppo urbanistico solo in presenza di trasporto pubblico sostenibile e dei principali servizi al cittadino sia pubblici che privati.
L’obiettivo europeo è l’azzeramento del consumo netto di suolo al 2050 e l’Agenda Onu richiede lo sforzo di anticiparlo al 2030.
3) PREVENZIONE DISASTRI
I sindaci si impegnano inoltre ad aggiornare il Nuovo Patto dei Sindaci per il Clima e l’energia (siglato nel 2015) per prevenire il rischio di disastri generati dai cambiamenti climatici. Obiettivo è la redazione di piani integrati con gli strumenti di pianificazione nazionale per poter essere operativi entro il 2020. In questo ambito il quadro di riferimento nazionale è l’integrazione tra le iniziative Italia Sicura, Casa Italia e la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del Ministero dell’Ambiente, superando l’attuale separazione con il Sendai framework for disaster risk reduction 2015-2030 del Dipartimento per la Protezione civile. Le parole chiave sono: rigenerazione urbana, attenzione alle periferie, riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente e sicurezza sismica e idrogeologica.
4) TRANSIZIONE ENERGETICA
Sul fronte della transizione energetica e della qualità dell’aria le città italiane mirano a risultati ancora più ambiziosi rispetto a quanto imposto dalle direttive europee: per l’energia raggiungere nel 2025 (e non nel 2030) la riduzione delle emissioni di gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990, migliorando l’efficienza energetica del 30% e producendo il 27% dell’energia da fonti rinnovabili. In tema di qualità dell’aria è guerra dichiarata alle polveri sottili: si punta entro il 2025 al rispetto del limite massimo stabilito dall’Oms per il particolato sottile (10 μ/mc, più restrittivo di quello europeo: 25 μ/mc al 2015; 20 μ/mc al 2020). Per farlo servirà mettere a sistema i Piani regionali e il Piano congiunto Governo – Regioni della Pianura Padana del 2013, per valutare l’efficacia delle azioni adottate nei diversi ambiti (trasporti, industria, agricoltura, energia).
5) QUALITÀ DELL'ARIA
Serviranno inoltre accordi di programma fra i diversi enti territoriali per coordinare le politiche necessarie al contrasto delle emissioni in atmosfera, con misure di livello locale (quali blocchi del traffico, ZTL, congestion charges) ma anche strutturali (es. incentivi rinnovo impianti riscaldamento, per la mobilità sostenibile). Necessario anche il rafforzamento dei sistemi di monitoraggio locale con strumenti di analisi dei dati per la previsione di picchi di inquinamento e la programmazione anticipata degli interventi di contrasto (blocchi del traffico).
6) RISPARMIO DELL'ACQUA
Acque: parola d’ordine sprecare meno. L’obiettivo per le Città metropolitane in questo ambito è ridurre entro la soglia fisiologica del 10 – 20% le perdite delle reti di distribuzione idrica entro il 2030 (2/3 terzi in meno rispetto ad oggi) e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici, portandoli allo stato di “buono” per tutte le acque entro il 2025.
7) PIÙ VERDE URBANO
Città più sostenibili significa anche città più verdi. L’obiettivo in questo senso è raddoppiare entro il 2030 la superficie media di verde urbano per abitante, arrivando a 30 mq per abitante (2/3 in più rispetto al 2014). Per farlo bisogna riconoscere il verde urbano nella sua totalità (pubblico, privato, urbano, periurbano), pianificare nuove categorie di aree e infrastrutture verdi adatte a fronteggiare il riscaldamento climatico, incentivare l’inserimento della componente vegetale nelle ristrutturazioni edilizie e nelle nuove edificazioni.
8) MOBILITÀ SOSTENIBILE
Infine, il capitolo mobilità sostenibile: le città si impegnano a raggiungere almeno il 50% del riparto modale tra auto e moto e le altre forme di mobilità entro il 2020. Anche su questo tema imprescindibile è il lavoro di squadra con il Governo nazionale che punti ad incentivare i sistemi di trasporto intelligente, la mobilità elettrica, la mobilità ciclabile e pedonale, lavori a misure infrastrutturali per la diffusione delle ricariche per le auto elettriche e a idrogeno.
"DA ALLARGA LA TUA TENDA" - "SIAMO LEGATI GLI UNI AGLI ALTRI" PREGHIERA
dacci questa consapevolezza.
Siamo chiamati a condividere dolore e speranza, di chi è nell'agio e in buona salute,
di chi è ammalato o ha perso tutto.
Insegnaci a entrare in solidarietà con chi fugge dalle guerre e dalla morte
e cerca dignità e vita
in questo nostro vecchio ed egoista continente. Rendici solidali nella speranza, nell'umiltà, nella concretezza
non soltanto nelle affermazioni di principio.
Te lo chiediamo nel nome di Gesù,
Colui che ha saputo essere solidale fino in fondo con l'essere umano abbandonato e disprezzato.
Amen
Gianni Genre, 11 marzo 2016
LA NOTIZIA che papa Francesco sta facendo elaborare una norma sulla condanna dei mafiosi e dei corrotti e sulla loro scomunica è rilevantissima per tre motivi. Perché ricorre alla norma, perché condanna categorie che vede essere parte della Chiesa e per lo strumento della scomunica che adotta, con implicazioni universali e nazionali. La norma, dunque. Francesco ha una predilezione tenace, talvolta ostinata, per le riforme a norme invariate. Ha trasformato il sinodo dei vescovi in un quasi-concilio, senza una legge; ha impiantato un organo di collegialità effettiva, atteso da mezzo secolo, con un chirografo di tre righe; ha rimesso al suo posto una paginetta del catechismo sulla omosessualità con una domanda retorica fatta ad alta quota; ha risolto decenni di dispute sulla ammissione dei divorziati risposati alla eucarestia con una nota di esortazione apostolica e una espressione ("in certi casi") che ricorre centinaia di volte nel catechismo e nel codice di diritto canonico. Che si faccia una legge non vuol dire che si sia arreso a forme non sue: ma il contrario. Ha cioè individuato in questo tema una questione che ha a che fare non con la "morale sociale", ma con la dignità dei poveri, che delle mafie e delle corruzioni sono le vittime e con quella teologia della liberazione dalla mafia senza la quale la Chiesa rischia di predicare a vuoto.
La condanna, poi. Francesco sa bene che il vissuto religioso è profondamente intrecciato ai fenomeni mafiosi: sa che i boss si mostrano pii e sa che lo fanno perché hanno avuto spazio per farlo. Come quando nel secondo dopoguerra italiano l'anticomunismo è diventato la giustificazione delle pratiche clientelari ed elettorali più ciniche, impersonate dall'andreottismo come filosofia politica. Una causa superiore ha giustificato per decenni ciò che in decenni recenti si è ritenuto fosse espiato dal martirio dei credenti che hanno lottato contro la mafia o da una invettiva papale. Questo humus autoassolutorio è operante (lo sa la commissione su mafie e religiosità istituita dal ministro Orlando in vista degli stati generali sulla lotta alla criminalità) e va tagliato: con la nettezza con cui Francesco, visitando tre anni fa esatti la diocesi di monsignor Galantino, scandì: «I mafiosi sono scomunicati».
