lunedì 22 gennaio 2018

LE GIRAVOLTE DI DI MAIO SULL'EURO

Mettetevi (se vi riesce) nei panni di Luigi Di Maio. Ogni giorno gli fanno quelle domande difficili, di politica estera, di politica economica.
Probabilmente è un complotto per metterlo a disagio ma lui stesso si rende conto che, visto che di fare il candidato premier non glielo ha ordinato nessuno, deve sottoporsi alla tortura. Quella dell'euro è la questione più rognosa. Il povero Di Maio vacilla. Prima va sparato sull'ipotesi estrema: «Se si dovesse arrivare al referendum io voterei sì». Lo dice a «L'aria che tira» su «La7», tivù più corsara. Poi ecco che lo invita Bruno Vespa, presidente della Terza Camera, e i toni cambiano: «Il referendum è una extrema ratio, che spero di non dover usare». E, cogliendo l'approvazione del padrone di casa, aggiunge: «Non credo sia più il momento per uscire dall'euro». Uno stop and go faticoso, per cui bisogna portare rispetto (però Brunetta parla di «dietrofront esilarante» e Benedetto Della Vedova definisce il collega «una banderuola»).
Mettiamola invece così: un giorno è meglio dire una cosa più sanguigna, un altro è bene essere più felpati. Molto dipende dall'interlocutore, par di capire.
Ricordate com'era ingessato al Forum Ambrosetti di Cernobbio quando doveva accreditare il Movimento come una "forza tranquilla"?
Partirono i mugugni dei pentastellati integralisti e lui li rassicurò: «Parlo con gli imprenditori ma anche con i pescatori». Poi fa la media. E in America, così si espresse il Nostro, altrimenti accusato di filo-putinismo: «Siamo fedeli agli Usa, non a Mosca».
Alessandra Longo

(la Repubblica 10 gennaio)