Mosaico dei giorni
Come in un lager
21 novembre 2017 - Tonio Dell'Olio
Ieri
sera due amici immigrati in attesa di riconoscimento di asilo dopo più
di un anno di convivenza presso la Cittadella di Assisi, per la prima
volta, mi hanno spontaneamente raccontato delle violenze subite in
Libia.
Mi hanno dapprima mostrato un video registrato nei giorni scorsi e
inviato loro sullo smartphone dove vengono mostrate le torture cui
viene sottoposto un giovane sudanese da parte della polizia libica e poi
hanno iniziato a parlarmi di quanto era successo a loro e ai loro
amici. Se evito di entrare qui nel dettaglio è solo perché – credetemi –
si tratta di una galleria degli orrori. La mia domanda era pressoché
scontata: “Perché me ne parlate solo ora?”, “Perché avete taciuto tutto
questo tempo?” e la loro risposta mi ha fatto scorrere un brivido:
“Perché voi non potete capire e forse nemmeno ci credete” e, inoltre:
“Con quali parole potevamo raccontare queste cose?”.
Insomma ho sentito
ripetere espressioni, considerazioni, riflessioni che tante volte ho
ascoltato dai sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti.
Sopravvissuti che si colpevolizzavano per avercela fatta, che d'estate
si coprivano il numero di matricola tatuato sul braccio con un cerotto,
che hanno taciuto per anni... E noi a sentirci montare dentro una rabbia
di condanna verso gli autori e la fonte ideologica di tutto quel male e
noi, generazione postuma che non comprendevamo il silenzio e
l'indifferenza dei più. Ma oggi tocca a noi. Quanto è colpevole il
nostro silenzio di fronte a una legge che, per salvaguardare il nostro
preteso benessere, condanna a tortura, se non a morte, migliaia di
persone? Come ci giudicheranno le generazioni future? Come
giustificheremo il nostro silenzio?