Infine lo strumento della scomunica. Che colpisce l'immaginario secolarizzato come pena capitale, ma che in realtà nell'ordinamento canonico è pena medicinale, che vuole aprire una via di conversione. La Chiesa non può considerare eguali i portatori di connivenze o affari e la manovalanza di delinquenti e assassini che hanno facce segnate da sfruttamenti non meno tragici di quelli che colpiscono le loro vittime. La scomunica ha quindi senso se è la prima riga di una teologia della liberazione dalla corruzione mafiosa che insegni alla Chiesa e allo Stato che il moralismo, la retorica e l'antipolitica non solo non bastano, ma che senza un orizzonte di redenzione (quello che nel linguaggio politico si chiama giustizia) possono diventare lubrificante del male.
Se il Papa insegna che il povero e il popolo non sono spettatori di una partita ad armi impari fra legalità e illegalità ma vittime, sveglia le sue comunità; ma forse sveglia anche una società troppo desiderosa e interessata ad assuefarsi a mali battibili.
Alberto Melloni
(la Repubblica 18 giugno)
CHE lo Ius soli atterrisca fascisti e leghisti non è cosa che possa stupire: fa parte della fisiologia politica. È l'astensione dei Cinquestelle, comunque giustificata dai loro capi, a lasciare senza parole, perché la lesione di un diritto individuale (tale è negare a chi nasce in Italia e studia in Italia il diritto di sentirsi italiano) dovrebbe interessare molto da vicino un movimento che sui diritti individuali fonda la sua stessa ragione di esistere. "Uno vale uno", ma non se le origini dei suoi genitori, il colore della sua pelle, la sua religione ne fanno uno straniero a vita: in quel caso, uno vale zero.
Ai Cinquestelle sono arrivati moltissimi voti da persone di sinistra deluse perché la sinistra non faceva più il suo mestiere. Per anni è stata quella la spiegazione corrente del successo grillino.
Evidentemente, però, il mestiere della sinistra rimane vacante, e comunque non alloggia tra i banchi dei grillini. Perfino lo slavato Pd, sullo Ius soli, si è comportato cento volte meglio: e non dal punto di vista della politica politicante. Dal punto di vista della libertà e dell'uguaglianza.
(la Repubblica 17 giugno)
Buio per le strade, afa soffocante nelle case, generatori spenti negli ospedali. Come se non bastasse la chiusura dei valichi, che dura ormai dal 2007, i quasi due milioni di palestinesi accalcati nella Striscia, sperimentano in questi giorni gli effetti nefasti della mancanza di energia elettrica, in una zona dove il barometro, d'estate, oscilla fra i 30 e i 40 gradi. L'iniziativa di uno gruppo di pacifisti israeliani, che dalla spiaggia della vicina Ashkelon hanno voluto dimostrare la loro solidarietà, lanciando 150 lampade cinesi «per illuminare il cielo di Gaza», ha fatto accorrere i fotoreporter. Ma per rischiarare la notte di Gaza ci vuole forse ben altro.
Ogni giorno che passa la crisi si aggrava. Ieri l'azienda energetica israeliana ha tagliato altri sei megawatt sulla linea che rifornisce il Nord e il Nord Ovest di Gaza, vale a dire le zone più redditizie per l'agricoltura. Il giorno prima, lunedì, lo stesso ente (l'IEC, Israel Electric Corporation) aveva ridotto l'erogazione di altri otto megawatt, stavolta destinati a Sud e Sud-Ovest della Striscia, vale a dire dove sorgono i campi profughi più affollati, come quello di Khan Yunis. Il che vuol dire che la popolazione di Gaza dovrà accontentarsi di 4 ore di elettricità al giorno.
E non è soltanto che, per risparmiare energia, i condizionatori vengono spenti e i ventilatori sono tenuti fermi. Si bloccano anche i motorini dell'agricoltura e le pompe dell'unico depuratore rimasto. Per non dire dei 13 ospedali di Gaza dove il funzionamento di interi reparti ad alto dispendio energetico - come la ginecologia o la dialisi o la chirurgia - è interamente dipendente dai generatori.
Ma il presidente eterno dell'Autorità Palestinese, Mahmud Abbas, dopo aver tentato invano l'ennesima "riconciliazione" con Hamas, ha deciso che non avrebbe più pagato il conto da 11 milioni di dollari che Israele ogni mese gli presenta, non volendo trattare con un movimento che considera alla stessa stregua dello Stato Islamico. Una decisione quella di Abbas per cercare di ammorbidire i governanti di Gaza.
Anche l'Egitto, non meno coinvolto dello Stato ebraico nell'assedio di Gaza, tenendo chiuso, salvo aprirlo col contagocce per qualche caso umanitario, il fondamentale valico di Rafah, ha visto nella crisi energetica della Striscia uno strumento di pressione nei confronti di Hamas. Il feldmaresciallo e presidente egiziano, Al Sisi, diffida del movimento islamico palestinese che accusa di appoggiare gli jihadisti del Sinai nella loro sanguinosa lotta contro il regime. E siccome ha capito che Hamas è in difficoltà, anche a causa della campagna di boicottaggio lanciata dall'Arabia Saudita e dai suoi Alleati, compreso l'Egitto, contro il Qatar, munifico sostenitore del governo islamista della Striscia, al Sisi ha affidato al capo dei servizi segreti egiziani di avviare una sorta di negoziato con Hamas per ottenere dai governanti di Gaza determinate misure di sicurezza, come la consegna di 17 militanti del Sinai considerati pericolosi, in cambio di una maggiore elasticità nella gestione del valico di Rafah. Nel gioco rientrerebbe anche il dirigente palestinese ed ex boss di Gaza ai tempi di Arafat, Mohammed Dahalan con il ruolo di gestore dell'eventuale accordo, proprio quel Dahalan che un alto dirigente di Hamas, Mahmud Zahar, definì a suo tempo «un ladro di polli».
Alberto Stabile
(la Repubblica 21 giugno)
Pmt, slitta di tre mesi l'udienza per il fallimento
L'udienza fissata il 7 luglio per esaminare il passivo della Pmt di Pinerolo, dichiarata fallita a gennaio, è stata spostata al 5 ottobre. Tutta colpa dei troppi fallimenti che intasano la macchina della giustizia. Tre mesi che, se per giudici e avvocati abituati a questi tempi e un periodo brevissimo, per una quarantina di ex dipendenti, che non sono stati riassunti dalla Papcel, significa aspettare ancora i soldi della liquidazione.
