LE GIRAVOLTE DI DI MAIO SULL'EURO
Mettetevi (se vi riesce) nei panni di Luigi Di Maio. Ogni giorno gli fanno quelle domande difficili, di politica estera, di politica economica.
Probabilmente è un complotto per metterlo a disagio ma lui stesso si rende conto che, visto che di fare il candidato premier non glielo ha ordinato nessuno, deve sottoporsi alla tortura. Quella dell'euro è la questione più rognosa. Il povero Di Maio vacilla. Prima va sparato sull'ipotesi estrema: «Se si dovesse arrivare al referendum io voterei sì». Lo dice a «L'aria che tira» su «La7», tivù più corsara. Poi ecco che lo invita Bruno Vespa, presidente della Terza Camera, e i toni cambiano: «Il referendum è una extrema ratio, che spero di non dover usare». E, cogliendo l'approvazione del padrone di casa, aggiunge: «Non credo sia più il momento per uscire dall'euro». Uno stop and go faticoso, per cui bisogna portare rispetto (però Brunetta parla di «dietrofront esilarante» e Benedetto Della Vedova definisce il collega «una banderuola»).
Mettiamola invece così: un giorno è meglio dire una cosa più sanguigna, un altro è bene essere più felpati. Molto dipende dall'interlocutore, par di capire.
Ricordate com'era ingessato al Forum Ambrosetti di Cernobbio quando doveva accreditare il Movimento come una "forza tranquilla"?
Partirono i mugugni dei pentastellati integralisti e lui li rassicurò: «Parlo con gli imprenditori ma anche con i pescatori». Poi fa la media. E in America, così si espresse il Nostro, altrimenti accusato di filo-putinismo: «Siamo fedeli agli Usa, non a Mosca».
Alessandra Longo
(la Repubblica 10 gennaio)
Mettetevi (se vi riesce) nei panni di Luigi Di Maio. Ogni giorno gli fanno quelle domande difficili, di politica estera, di politica economica.
Probabilmente è un complotto per metterlo a disagio ma lui stesso si rende conto che, visto che di fare il candidato premier non glielo ha ordinato nessuno, deve sottoporsi alla tortura. Quella dell'euro è la questione più rognosa. Il povero Di Maio vacilla. Prima va sparato sull'ipotesi estrema: «Se si dovesse arrivare al referendum io voterei sì». Lo dice a «L'aria che tira» su «La7», tivù più corsara. Poi ecco che lo invita Bruno Vespa, presidente della Terza Camera, e i toni cambiano: «Il referendum è una extrema ratio, che spero di non dover usare». E, cogliendo l'approvazione del padrone di casa, aggiunge: «Non credo sia più il momento per uscire dall'euro». Uno stop and go faticoso, per cui bisogna portare rispetto (però Brunetta parla di «dietrofront esilarante» e Benedetto Della Vedova definisce il collega «una banderuola»).
Mettiamola invece così: un giorno è meglio dire una cosa più sanguigna, un altro è bene essere più felpati. Molto dipende dall'interlocutore, par di capire.
Ricordate com'era ingessato al Forum Ambrosetti di Cernobbio quando doveva accreditare il Movimento come una "forza tranquilla"?
Partirono i mugugni dei pentastellati integralisti e lui li rassicurò: «Parlo con gli imprenditori ma anche con i pescatori». Poi fa la media. E in America, così si espresse il Nostro, altrimenti accusato di filo-putinismo: «Siamo fedeli agli Usa, non a Mosca».
Alessandra Longo
(la Repubblica 10 gennaio)