giovedì 1 febbraio 2018

COMMENTO AL VANGELO DI MARCO 1,29-39

L'AMORE SI TRADUCE IN CONCRETEZZA,SENZA MIRACOLI

E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni (Marco 1, 29-39)".




Chissà quante volte abbiamo letto questa pagina narrativa che, con alcune varianti, troviamo anche nei Vangeli di Matteo e di Luca. Aprire una pagina evangelica è come entrare in una casa. Ci sono tante stanze, tanti particolari, tanti angoli, tante finestre, alcuni "quadri" che non avevo mai osservato. Ad ogni visita si scoprono delle novità e così l'esplorazione non è mai finita. Questa è l'emozione che provo anche oggi. Allora mi limiterò ad alcuni rilievi che mi sembrano significativi per gettare un ponte tra la vita di Gesù e la nostra.

Oggi, leggendo questa pagina, con particolare attenzione alle nuove elaborazioni del femminismo, ci sentiamo molto lontani da questi uomini che si fanno servire da una donna. Molti uomini, oggi hanno imparato a condividere lavori e responsabilità. Ciò costituisce un passo da gigante nella prassi quotidiana. Ai tempi di Gesù la cultura dominante era marcatamente patriarcale. Di questa conquista culturale dobbiamo ringraziare Dio e le donne.


La concretezza di Gesù

Eccolo in azione. Anche nella sinagoga dove Gesù è andato per ascoltare, pregare e "insegnare" (Marco 1,21 e 22), il suo occhio e il suo cuore sono attenti alla persona che soffre.

Messo a conoscenza della febbre della suocera di Pietro (che, quindi, era sposato!), si dirige verso la sua casa. Gesù non è per nulla uno spiritualista che vive sulle nuvole o un pio giudeo prigioniero del sacro. Il Vangelo ce lo ritrae sempre a contatto con le persone. Non è un essere etereo, celestiale.

Che si tratti di fare festa come a Cana o di lasciarsi confortare, sostenere e coccolare dalla donna che gli versa sui capelli un vaso di profumo, lui è sempre un uomo profondamente collocato dentro la realtà. Che si tratti di mangiare nelle case di "impuri" come Zaccheo o di dividere il cibo con "pubblicani e peccatori", Gesù prende sempre sul serio il vissuto delle persone. Non evade, non fa l'anima bella, non parla dell'anima quando si trova davanti un corpo sofferente.

Proprio come i profeti di Israele, sulla loro scia, per Gesù il regno di Dio passa attraverso il benessere delle persone e lui mette tutte le sue energie in questo annuncio liberatore, in quest'opera di liberazione. Non distribuisce facili consolazioni, non parla per ribadire principi astratti su natura o contro natura...

Quando cerchiamo il messaggio di Gesù, forse dobbiamo archiviare il catechismo ufficiale e, invece, tentare di capire quale sia stata la sua prassi, il suo stile di vita quotidiano. Noi abbiamo la testa piena di dogmi (che erroneamente confondiamo con la realtà della fede), ma chi ci ha insegnato a cogliere, dietro i linguaggi complessi delle Scritture, quale fu il comportamento di Gesù? Eppure questo è un punto decisivo.

Ecco il motivo per cui vi invito a leggere come impegno il libro "L'uomo Gesù" (Edizioni Mondadori) nel quale si trovano indicazioni preziose per ogni ricerca personale e comunitaria in tal senso.

Intanto, rimettiamo al giusto posto nella nostra vita la concretezza che caratterizzò tutta l'esistenza del nazareno. Si tratta, in sostanza, in un tempo in cui crescono il razzismo, la violenza e lo stupro, di mettere al primo posto ogni giorno il tentativo di "fare qualcosa" per chi è meno fortunato. Si tratta di uscire dall'indifferenza, dalla prigione dell'io, per cercare i piccoli sentieri della solidarietà.

Se sei un genitore, un educatore, un insegnante testimonia la tua passione, il tuo coinvolgimento per chi è emarginato/a. Ma questa testimonianza, per quanto piccola, è possibile a ciascuno di noi quando al mercato, in panetteria, in farmacia, sul bus o sul treno...pacatamente contestiamo e contrastiamo i discorsi qualunquisti, xenofobi, egoisti oggi tanto di moda.

E quante occasioni la vita quotidiana ci offre per imparare ad allargare il nostro cuore e le nostre mani alla solidarietà, a partire dalla nostra famiglia, dal condominio in cui viviamo, dalle associazioni di volontariato...

Gesù non ci propone di precipitarci nell'attivismo. Assolutamente no. La strada della solidarietà concreta non indulge al sogno di fare cose straordinarie.

Si tratta di operare nei limiti delle nostre forze e delle nostre capacità, ma di interiorizzare che la fede è un cammino, non un discorso. Ogni discorso sta in rapporto ad una pratica oppure è pura finzione.


L'altra faccia di Gesù

Gesù sa coinvolgersi, vivere il corpo a corpo con la gioia e il dolore, sa vivere i momenti di immersione nel gruppo o nella folla, ma con altrettanta lucidià e decisione sa proteggere la sua interiorità, tutelare la propria identità, nutrire la propria fede sottraendosi alla "relazione continua". Più volte il Vangelo ci descrive il nazareno che sfugge all'accerchiamento, si sottrae, si ritira, cerca di appartarsi per pregare. Gesù ha la coscienza dei suoi limiti, sa che senza interiorità, senza radici ben nutrite, le sue relazioni con le persone perdono di forza liberatrice.

Gesù, soprattutto, sa che Dio è per lui la sorgente di vita. Il nazareno, da ebreo credente in Dio, avrebbe ascoltato come una barzelletta o come una insopportabile bestemmia il dogma cristiano del 4° secolo che fa di lui la seconda persona della trinità. Il suo era un pensiero totalmente diverso: cercava Dio, Lo adorava, stava in rapporto a Lui come il fiume dipende dalla sorgente.

La preghiera, di cui le Scritture ci danno testimonianza, ha riempito la vita di Gesù, l'ha collocato e l'ha mantenuto in un rapporto creaturale e filiale con Dio, l'ha aiutato a non fare di sé il centro della propria vita e della propria azione, a non predicare se stesso.

Nella mia vita voglio imparare da Gesù a tenere insieme i due bandoli della matassa: la concretezza dell'azione solidale e il costante riferimento a Dio nella preghiera. Quando sono riuscito a intrecciare azione e preghiera, senza eludere o soffocare nessuno dei due pilastri, ho avvertito che in me crescevano gli spazi dell'amore.
Attenzione però.....
Il genere letterario del Vangelo può trarci in inganno. Gesù ci viene presentato nelle vesti di un operatore quasi magico di interventi miracolosi. Si tratta di un metodo narrativo consueto nelle Scritture. Esso non vuole per nulla riportarci la cronaca degli eventi, ma esprimere il fatto che l'incontro di Gesù con le persone ha generato un cambiamento nella loro storia. La sottolineatura enfatica è una modalità narrativa consueta per dire con chiarezza che Gesù non era soltanto un annunciatore, ma tentava tutte le strade e  metteva in atto tutte le sue energie per il bene delle persone. Nella vita dei profeti di Israele questo agire "miracoloso" era il segno della presenza di Dio nella loro esistenza e nelle loro azioni.
Sarebbe terribile se noi pensassimo che il nostro amore, il nostro impegno di solidarietà deve produrre miracoli, eventi straordinari. Occorre leggere il testo di Mraco svestendolo dei panni del miracolo.