In
settant'anni di democrazia repubblicana, la polemica tra avversari è sempre
stata un elemento di vitalità del sistema italiano. Ricca è l'antologia degli insulti
e delle offese – per non parlare delle botte in aula – che hanno avuto come
protagonisti i parlamentari di ogni colore. Fino all'altro ieri, però, c'erano
due territori nei quali, secondo un codice d'onore non scritto ma rispettato da
(quasi) tutti, era proibito entrare, persino nella polemica più accesa: la
volgarità greve e il discrimine razziale e religioso. Beppe Grillo ha sdoganato
il primo genere, i leghisti hanno attinto al secondo, ma solo il deputato
Massimo Corsaro – che non possiamo chiamare onorevole – è riuscito a coniugare
in una sola frase la volgarità e l'antisemitismo, pubblicando su Facebook una
foto di Emanuele Fiano, parlamentare del Pd, con questa didascalia che ha
l'impudente pretesa di essere ironica: “Che poi, le sopracciglia le porta così
per coprire i segni della circoncisione..”.
Ora,
si capisce che all'ex gerarca missino Corsaro abbia dato molto fastidio la
legge proposta da Fiano per punire l'apologia del fascismo e del nazifascismo,
ma proprio quella frase orribilmente disgustosa, indegna di un membro del
Parlamento, conferma che non è ancora possibile abbassare la guardia. E quel
suo inqualificabile post è la prova inoppugnabile che la cultura fascista della
parola usata come manganello ha lasciato tracce che non sarà facile cancellare
in un solo secolo.
Sebastiano
Messina Repubblica 13/07