Corso
Biblico. Torino, 04.05.2018.
I
libro dei Re.
(Appunti
presi durante la conferenza di don Franco Barbero).
Nel
continuo alternarsi tra fedeltà ed idolatria nella storia della
monarchia israelita irrompe al capitolo 17 del primo libro dei Re la
figura del profeta Elia che spicca come una grande figura nel
panorama deludente di quella realtà. La profezia, almeno quella
autentica, è uno specchio a rovescio della monarchia, non è una
mistica disincarnata, ma, pur mantenendo costantemente una intensa
relazione con Dio, non si allontana dalla realtà terrena, ma vi si
immerge vivendola a fondo: i due grandi teologi del secolo scorso
Rahner e Metz hanno parlato di "mistica dagli occhi aperti"
e Rahner affermava che il cristianesimo del futuro "o sarà
mistico o non sarà". Caratteristica della profezia é non
disgiungere mai la predicazione dalla vita.
La
storia di Elia è una delle più belle pagine della Bibbia, inizia
con l'immagine del suo pronto rispondere alla chiamata del Signore ed
al suo ritiro in luogo isolato, presso un torrente, dove i corvi gli
portano da mangiare. Ma non si isola
dal mondo: si reca presto da una povera vedova straniera, che
rappresenta la parte più emarginata della società, e compie degli
atti straordinari che ricordano analoghi episodi evangelici: la
moltiplicazione dei pani e la resurrezione del figlio della vedova.
La morale di questo racconto è che il profeta autentico affronta le
difficoltà della vita e tra queste opera la sua missione (a quel
tempo la siccità era una calamità frequente e tragica, perchè
metteva a rischio la stessa sopravvivenza delle persone); in secondo
luogo il profeta sta con i poveri e fa da contraltare ai potenti (re
e sacerdoti); infine il profeta ha fiducia in Dio e se c'è questa il
poco diventa molto.
Nel
suo impegno concreto nel sociale il profeta è chiamato a presentarsi
al re: è ciò che accade nella descrizione dell'inizio del capitolo
18, dove si narra il confronto tra Elia e gli ottocentocinquanta
falsi profeti che sono alla corte del re Acab e dove balza evidente
la solitudine di Elia di fronte alla idolatria dilagante; si capisce
così la paura di Elia (19, 3) e la sua stanchezza (19,4). Egli viene
però richiamato dall'angelo del Signore, che gli ridà coraggio e
forza per andare fino al monte Oreb in un cammino di quaranta giorni,
evidente richiamo al cammino nel deserto dell'Esodo. Il messaggio di
queste pagine è che la forza ci viene da Dio, ma siamo noi che non
la accogliamo. Il dolore e la delusione del profeta per il tradimento
del popolo (19,10) vengono consolati dalla presenza del Signore che
si manifesta come brezza leggera, nel famoso episodio del capitolo 19
(vv. 11 – 13). Elia viene richiamato a continuare la sua missione:
non è vero che è solo, la fede esiste ancora nell'umanità (19,
18). Il capitolo 19 si chiude con la chiamata di Eliseo, un brano che
ispirerà gli episodi evangelici della chiamata dei discepoli (Mt, 4,
18-22; Mc 1, 16-20): in tutti i testi balza evidente la prontezza con
cui i discepoli rispondono alla chiamata.
Il
ciclo del profeta Eliseo si svilupperà nel secondo libro dei Re
secondo le stesse dinamiche già viste: il profeta è contraltare al
potere dei re e ne combatte le deviazioni; ma non tutti i re saranno
idolatri; Giosia sarà un re giusto e sotto il suo regno viene fatto
risalire l'episodio del ritrovamento del libro del Deuteronomio,
databile nell'anno 622 a. C., prima della deportazione degli Ebrei a
Babilonia. In questa circostanza si narra (II Re, capitolo 22) che il
re Giosia, in quanto re fedele, di fronte ad una scoperta così
importante, non si sostituisce ai profeti, ma si rivolge a loro per
ascoltare su come debba comportarsi. Ed ancora una volta interviene,
come figura chiave, una donna, la profetessa Hulda, la quale
preannuncia la sventura che sta per cadere su Israele, a causa della
sua infedeltà. Ma il re Giosia morirà prima e non assisterà alla
deportazione degli ebrei.
Guido Allice