«Da gennaio tiriamo la cinghia - dice uno degli ex dipendenti Pmt, licenziati e senza stipendio - aspettavamo l'udienza di luglio per dare il via alle pratiche e ottenere la liquidazione. Ci sentiamo presi ancora una volta in giro».
I sindacati preoccupati
Cristina Maccari, della Fim Cisl, non nasconde i suoi timori: «Ormai le liquidazioni non arriveranno prima del prossimo anno. Verosimilmente il giudice, dopo l'udienza di ottobre per certificare lo stato passivo ed esaminare i crediti, si prenderà un mese per assumere dei provvedimenti e si arriva così a novembre. Solo in seguito i dipendenti potranno avviare le pratiche per richiedere il Tfr. Un problema che riguarda solo i lavoratori non assunti, perché per gli altri il rapporto lavorativo continua con la Papcel». Aggiunge Pino Lo Gioco della Fiom Cgil: «Da gennaio ad oggi questi ex dipendenti hanno ricevuto solo un assegno di 3 mila euro, consegnato dal curatore su autorizzazione del giudice, quando la Papcel, società della Repubblica Ceca ha versato gli 8 milioni per rilevare l'azienda dal fallimento».
I numeri sono la fotografia di una crisi che si è abbattuta su diverse famiglie: a gennaio i dipendenti erano 180, poi una quarantina avevano trovato un nuovo posto di lavoro. Al termine di una lunga trattativa sindacale la Papcel aveva deciso di assumerne 86 lasciando fuori settori interi come la carpenteria. Adesso, anche se alcuni hanno trovato un lavoro seppur a termine, le organizzazioni sindacali, forti del fatto che qui c'è del personale con un'alta professionalità, puntano ad una strategia che vede lavorare gomito a gomito Comune e Regione nel tentativo di trovare una nuova ricollocazione a 40 lavoratori ancora disoccupati.
Antonio Giaimo
(La Stampa 22 giugno)
giovedì 29 giugno 2017
ATTENZIONE: 29 giugno alle ore 20,45
RICORDANDO UNA TESTIMONIANZA PREZIOSA
IL CORAGGIO DI GUARDARE LA REALTA' PER AGIRE
IL DIO ACCOMPAGNATORE VERSO UN NUOVO AMORE
ATTENTI
Charles Bukowski
IL CORAGGIO DI FARE UN PASSO INDIETRO
Lo esige, il bene del Paese, ma gli interessi personali o di gruppo prevalgono. Qui sta la radice malata di tanti guai.
Franco Barbero
La parola che amo di più
C'è una "parola" che trovo spesso nel mio cuore e ancora più spesso sulle mie labbra.
"Grazie" è la parola che amo di più, quella che esprime i sentimenti più profondi e sinceri che vivo ed esperimento nelle relazioni con Dio, con mia moglie, con i fratelli e le sorelle della comunità, con le persone che incontro. Per me dire "grazie" significa riconoscere ciò che ricevo, che la vita è un susseguirsi di "bene" ricevuto, di compagnia, di sostegno. Sento questo "grazie alla vita" e questo "grazie a Dio" ogni giorno, anche quando l'esistenza è attraversata dalla sofferenza mia, nostra, altrui.
"Grazie" è un sentimento che rende sapiente il nostro cuore e apre gli occhi alla speranza, alla fiducia.
Franco Barbero
ELLEKAPPA
DIFFICILE BILANCIO DI UN ANNO DI APPENDINO
AL MOMENTO SOLO PROVVISORIO, MOLTI SONO ANCORA IN OSPEDALE
COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICCA DI DOMENICA 1 LUGLIO
39 Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.41 Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.42 E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa".
Dal Vangelo di Matteo 10,37-42
Il Vangelo di oggi ci riporta, nel lungo capitolo dell'invio dei discepoli in missione, l'equipaggiamento con cui Gesù li manda nei villaggi.
IUS SOLI, LA POLITICA DIVISA E IL VALORE DELLA CITTADINANZA
Insoddisfatti di queste ragioni storiche, alcuni filosofi hanno cercato a partire dall' Ottocento di dare ragioni più spesse, e perfino naturali o congenite alle culture nazionali – gli Stati sono allora diventati etici, o perché resi essi stessi un valore primario (che veniva prima dei sudditi che contenevano) o perché al servizio di un valore ritenuto ancora più alto, la nazione. E da quel momento, da quando queste idee sono state propaganda elettorale, una divisione nuova è emersa nelle dispute ideali e politiche: fra posizioni che riprendevano le radici universalistiche, religiose o secolari, e posizioni nazionalistiche. Insomma, destra e sinistra, si sono da quel momento misurate anche in ragione della posizione di fronte alla priorità della persona o invece delle appartenenze nazionali. Storia antica e complessa, ma mai invecchiata, se è vero che ritorna puntualmente a galla quando ci si pone la questione di chi sono i nostri concittadini, e che cosa fa di un residente che paga le tasse e parla la nostra lingua, un cittadino italiano a tutti gli effetti.
L'Italia ha un rapporto a dir poco difficile e strabico con il "diventare" cittadini, visto che ha una legge (che porta il nome di un ex-fascista, Mirko Tremaglia) che riconosce il diritto di voto a italiani di razza, a figli di bisnonni italiani, anche se mai vissuti in Italia. Quanti sono gli elettori italiani sparsi per il mondo che a malapena sanno pronunciare parole italiane, eppure hanno il diritto di decidere sulle questioni pubbliche di chi vive, lavora e paga le tasse qui, in Italia? Sono tanti, e sono un problema serio per chi sostiene le ragioni dello Ius soli. Il diritto del suffragio che fa perno sul diritto del sangue è un problema. Si potrebbe almeno desiderare che con quella passione (a giudizio di chi scrive mal posta) con la quale si è difesa la causa del voto agli italiani all'estero, si difenda oggi la causa della cittadinanza riconosciuta a chi è nato nel nostro paese, da genitori non italiani (e con almeno uno dei due residente in Italia) e a chi, pur non essendo nato qui, ha frequentato la scuola in Italia per almeno 5 anni. Questa è una legge minima (moderata) e giusta.
