mercoledì 1 agosto 2018

Pronte seicento famiglie per i rifugiati minorenni

Sono 613 i piemontesi che si sono candidati per diventare tutori di minori stranieri arrivati in Italia senza genitori. Per 45 di loro è già arrivato il via libera del Tribunale, gli altri hanno terminato la formazione e aspettano l'autorizzazione, altri ancora inizieranno i corsi di preparazione a settembre. Un esercito della solidarietà, il più numeroso in Italia, che si è mosso dopo l'applicazione di una legge nazionale che prevede il reclutamento di tutori da accoppiare ai minori soli stranieri a cui assicurare la tutela legale e il supporto sociale nel percorso di integrazione. Lo scorso anno i migranti under 18 arrivati in Piemonte sono stati 1000, quest'anno la cifra dovrebbe fermarsi a 600. E se i tempi della burocrazia lo consentiranno, stando ai numeri delle candidature di tutori volontari, potrebbe esserci un accompagnatore per ognuno di loro. Potrebbe perché delle pratiche si occupa prima l'Ufficio del garante regionale dell'infanzia e poi il Tribunale dei minori. E così, racconta la garante Rita Turino, capita che qualche ragazzo nel frattempo diventi maggiorenne e altri scappino prima di conoscere il proprio accompagnatore. Le storie di integrazione però ci sono e «sono la prova che valori come solidarietà e fratellanza non sono stati ancora banditi da questo Paese» ha detto il presidente del Consiglio regionale Nino Boeti, ieri mattina, durante la firma di rinnovo per tre anni dell'accordo per la formazione dei tutori. «Ancora una volta il Piemonte è regione dei diritti, in un momento in cui si tende più ad escludere e tirare su barriere» ha aggiunto l'assessora ai Diritti civili Monica Cerutti.
Il profilo di chi si propone per supportare i ragazzi stranieri è variegato. «Due terzi sono donne, e da parte dei minori, che sono al contrario tutti maschi, non c'è alcuna preclusione, anzi tendono a riconoscere in loro una figura materna» ha spiegato la garante Turino. C'è poi una buona percentuale di pensionati (25 per cento) «che si candida a fare il "nonno" più che il tutor». Perché oltre al supporto legale, l'obiettivo è fornire a questi ragazzi figure di collegamento con la società, che li aiutino nell'integrazione, li vadano a trovare nelle comunità in cui vivono e diventino per loro una famiglia.

(la Repubblica 6 luglio)