GRAN
PREMIO IN BICICLETTA (Beppe Manni 30 luglio 2017 Gazzetta di
Modena)
Anche
gli innamorati si stancano della monotonia e della prevedibilità. Ho
sempre amato le macchine da corsa di Maranello. Dopo la guerra noi
bambini correvamo a vedere i bolidi rossi che sfrecciavano rombando
sulla via Giardini. Le corse erano avventure epiche. La Ferrari
vinceva grazie al motore rivoluzionario costruito da ingegneri e
artigiani eccezionali e ai bravi piloti italiani. Il cavallino
rampante del pilota Baracchi, rappresentava l'eroismo e il coraggio.
Tutto questo, il business economico e la scarsa simpatia dei piloti tedeschi (vigliacco se spiccicano una parola in italiano che si potrebbero pagare un corso d’italiano poveretti…) mi ha disamorato e sono tornato alla mia vecchia passione: il ciclismo. Oggi le bici sono dei mostri tecnologici, l'organizzazione è degna di una gestione aziendale. Ma le tappe del Giro d'Italia e del Tour de France, rimangono momenti di alta qualità sportiva. Nibali, Aru, Fromm, Rigoberto Uran, solo per citarne alcuni, sono atleti completi: forza fisica, coraggio, intelligenza e gioco di squadra, e, diciamolo, anche qualità morale. Le tappe di montagna e non solo, sono grandi spettacoli di competizione sportiva e da qualche anno documentano in diretta bellissimi paesaggi alpini e monumenti storici delle città italiane e francesi.
Che bello andare in bicicletta. Chissà che gli italiani guardando il giro non vengano invogliati solo a comprare bici da due mila euro, da esibire la domenica mattina per le strade abbandonate del nostro Appennino, ma si innamorino della bicicletta vera e la comincino ad usare come trasporto abituale per gli spostamenti in città e nel contado. Invertendo finalmente l'uso suicida delle auto.