Anche per una ragione sulla quale vale la pena riflettere un poco: che i popoli delle democrazie non sono come famiglie che gestiscono l'appartenenza secondo criteri affettivi, o semi-naturali, appellandosi magari a legami ancestrali, dei quali nessuno può con cognizione di causa parlare con certezza, dire dove finiscono, dove cominciano e in che cosa consistono. I popoli delle democrazie, quelle moderne soprattutto, sono composti di persone che sono straniere tra loro e che, proprio per questo, si danno leggi basate sul principio del rispetto e dell'eguaglianza di considerazione. Si riconoscono in tal modo come non appartenenti a nessun "ceppo" naturale, simil-famigliare (o familistico) – è questa la base universalistica per la quale abbiamo ragione di pensare che le democrazie siano governi buoni; imperfetti per tante ragioni, hanno dalla loro il fatto che ci rendono davvero difficile giustificare le esclusioni, anche quando proviamo a scomodare ragioni etiche o sentimentali. Questa difficoltà è quel che ci salva dall'essere tentati, in casi di crisi economica o di follia nazionalistica, di pensare che escludere sia giusto e buono; che essere parte del demos sia un privilegio che passa per ragioni non decidibili, come il colore della pelle o l'essere nato in una parte specifica di mondo, per caso.
Nadia Urbinati
(la Repubblica 17 giugno)
LA GUERRA È FINITA. HA VINTO La DROOGA
Ha raccontato l'ascesa dei narcos messicani. Ora, nel nuovo romanzo, accende i riflettori sui poliziotti antidroga di NewYork. Il titolo dice già molto: Corruzione. Lucido e spietato, Don Winslow è il cantore di un'America falciata da eroina e antidolorifici: 60 mila morti all'anno, più di tutti i caduti in Vietnam. Lo abbiamo intervistato. Dove, non si può dire: ha ricevuto minacce. «Ma non riuscirei mai a vivere sotto scorta come il mio amico Saviano».
Enrico Deaglio
(Il Venerdì 16 giugno)
Incombe l’impeachment, la piazza chiede elezioni dirette
Per 4 voti a 3, il Tribunal Superior Electoral non ha ritenuto valide le dichiarazioni dei pentiti dell'impresa Odebrecht nell'ambito dell'inchiesta Lava Jato (la "mani pulite" brasiliana). Incombe, però, l'impeachment, messo in moto dopo le rivelazioni di O Globo. Il colosso mediatico ha diffuso una registrazione in cui Temer dice a un imprenditore delle carni che occorre continuare a pagare il silenzio dell'ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, vero regista dell'impeachment a Rousseff.
Dal 2016, Cunha sta scontando una condanna a 15 anni per vari episodi di corruzione legati all'impresa petrolifera di Stato, Petrobras e ha minacciato subito di far tremare il sistema politico che vede una gran quantità di deputati e senatori inquisiti per reati analoghi ai suoi. L'avvocato di Cunha ha smentito che Temer abbia pagato il suo silenzio. Secondo i media brasiliani, il procuratore generale Rodrigo Janot, incaricato dell'inchiesta Lava Jato, sta però per presentare un'altra importante denuncia contro Temer.
Intanto, le centrali sindacali, il Partito dei lavoratori e i movimenti popolari riuniti nel Frente Brasil Popular (un'alleanza che ha formalizzato la propria unità d'intenti in una recente assemblea) preparano lo sciopero generale. Chiedono elezioni dirette e anticipate che portino a un cambio di indirizzo strutturale nel paese. Anche il Partito dei lavoratori (Pt), che ha rinnovato di recente i suoi organi dirigenti, vuole una modifica della Costituzione che consenta elezioni dirette e anticipate.
Si susseguono le manifestazioni al grido di: Fora Temer. Sono scese in piazza le donne, che rappresentano il 54% della popolazione brasiliana e che sono state le più colpite dal golpe istituzionale di Temer, che ha imposto la sua squadra di tutti uomini anziani, ricchi, conservatori e maschilisti. Dopo le rivelazioni di O Globo, Temer ha perso diversi pezzi della sua maggioranza e anche il suo partito, il Psdb, gli ha chiesto di chiarire la sua posizione. L'ex presidente Lula da Silva, per quanto inseguito da quella che considera «una persecuzione giudiziaria», rimane in testa ai sondaggi per le presidenziali. Per contro, i poteri forti non hanno ancora trovato il cavallo su cui puntare.
Geraldina Colotti
(Il Manifesto 20 giugno)
CARO Augias, meglio tardi che mai. A Berlino, i grandi paesi del G20 hanno finalmente capito che per fermare le migrazioni dall'Africa occorre portare investimenti, regole e sviluppo nei villaggi dell'esodo. Hanno anche capito che la migrazione regolata è una risorsa, perché integra il bisogno di mano d'opera che l'Occidente - e l'Europa in particolare - non riescono a garantirsi.
Dopo la crisi di panico da "invasione" indotta dalle destre, si vede finalmente un approccio lucido da parte dei 20 paesi più ricchi del mondo, per far fronte al problema migratorio, con piani pluriennali e fondi consistenti. Ora, bisognerebbe che questo immenso sforzo fosse preservato dalla corruzione, che in Africa depista molti aiuti dai destinatari più poveri, alle cricche para-governative più fameliche. Le multinazionali del resto le hanno ingrassate e viziate con decenni di bustarelle per appalti e diritti di estrazione. Istruzione, sanità, legalità sono le premesse di uno sviluppo ordinato dell'Africa, che può realizzare le sue immense potenzialità. Deve cessare anche la paura della bolla demografica che molti studiosi attribuiscono a questo continente per il suo alto indice di natalità. È noto, infatti, che quando si instaura il controllo delle morti, segue il controllo delle nascite.
La lettera del signor Toti solleva un immenso argomento sul quale sono disponibili dati certi che vanno considerati con attenzione. Il primo è che le società europee - italiana in primis - sono soggette a un rapido invecchiamento. Nascono pochi bambini, cresce l'età media. In Germania, come ha ricordato la Cancelliera, l'età media della popolazione è di 43 anni. In Niger di 15 anni. Entro il 2050, altro dato certo, la popolazione africana raddoppierà toccando 2,5 miliardi di abitanti. Entro la stessa data il continente Europa avrà bisogno di cento milioni di immigrati (!) per evitare di deperire economicamente. Anche vero, come scrive il gentile corrispondente, che buona parte degli aiuti, finendo nelle mani sbagliate, non hanno finora né alleviato bisogni né fatto partire imprese capaci di produrre. La nostra collega Tonia Mastrobuoni riferiva giorni fa da Berlino come una delle chiavi per il futuro sviluppo di quel continente sia il coinvolgimento nel privati. Un concetto ribadito, aurante u G20 berlinese per l'Africa, dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, uomo abituato a pesare le parole: «Il patto con l'Africa punti sulla responsabilità dei singoli paesi africani, sono loro a dover creare le condizioni per attrarre investimenti». Avendo seguito con attenzione di cronista quanto avvenuto durante il recente G20 ho avuto l'impressione che a Berlino potrebbe essere stata inaugurata un'importante novità. Per la prima volta un paese-guida come la Germania sembra aver dato al problema Africa la centralità che merita e che finora era mancata. Se alle parole seguiranno i fatti potrebbe addirittura essersi capovolto il problema trasformando quel continente da problema in opportunità. Come ha detto uno specialista dell'università di Berkeley: «L'Africa ha gigantesche risorse in fatto di sole e di vento». Energie enormi, rinnovabili, non inquinanti.
