In
questi mesi, è capitato a me, come a tanti in Italia, d'avere una
madre anziana a cui servivano continue cure.
L'esperienza
con le badanti s'è rivelata disastrosa e con i miei fratelli abbiamo
creduto di farla entrare in una struttura dove le fossero prestate
cure, controlli medici, fisioterapia.
La
quota non era affatto economica e ci aspettavamo venissero rispettate
le promesse, ma siamo stati preso smentiti. In nostra assenza, a
nostra madre nessuno portava il pranzo, veniva lasciata su una sedia
per ore e spesso nessun medico passava a controllare il suo stato di
salute.
Entrare
in queste sale d'attesa dove si aspetta soltanto la morte come unica
via di fuga, è esperienza difficile. Per chi vi è costretto, una
prigionia arrivata a coronamento di una vita di lavoro.
I
meno fortunati, non possono pagarsi nemmeno questo servizio così
costoso e così mal svolto.
L'età
media si è allungata, il nostro Paese non sembra occuparsene e chi
perde l'autonomia è lasciato alla coscienza dei parenti, ammesso ne
abbia e ne abbiano.
In
questi mesi in cui andavo a trovare mia madre e attraversavo quei
tristi corridoi, mi è tornato in mente il titolo di un libro di
Evtusenko: "Non morire prima di morire". Arrivare vivi alla
morte mi è sembrato urgente e per questo, appena la sua salute lo ha
consentito, ho riportato mia madre a casa.
Se
un Paese fosse giudicato da come tiene le scuole, da come tratta i
suoi malati o i suoi anziani, da come promuove la cura, l'arte, la
bellezza, e maggiormente in quei luoghi dove essa disperatamente
manca, temo che risulteremmo assai scadenti e non credo sia questione
di economia soltanto, ma d'un modo di pensare che andrebbe cambiato e
che in tempi non tanto lontani si sarebbe chiamato "coscienza",
"dignità".
(Michele
Antonacci, La Stampa 24 giugno 2017)