sabato 26 maggio 2018

La strada delle donne verso il potere

Nessuna meglio di Theresa May può offrirci una dimostrazione del fatto che le donne vengono chiamate ad assumere le posizioni ai vertici della politica in tempi difficili e di crisi.
È, infatti, proprio nella fase post-Brexit che il Regno Unito è tornato ad avere una guida femminile, ben 26 anni dopo l'uscita di scena della pioniera Margaret Thatcher. Il tema è da tempo dibattuto e, nell'ambito degli studi sulla leadership in generale, è stato coniato un termine apposito, glass cliff (scogliera di vetro), proprio a indicare il fenomeno per cui le donne hanno una probabilità maggiore degli uomini di essere collocate in posizioni di leadership che comportano rischi.
Di solito in questi casi il fattore chiave che predispone l'ascesa delle donne è la necessità di una svolta, di un cambiamento perlomeno sul piano dell'immagine. Ecco che allora la donna al potere, in molti Paesi una novità, appare adatta allo scopo. Alcune di quelle che sono arrivate al vertice attraverso questi percorsi hanno gestito bene la situazione e si sono affermate. Si pensi ad Angela Merkel, la cui conquista della leadership della Cdu è stata agevolata dal fatto che il partito fosse stato travolto da scandali e si fosse creato lo spazio per una persona capace di un rinnovamento. Oggi Merkel è diventata un modello di potere al femminile per la sua influenza e la lunga permanenza al vertice. E la politica tedesca vede altre donne protagoniste.
Può accadere che una prima donna leader arrivata in circostanze straordinarie riesca a promuovere la presenza femminile. In piena crisi economica Jóhanna Sigurdardóttir divenne prima ministra islandese e guidò un governo composto per metà da donne. Tuttavia, nonostante casi come questi, la tendenza a rivolgersi alle donne nei momenti difficili può rivelarsi penalizzante; infatti, il rischio di fallire o di non rispondere alle aspettative è inevitabilmente maggiore.
Pertanto, il risultato può essere quello di incentivare pregiudizi ingiusti sulle capacità femminili di esercitare la leadership. L'obiettivo, quindi, non sta solo nell'accrescere il numero delle donne leader, ma anche nel far sì che arrivino al potere in condizioni "normali" e non perché circostanze eccezionali e problematiche ne richiedono la presenza. In Italia nei giorni scorsi si è discusso dell'ipotesi di una donna prima ministra a capo di un esecutivo neutrale. D'altra parte, vale la pena ricordare che ci volle un governo tecnico, l'esecutivo Monti, per avere tre donne tutte in posizioni cruciali (Interno, Giustizia e Welfare), segnando così una discontinuità con l'abitudine prevalente di assegnare alle donne ministeri legati alla cura e alla famiglia e stereotipicamente più associabili al femminile, come Istruzione, Sanità o Ambiente. Da allora vi è stata una maggiore apertura anche nei governi politici che si sono succeduti e si sono avute altre "prime volte", come quella di una donna al ministero della Difesa.
L'impressione che si ricava è che alle donne, politiche o tecniche che siano, potrebbe accadere di arrivare più facilmente al vertice esecutivo qualora si possa rivendicare una funzione di servizio per la collettività, come è stato osservato nel dibattito aperto su questo giornale. La vera normalizzazione del potere femminile, tuttavia, potrà esserci solo quando le leadership emergeranno a naturale compimento di una carriera politica e quando i percorsi che portano uomini e donne alle posizioni apicali saranno gli stessi.
Donatella Campus
(la Repubblica 11 Maggio)

Donatella Campus è scienziata politica presso l'Università di Bologna. Ha scritto "Women Political Leaders and the Media" (Palgrave Macmillan, 2013) e "Lo stile del leader" (Il Mulino, 2016)