Corrado Augias
(la Repubblica 16 giugno)
mercoledì 28 giugno 2017
UNA CORAGGIOSA DECISIONE DEL PAPA
La «tolleranza zero» di Francesco contro tutti i sacerdoti macchiati del crimine di abusi su minori - scempio pari alla celebrazione di una «messa nera» - ha investito ora don Mauro Inzoli, già condannato nel 2016 a 4 anni e 9 mesi per pedofilia. Il sacerdote, esponente di Comunione e Liberazione, è stato ridotto dal Pontefice allo stato laicale. “Spretato”, secondo il linguaggio comune.Il provvedimento è stato stabilito nei giorni scorsi e comunicato in giornata dal vescovo di Crema, Daniele Giannotti, in una lettera pubblicata sul sito della diocesi in cui Inzoli era incardinato. «Carissime e carissimi tutti, nei giorni scorsi, la Congregazione per la Dottrina della Fede mi ha comunicato la decisione, presa da Papa Francesco il 20 maggio scorso con sentenza definitiva, di dimettere don Mauro Inzoli dallo stato clericale», si legge nella coraggiosa nota di Giannotti. Coraggiosa perché mai un vescovo aveva comunicato in così totale trasparenza ai fedeli il tipo di provvedimento preso dalla Santa Sede nei confronti di un prete pedofilo.«Non possiamo pensare – scrive il vescovo - che il Papa sia giunto a una decisione così grave senza aver vagliato attentamente davanti a Dio tutti gli elementi in gioco, per arrivare a una scelta che fosse per il bene della Chiesa e al tempo stesso per il bene di don Mauro: perché nessuna pena, nella Chiesa, può essere inflitta se non in vista della salvezza delle anime, che può passare anche attraverso una pena così grave, la più grave che possa essere inflitta a un sacerdote». Il presule invita ad accogliere dunque «con piena docilità al Papa questa decisione, custodendola prima di tutto nel santuario della preghiera».Il provvedimento di Papa Bergoglio è l’ultimo capitolo di una oscura vicenda che aveva investito la Chiesa lombarda e il movimento di Comunione e Liberazione del quale Inzoli è stato per una trentina d’anni esponente di spicco, nonché responsabile della Gioventù studentesca che riuniva il lato più giovane di CL.È proprio lì che il sacerdote, anche ex responsabile della Compagnia delle Opere di Cremona e Crema e tra i fondatori del Banco Alimentare, adescava le sue vittime. Lo faceva durante le confessioni, durante le gite fuori porta, negli alberghi dei soggiorni estivi e addirittura in ospedale. Tanto che gli stessi ragazzi si erano quasi “abituati” a questi comportamenti anomali di don Mauro al punto da scherzarci sopra, come si leggeva nelle motivazioni della sentenza del Tribunale di Cremona. Su di lui le chiacchiere e barzellette si sprecavano e anche molti genitori delle vittime pur accorgendosi di certe stranezze non avevano avuto la forza di reagire, vittime come i figli di una «forte sottomissione psicologica» da parte di quest’uomo così carismatico che amava circondarsi dal lusso (“don Mercedes” era il suo soprannome semi-ufficiale).Inzoli, scriveva infatti il gup Letizia Platé, agiva «con spregiudicatezza della propria posizione di forza e di prestigio, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani nei momenti di confidenza delle proprie problematiche personali ed anche nel corso del sacramento della Confessione, ammantando talora le proprie condotte di significato religioso così confondendo ulteriormente i giovani». Ad esempio, giustificando i baci, le carezze, i palpeggiamenti con frasi del Vecchio Testamento.Per il prete erano stati chiesti 6 anni di reclusione dal procuratore del Tribunale di Cremona, che tuttavia aveva tenuto in considerazione lo sconto di un terzo di pena previsto per il rito abbreviato e per l’attenuante relativa ai risarcimenti. Don Mauro Inzoli aveva infatti risarcito di 25 mila euro a testa le vittime: cinque ragazzi, molestati dal 2004 al 2008, quando all’epoca avevano 12 anni il più piccolo, 16 anni il più grande. I casi, però, a partire dagli anni ’90 sarebbero molti di più, circa quindici, finiti ormai in prescrizione.Don Mauro Inzoli è stato quindi condannato a 4 anni e nove mesi insieme al divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minori. Già negli anni precedenti la Congregazione per la Dottrina della Fede lo aveva sospeso «in considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo provocato da abusi su minori». Per primo fu Benedetto XVI a infliggere una sanzione della riduzione allo stato laicale; Papa Francesco, il 27 giugno 2014, gli aveva invece imposto di condurre una «vita di preghiera e di umile riservatezza come segni di conversione e di penitenza». Quasi una seconda chance da parte del Pontefice argentino.Ma don Mauro non si era fatto problemi a mostrarsi in pubblico nel gennaio 2015, seduto in seconda fila ad un convegno sulla “famiglia tradizionale” della Regione Lombardia. Il fatto aveva provocato grande scalpore ed era stato interpretato da molti come una chiara provocazione.
IL MISTERO DI DIO
Elisabeth Johnson, Alla ricerca del Dio vivente, pag. 60.
L'EUROPA PAROLAIA
L'Europa fa solo parole e non sa sanzionare e rispettare gli accordi.
Su queste terreno anche Macron è una banderuola, completamente privo di voce e di progetto. Questa è l'Europa che non esiste e non ha il coraggio di assumere decisioni impegnative e anche sgradevoli a certi Stati.
Franco Barbero
PAPA FRANCESCO: PROPOSTE PER USCIRE DALLE DISEGUAGLIANZE
Se non si cambiano queste "regole", si fanno solo chiacchiere e intanto crescono le disuguaglianze.
F.B.
DODICI MILIONI PER LA PINEROLO-CHIVASSO
DIO, NOSTRA SORPRESA
In Francia è probabile che, dopo Macrom, ritornino sinistra e destra. Può darsi che, dopo questa fase in cui alcuni partiti un po' guardano da una parte e un po' dall'altra, si ritorni al centro sinistra e al centro destra. Già i 5 Stelle vanno in questa direzione, finita la loro illusione di governare da soli.
Macrom, a mio avviso, è la fase intermedia verso un nuovo bipolarismo.
