martedì 22 agosto 2017

VINCE L'ANTIRAZZISMO

CAGLIARI, inizio agosto. Un autobus della linea 5, tra viale Bonaria e viale Cimitero. Il mezzo è pieno, c'è gente in piedi. Sale un ragazzo pakistano, avanza verso l'obliteratrice. I controllori lo fermano, convinti che non abbia il biglietto. Dicono che è salito dalla porta sbagliata, e che deve timbrare. Non gli danno il tempo, e lo invitano subito a scendere. Il ragazzo, però, il biglietto lo ha. Uno dei controllori insiste. Una signora alza la voce, protesta. Contro il ragazzo pakistano? No, contro il controllore. Altri passeggeri rumoreggiano in difesa del ragazzo. Vola la parola "razzista" all'indirizzo del controllore. Che tuttavia insiste ancora, a brutto muso. E costringe il ragazzo a scendere. Qualcuno indica le telecamere, qualcun altro invoca i carabinieri e gli avvocati. Nel vociare, colpisce soprattutto una frase. La pronuncia una passeggera, come un monito: "Siamo tutti testimoni".
Forse è eccessivo parlare di un piccolo e improvvisato presidio anti-razzista. In ogni caso, la vicenda rende visibile un pezzo d'Italia sempre poco visibile. Quello che contraddice il Paese che guarda in cagnesco i migranti, gli italiani di seconda generazione, e più in generale tutti i viventi oltre il proprio giardino. Però una cosa in più vale la pena dirla: quel drappello di passeggeri, difendendo il ragazzo pakistano, ha dato una istantanea e smagliante lezione contro i pregiudizi. E l'ha data su un autobus, che spesso è una fabbrica di pregiudizi. Lo sapeva Rosa Parks, la donna americana invitata a cedere il posto a un bianco nel '55 e diventata, con il proprio rifiuto, un simbolo. Il controllore che controlla a sproposito non ha controllato la propria inclinazione al preconcetto. C'entra il razzismo? Non soltanto. C'entra il fidarci troppo delle impressioni, tanto più se negative, il fermarci lì - la nostra confortante e stupida rete di protezione dall'altro, dagli altri.
Forse chi sale regolarmente su un autobus, sa più di altri cosa sia la realtà. Non la perde di vista, almeno. Un microcosmo viaggiante: umani stipati in uno spazio piccolo; una miriade di differenze che entrano forzatamente in contatto - e spesso, perciò, fanno attrito.
Più che qualunque altro mezzo di trasporto, un autobus pubblico riduce al minimo i confini; se non li cancella, li sospende per il tempo di qualche fermata. Così, l'uomo in giacca e cravatta che ha fretta, la pensionata che borbotta, lo studente che fa il gradasso, lo spostato e l'insofferente sono costretti - una volta a bordo - a un esperimento di condivisione dello spazio e del tempo, a una convivenza che, in scala minore, è quella di una città e di qualunque comunità su questo pianeta. Il tuo prossimo è prossimo davvero. È fin troppo prossimo. È il vicino di posto che non scegli. È maleducato? Manda cattivo odore? Parla a voce troppo alta al telefono? Non ti piace? Non ti fa una buona impressione? Ti fissa? Lo stai fissando - con curiosità, con disagio - e non te ne accorgi? Speri di scendere il prima possibile. Da un autobus si può scendere o far scendere qualcuno che non ci piace, certo. Non dalla realtà. E comunque, ricorda: siamo tutti testimoni.
Paolo Di Paolo

(la Repubblica 3 agosto)