giovedì 20 luglio 2017

Quelle parole indegne



In settant'anni di democrazia repubblicana, la polemica tra avversari è sempre stata un elemento di vitalità del sistema italiano. Ricca è l'antologia degli insulti e delle offese – per non parlare delle botte in aula – che hanno avuto come protagonisti i parlamentari di ogni colore. Fino all'altro ieri, però, c'erano due territori nei quali, secondo un codice d'onore non scritto ma rispettato da (quasi) tutti, era proibito entrare, persino nella polemica più accesa: la volgarità greve e il discrimine razziale e religioso. Beppe Grillo ha sdoganato il primo genere, i leghisti hanno attinto al secondo, ma solo il deputato Massimo Corsaro – che non possiamo chiamare onorevole – è riuscito a coniugare in una sola frase la volgarità e l'antisemitismo, pubblicando su Facebook una foto di Emanuele Fiano, parlamentare del Pd, con questa didascalia che ha l'impudente pretesa di essere ironica: “Che poi, le sopracciglia le porta così per coprire i segni della circoncisione..”.
Ora, si capisce che all'ex gerarca missino Corsaro abbia dato molto fastidio la legge proposta da Fiano per punire l'apologia del fascismo e del nazifascismo, ma proprio quella frase orribilmente disgustosa, indegna di un membro del Parlamento, conferma che non è ancora possibile abbassare la guardia. E quel suo inqualificabile post è la prova inoppugnabile che la cultura fascista della parola usata come manganello ha lasciato tracce che non sarà facile cancellare in un solo secolo.

Sebastiano Messina Repubblica 13/07