Franco Barbero
I sogni e le passioni negli occhi di quei piccoli italiani ancora privi di cittadinanza
Arua ha otto anni, Hamza ne ha sei: vivono da sempre a Torino anche se i loro genitori sono egiziani. Sono nati e vivono a Roma Basim, nove anni, mamma e papà marocchini e Jibrill, che di anni ne ha 11, ed ha papà egiziano e mamma somala. E poi Nebeyate, otto anni, mamma etiope e Numayer, undici anni, genitori che arrivano dal Bangladesh. È nata in Abruzzo e vive a Roma Ghizlan, otto anni. Sono nati e abitano a Milano Chantal, otto anni, genitori originari dello Sri Lanka, Francesco Marie-Joseph, sette anni, origini a Mauritius. E ancora Israa e Ryan le cui famiglie arrivano dal Marocco. Mentre a Genova vive Fallou, 12 anni, genitori senegalesi. A rappresentare Verona ci sono Hamza e Oussama, genitori marocchini, mentre da Napoli arrivano Jason e Richard, mamma di Santo Domingo. A Firenze vive Viola, genitori cinesi.
Sono solo alcuni degli 800 mila bambini nati in Italia da genitori stranieri che parlano e studiano in italiano. Alunni delle scuole dell'obbligo in Italia ma che in Italia non hanno il diritto di cittadinanza.
Giulia Santerini
(la Repubblica 17 giugno)
MASSA. Pestaggi e soprusi, verbali falsificati, una violenza sessuale, garanzie democratiche sospese. Aulla e parte della Lunigiana, quella terra al confine fra Toscana e Liguria, emergono dalle carte dell'inchiesta della procura di Massa come una specie di zona franca dove i carabinieri potevano dire a un extracomunitario che stavano identificando «se vieni fuori ti stacco la testa quando vuoi e dove vuoi». Oppure violentare un cittadino marocchino e urlargli dentro la caserma: «Fai schifo». O modificare i verbali, o usare le scosse elettriche per convincere un altro a confessare.
Un'intera catena di comando, quella dei carabinieri di Aulla, è stata azzerata da arresti e indagati. Otto misure cautelari e 22 iscritti al registro di questa inchiesta condotta dalla pm Alessia Iacopini. «I comandi provinciali e regionali dell'Arma ci hanno dato la loro collaborazione» ha precisato il procuratore Aldo Giubilaro. Il maresciallo comandante della stazione della Lunigiana è stato sospeso dal servizio, Il brigadiere Alessandro Fiorentino è in carcere, i suoi colleghi Iain Nobile, Gianluca Granata e Luca Varone ai domiciliari, quattro altri hanno dovuto lasciare la provincia. Questa inchiesta, che ha generato già molte polemiche, ha avuto inizio dal coraggio di una avvocata che resiste alle minacce di un carabiniere. Quest'ultimo, identificato secondo l'accusa in Alessandro Fiorentino, vuole convincerla a far ritirare a un suo assistito, un cittadino marocchino, la denuncia in cui l'uomo dichiara di essere stato picchiato dal militare: pugni e calci. Lei non si fa intimorire neppure quando Fiorentino le dice che potrebbe ritirarle la patente e «mandarla a piedi».
LA PM DEVE MORIRE
«Non è possibile che un marocchino denuncia un carabiniere», ragionano fra loro gli indagati. E i magistrati – secondo loro – non dovrebbero mettere i bastoni fra le ruote a chi contrasta il crimine. Il più infuriato è il maresciallo Alessandro Fiorentino, uno di cui un collega dice: «Eri uno dei carabinieri più cattivi del mondo, una volta… Una volta c'avevano il terrore… arrivava Fiorentino». Denunciato da un extracomunitario, è furioso con la pm che indaga. E arriva a dire: «Deve morire e anche male».
L'ODIO RAZZIALE
Li trattavano così: «I negri sono degli idioti, sono delle scimmie». «Profugo? Io ti do una randellata nel muso se non stai zitto». «Se vieni fuori ti stacco la testa, quando vuoi e dove vuoi». «Io non lo so se riuscirei ad ammazzare una persona, anche se è un marocchino, eh! Però una fraccata di legnate gliele darei! Ma una fraccata, eh. Anche del tipo lasciarlo permanentemente zoppo». «Importare tutti questi negri abbassa il livello culturale dell'Europa», sosteneva uno dei carabinieri, mentre un altro plaudiva a Mussolini che «tutte saponette ha fatto».
LE VIOLENZE
Ricordi ameni di una operazione antidroga: «Vediamo i due negri che scappano, Pino esce di qua e gli corre dietro a uno, io esco di là e corro dietro a un altro nel bosco… Minchia le botte che hanno preso quei due negri, penso che se lo ricorderanno finché campano… lo saccagnavamo di botte perché non voleva entrare in macchina… quante gliene abbiamo date! Ahaaha! Entra dentro la macchina, negro di m.».
Come sistemare un clochard polacco che infastidisce le persone chiedendo l'elemosina davanti a un supermercato: «Ehi mister, metti qua la mano… Cosa stai facendo? Te la spezzo?». Lo costringono a mettere le mani sull'auto e le percuotono con il manganello.
Come dare una lezione a un nordafricano: sbatterlo a terra, schiacciargli la faccia sull'asfalto con una scarpa, infilargli la canna della pistola in bocca.
LE ARMI
Come giustizieri della notte, alcuni degli indagati si erano dotati di taser, storditori elettrici con cui – diceva uno – «ogni tanto damo una scaricatella a qualcuno». E poi avevano manganelli, pugnali, coltelli a serramanico, un'ascia, che tenevano non solo in casa ma anche nelle auto di servizio e in caserma.
LA DIFESA
L'avvocato Alessandro Ravani difende uno dei militari indagati: «Sono ancora in una fase di valutazione delle carte. Ho parlato a lungo con il mio assistito e respinge tutte le accuse. Lui non ha mai usato il taser».
LA GIUSTIZIA SOMMARIA
Se qualche auto aveva il contrassegno dell'assicurazione scaduto, bastava bucare le gomme. Punizione toccata anche a una sarta, colpevole di praticare prezzi troppo alti.
LE MULTE
Multe per scoraggiare i consumatori di droga. «Bisogna cominciare a seminare il terrore fra quelli che comprano (droga – ndr). Via soldi, punti, patenti, via!». Salvo chiudere un occhio e annullare un verbale a una giovane marocchina che guidava con la patente del suo paese di origine, non valida in Italia, in cambio di una prestazione sessuale. La procura in questo caso contesta la corruzione.
L'OMERTÀ
A un nuovo arrivato, un anziano spiegava: «La regola madre per fare il carabiniere, la regola più importante che, ahimè, purtroppo alcuni colleghi non rispettano è: quando se esce insieme, quelle sei ore, quello che succede all'interno della macchina non deve scoprirlo nessuno.... Niente! È cosa nostra. Proprio come la mafia! Quello che succede qua non se deve venì a scoprì...».
