NOVA ET VETERA
Sono convinto che, nel navigare verso altre sponde, nessuno di noi intende buttare a mare le radici della nostra "storia". Nel dialogo tra culture e religioni diverse a me preme in modo particolare evitare l'equivoco di un confronto talmente irenico da annullare la possibilità del conflitto oppure la tentazione di dissolvere la propria identità storica nel mondo delle apparenze o in un generico teismo. Il lettore vedrà che per me è essenziale, proprio per riconoscere e rispettare l'alterità dell'altro, ripensare ma non immolare o annebbiare la propria identità, né illuderci di poter proporre un metalinguaggio che assimili e porti ad unità le diverse tradizioni religiose. Ma qui, a mio avviso, dobbiamo fare i conti con due atteggiamenti diversi rispetto alla nostra tradizione e quindi alla nostra identità. È l'atteggiamento tradizionalistico, immobilistico e ripetitivo verso la tradizione che mi fa problema più che la tradizione in sé. Non trovo modo migliore di esplicitare questo problema che riprendere uno scritto di Paul Tillich del 1963: "La tradizione è buona. Il tradizionalismo è cattivo. L'atteggiamento tradizionalistico nei confronti della tradizione impedisce di andare in cerca del significato vivente dei suoi elementi. Questi sono dati per scontati e non vengono più messi in discussione. Ma soltanto se la tradizione viene trasformata frequentemente può essere salvata come realtà vivente. Una conseguenza fatale del tradizionalismo è l'elusione di questioni assai serie. Sembra che le conferenze ministeriali tendano ad evitare i problemi teologici basilari. In un tempo in cui vengono attaccati tutti gli elementi fondamentali del cristianesimo, tale atteggiamento acuisce fortemente l'irrilevanza. I ministri che discutono liberamente i problemi basilari della fede nella predicazione, nell'insegnamento e nella loro attività di consulenza psicologica vedono spesso minacciato il loro impiego. È poi particolarmente penoso quando avviene che gli insegnanti della scuola di catechismo, che sanno destare l'interesse degli allievi - accade, talvolta! - perché affrontano interrogativi che occupano le menti dei ragazzi, vanno incontro alle accuse dei genitori o addirittura al licenziamento, mentre sono al sicuro quelli che controbattono a tali interrogativi con un 'dovete credere'. Poche cose hanno contribuito all'irrilevanza del cristianesimo quanto la scuola di catechismo. Una cosa che favorisce ed incoraggia il tradizionalismo è l'attesa, da parte di molti laici, che le chiese debbano essere un caposaldo del conformismo e in generale del conservatorismo. Essi dimenticano che un tempo esistevano i profeti di Israele, e che nell'intera storia del cristianesimo - per non dire di Gesù e degli apostoli - sono stati proprio i riformatori rivoluzionari ad effettuare continuamente i passi determinanti nello sviluppo delle chiese. A molti le controversie sui fondamenti paiono indebolire le basi che ci sorreggono. Non è cosi soltanto nelle chiese. La parola 'controverso' è divenuta oggi, nell'insieme, una parola negativa. Dovrebbe essere invece una parola quanto mai positiva. Nelle controversie, infatti, nel sì e no', è possibile conoscere la verità, e in nessun altro modo. Se si escludono - vuoi da parte della chiesa, vuoi da parte della società - le affermazioni controverse, tale chiesa e tale società sono condannate ad una lenta decadenza" (L'irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l'umanità oggi, Queriniana, pag. 45).
La tradizione è un oceano mosso e vitale, attraversato da mille correnti: farne uno "specchio immobile" significa non riconoscere la vitalità cristiana nei secoli, la sua fioritura plurale, il bisogno di arricchire il tesoro ricevuto e di cambiare molte parole e di spostare molti accenti nella "canzone della fede". Ma, se il nostro conflitto non diventerà una guerra che mira a sopprimere una delle due teologie, in futuro potremo forse imparare a farci più seriamente carico delle domande e delle preoccupazioni che stanno alla base delle due diverse sensibilità. Solo la mano di Dio può accompagnarci.
Franco Barbero
Pinerolo, 19 novembre 20