E dopo che un maresciallo troppo puntiglioso aveva messo sotto procedimento disciplinare un sottoposto, alcuni carabinieri fantasticavano di vendicarsi uccidendo un marocchino in caserma e fingendo che si fosse impadronito dell'arma del sottufficiale lasciata sulla scrivania. Così il maresciallo sarebbe finito nei guai, i carabinieri avrebbero ottenuto un encomio e del marocchino morto non si sarebbe preoccupato nessuno.
Laura Montanari e Franca Selvatici
(la Repubblica 16 giugno)
martedì 27 giugno 2017
AUTENTICITA'
Esaminava la persona, non il certificato.
Una volta lo sentirono dire: "Quando hai orecchie per sentire un uccello che canta, non hai bisogno di guardare le sue credenziali".
(Anthony De Mello, Un minuto di saggezza , pag.114)
QUESTA SERA ALLE ORE 20,30 A PINEROLO
Alle ore 20,30 questa sera 27 giugno: la riunione è aperta a chiunque abbia interesse.
LO SCONTRO DELLE CIVILTA'
L'imperialismo è l'inevitabile corollario dell'universalismo".
Samuel Huntington.
ESPRIMO PIENA SOLIDARIETA'
FIRENZE - Il Decano della Chiesa Protestante Unita, Rev. Andrea Panerini, dopo la pubblicazione di un video su Repubblica TV dove spiegava la posizione di apertura della propria Chiesa - registrato durante il Milano Pride dello scorso 24 giugno a cui ha partecipato di persona - è stato oggetto di minacce fisiche e offese omofobe sulla pagina Facebook de «La Provincia Pavese», quotidiano del Gruppo L'Espresso, a cui appartengono anche Repubblica e altri quotidiani locali attraverso la controllata Finegil.
Nel video il Rev. Panerini spiegava come la Chiesa Protestante Unita non solo accetta le persone LGBTQ ma celebra anche matrimoni religiosi tra persone dello stesso sesso, affermando che «Gesù non discriminerebbe.» Questo evidentemente è risultato inaccettabile a un folto numero di timorati catto-fascisti lettori de «La Provincia Pavese» che hanno insultato pesantemente il Rev. Panerini, non solo tirando fuori argomenti biblici ormai desueti persino per il Vaticano, ma arrivando ad ingiuriarlo e a minacciarlo nella sua incolumità fisica. Un profilo Facebook riconducibile alla formazione neo-fascista «Fiamma nazionale» ha persino evocato «bombe a mano e carezze con il pugnale» contro il leader protestante oltre a varie e ripetute ingiurie che accostavano il suo ministero pastorale (confuso anche con il sacerdozio cattolico) con la pedofilia.
«Ovviamente sono amareggiato - ha dichiarato il Rev. Panerini - ma non sono spaventato nè, purtroppo, particolarmente sorpreso. Che la violenza omofoba sia un problema se ne rendono conto tutti in questo paese tranne che i nostri legislatori. Di offese e minacce alla mia persona per la mia omosessualità e/o per le mie posizioni religiose, etiche e politiche ne ho ricevute tante da quando ho fatto coming out a 16 anni, nella primavera di quasi vent'anni fa nella cittadina della costa toscana dove sono nato e cresciuto e in altri contesti: non sono mai stato a piangermi addosso. Se questa volta ho deciso, di concerto con l'Ufficio legale della mia Chiesa, di rivelare pubblicamente queste offese e minacce è perché non è in gioco solo la mia personale incolumità e reputazione ma anche quella della mia Chiesa, dei miei fedeli per non parlare dei molti giovani LGBTQ ogni giorno vittime silenziose dei soprusi e delle violenze. E se Gesù dice a noi, suoi discepoli, che saremo perseguitati per il suo nome e che il mondo non può accettare il Suo Vangelo, un Vangelo d'amore, di fratellanza, di non-discriminazione, da cittadini bisogna anche arrivare a dire basta.»
Il post in questione sulla pagina de «La Provincia Pavese» è stata nel frattempo cancellata da Facebook e dal Decanato della Chiesa Protestante Unita fanno sapere che l'Ufficio legale sta valutando azioni legali in sede civile e penale verso gli autori dei post per diffamazione, ingiurie e minacce aggravate in cui, oltre al Rev. Panerini, anche la Chiesa Protestante Unita in quanto ente di culto potrebbe costituirsi parte civile. Anche «La Provincia Pavese» potrebbe essere interessata dalle azioni legali per omesso controllo
UN LIBRO DA NON DIMENTICARE
GEREMIA 2. 13
Il Mio popolo ha abbandonato Me, la Sorgente d'acqua viva, si è scavato delle cisterne che non tengono acqua.
UNA ATTENTA ANALISI DELLA SITUAZIONE PLANETARIA
Certamente non m’inganno se dico quel che sta passando nel cervello della gente e che si sente dappertutto: il Brasile non può andare avanti così com’è.
La corruzione generalizzata, per il fatto di essere stata sdoganata, ha contagiato tutte le istanze pubbliche e private. La politica si è incancrenita. La maggioranza dei parlamentari non rappresenta il popolo, ma gl’interessi delle imprese che hanno finanziato la loro campagna elettorale. Sono codini, che perpetuano la politica tradizionale di trattative segrete e accordi truffaldini alla luce del giorno.
L’attuale Presidente non brilla per nessuna dote particolare: non pensa al popolo né alle gravi conseguenze dei suoi provvedimenti sociali, ma alla sua biografia. Certamente entrerà nella storia, ma come presidente della controriforma, ma come presidente illegittimo anti-popolo, che ha cancellato i pochi progressi sociali a favore delle grandi maggioranza sempre maltrattate.
Il progetto di coloro che hanno compiuto il golpe parlamentare viene dal neoliberismo più radicale, in crisi nel mondo intero, che si esprime attraverso rapide privatizzazioni e per il trascinamento del Brasile nel progetto-mondo per il quale il popolo e i poveri sono impiccio e peso morto. Questa maledizione proprio non la meritano. Lotteremo perché ci sia un minimo di compassione e umanità che è sempre mancato da parte degli eredi della Casa Grande.
Siamo in volo cieco in un aereo senza pilota. Pochi sono coloro che osano proporre un sogno nuovo per il Brasile. La mia opinione è che lo scienziato politico Luiz Gonzaga de Sousa Lima, di solida preparazione accademica ci ha provato con il suo libro A Refundaçao do Brasil: rumo a uma sociedade Biocentrada (Rima, São Carlos, 2011). Purtroppo, ad oggi non ha ricevuto il riconoscimento che merita. Ma lì s’intravede una visione aggiornata col discorso della nuova cosmologia, del’economia, e contro il pensiero unico, riportando alternative per un altro mondo possibile.
Mi permetto di riassumere il suo stimolante pensiero già da me esposto, con più particolari in questo Jornal do Brasil, nel 2012.
La sfida, secondo lui, consiste nel dare vita a un altro software sociale adeguato e che ci indichi un futuro differente. L’ispirazione proviene da un qualcosa pienamente nostro: la cultura brasiliana. Questa è stata elaborata maggiormente dagli schiavi e dai loro discendenti, dagl’indigeni rimasti, dai mamelucchi, dai figli e dalle figlie della povertà e del meticciato. Hanno prodotto qualcosa di singolare, indesiderato da chi deteneva il potere che sempre li avevano disprezzati e mai riconosciuti come soggetti di diritti e figlie di Dio. Il problema attuale è rifondare il Brasil e, “costruire per la prima volta una società umana in questo territorio immenso e splendido; è farlo abitare per la prima volta da una società umanavera, cosa mai avvenuta in tutta l’era moderna, da quando il Brasile fu fondato in forma di impresa mondializzata; fondare una società è l’unico obiettivo capace di salvare il nostro popolo”; si tratta di avviare il Brasile da Stato economicamente globalizzato, come vorrebbero gli attuali governanti dopo il golpe parlamentare, in direzione di un Brasile come società biocentrata, dove l’asse portante è la vita in tutta la sua diversità; ad essa tutto il resto è ordinato, in essa convergono soprattutto l’economia e la politica. Nell’atto di rifondarsi in quanto società biocentrata, il popolo brasiliano lascerà tra parentesi la modernità imputridita nell’ingiustizia e nell’avidità, che sta conducendo l’umanità, per mancanza di senso ecologico in un cammino senza ritorno. Ciononostante, la modernità, da noi, ha permesso di forgiare un’infrastruttura materiale che può permetterci la costruzione di una civilizzazione che ama la vita umana e la comunità di vita, che convive pacificamente con le differenze, dotata di incredibile capacità di integrare e di sintetizzare i vari fattori e valori, proprio quelli che attualmente vengono negati da questa onda di odio e di preconcetto nata negli ultimi tempi e che contraddice la nostra matrice genuina.
E’ in questo contesto che Souza Lima associa la rifondazione del Brasile alle premesse di un tipo nuovo di società, differente da quella ereditata e che ora, con l’attuale crisi, sta agonizzando, incapace di immaginare un orizzonte qualsiasi di speranza per il nostro popolo.
Perciò diventa urgente una riforma politica che stia alla base di un nuovo patto sociale.
Il ripatteggiamento dovrà collocare la nazione come punto di riferimento base e non i partiti, valorizzare buona volontà di tutti, perché finalmente qualcosa di nuovo e promettente entri in gestazione.
La speranza non si raffredda e si traduce nel verso di Thiago de Mello ai tempi oscuri della dittatura militare: “Si fa buio, ma io canto”.
*Leonardo Boff è columnist del JB on line e ha scritto: Il livro dos elogios: o significado do insignificante (Paulus 2017).Traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato
"La dottrina del peccato originale è una supposizione teorica che certi pensatori o teologi hanno liberamente chiamato in causa per spiegare le situazioni confuse in cui essi trovavano gli eventi umani che, così com'erano o apparivano, non potevano rientrare in un piano creativo voluto da Dio e che, nel caso, non potevano che derivare da interferenze esterne, abusive, trasgressive che potevano provenire dall'essere intelligente, l'uomo. Un errore che avrebbe sconvolto la storia e tuttavia rimasto sconosciuto ai profeti (nessuno sembra parlarne) e di cui Gesù stesso non ha fatto parola".
Ortensio Da Spinetoli (da "L'inutile fardello", Chiarelettere ed., p. 22)

La nascita di una nuova moschea, o meglio, per essere più precisi, di un Centro culturale islamico in via Juvarra 32, ha acceso il dibattito nell'u1tima settimana. Complici anche le uscite sul suo profilo personale sul social network Facebook (www.facebook.com) del consigliere comunale leghista Gualtiero Caffaratto, che ha diviso il popolo del web e non solo.
Il consigliere ha parlato di «guerra» alla moschea e ha proposto di organizzare una costinata per la festa inaugurale con tanto di letame di maiale (drugia in piemontese), animale che i musulmani considerano immondo, scatenando una valanga di reazioni. "Le Valli" ha intervistato sia Caffaratto, sia il consigliere comunale di maggioranza Rami Musleh, di fede islamica, che è un emblema dei malumori e delle preoccupazioni seguite alle esternazioni del leghista. Mentre la polemica infuria, il sindaco pinerolese Luca Salvai ha incontrato lunedì pomeriggio i rappresentati della Comunità islamica locale per fare un punto della situazione sulle loro esigenze. «Abbiamo parlato del nuovo Centro culturale islamico e c'è stato uno scambio proficuo di idee: nei prossimi giorni ci pronunceremo in maniera più approfondita» commenta Salvai, che apre anche ad una Festa di fine Ramadan in piazza, ma non per quest'anno. «Organizzare una Festa di fine Ramadan in una piazza di Pinerolo, per avvicinare le comunità islamica e cristiana, è un'ottima idea. Purtroppo quest'anno non siamo riusciti ad organizzarci in tempo e a confrontarci in tempi utili in merito con la comunità islamica, ma per l'anno prossimo sarebbe bello riuscire a organizzare una festa che coinvolga maggiormente anche i cittadini non musulmani».
Quest'anno, come gli anni scorsi, la festa di fine Ramadan avrà luogo al Palacurling olimpico di Pinerolo; sabato 24, con la luna nuova, cesserà il periodo di digiuno e la festa dovrebbe tenersi o domenica o lunedì notte (la data è in fase di definizione).
Quella della Festa, però, non è l'unica richiesta al Comune. Una questione importante riguarda l'esigenza di avere uno spazio all'interno dell'area cimiteriale, riservato alle sepolture non cristiane. Un progetto di cui si parla da tempo, e che doveva prendere corpo con l'ampliamento del camposanto, che però non è stato ancora realizzato. «L'argomento comunque - precisa Salvai - non è stato trattato nel confronto di Lunedì».
ELISA CAMPRA
Lega contro la Moschea, la paura e le reazioniLe provocazioni del consigliere comunale leghista Gualtiero Caffaratto hanno diviso in due il Web, ma non solo.
L'intenzione di dichiarare «guerra» alla nuova Moschea di Pinerolo, condita da battute che richiamano costinate e mucchi di letame per l'inaugurazione hanno fatto discutere non poco.
"Le Valli" ha messo a confronto la posizione di Caffaratto e del consigliere comunale di maggioranza Rami Musleh, originario della Palestina e di fede islamica, molto preoccupato dalla violenza verbale del leghista.
Intanto lunedì, in Comune, si è tenuto un incontro per parlare proprio della nuova Moschea - meglio chiamarla Centro culturale islamico - di via Juvarra, su cui il sindaco Luca Salvai annuncia presto novità.
(Le Valli, 21 giugno)
