“La
formula IO SONO”
"Le
origini della formula sono probabilmente bibliche, più uno sviluppo
avvenuto nel periodo postmaccabaico. L’espressione ebraica ani
hu (“Io
sono”; nella versione greca dei LXX: ego
eimi) è
un segnale che precede un’autodichiarazione divina. Particolarmente
caratteristico del Deutero-Isaia, questo segnale stilistico registra
importanti presenze anche nel Pentateuco e nei profeti (cfr. Gen.
28,13.15: Es. 3,14; 20,1-5; Is. 45,5.6.18; 46,9).
In questi passi
l’”Io sono” sottolinea l’unicità e la maestà di Dio e,
parimenti, la scelta d’Israele dovuta all’amore del Signore. Quel
che più conta e ci si deve chiedere è se, usando questa formula,
Giovanni intenda attribuire a Gesù una natura divina dello stesso
livello dell’essere di Dio. Il passo di Es. 3,14 (nella versione
del LXX) sembra essere chiaramente a monte di Giov. 8,58 e Is.
43,10-11 sembra costituire lo sfondo di Giov. 8,24.28. Entrambi i
passi offrono, come nessun altro testo, paralleli unici dell’uso
assoluto di “Io sono”.
Mentre è vero che l’uso giovanneo della
formulazione seguita da un predicato corrisponde a quegli esempi
nelle Scritture ebraiche dove il Signore è chiamato salvatore (Is.
43,11), custode (is. 27,3) e guaritore d’Israele (Es. 15,26),
perché l’evangelista fa compiere a Gesù la medesima opera
salvifica di Dio, sarebbe un errore vedere nella formula “Io sono”,
usata in senso assoluto (Giov. 8,24.28.58), l’affermazione di
un’identificazione con Dio.
Ovviamente,
gli ascoltatori di Gesù potrebbero aver capito l’espressione in
quel modo e il vangelo registra che, effettivamente, lo hanno fatto
(cfr. 8,50; 10,31-33). Ma Giovanni è talmente chiaro nell’insistere
che Gesù è il rivelatore di Dio dell’età finale, che egli è uno
che viene da lassù e può parlare di Dio soltanto come egli fa (cfr.
3,11; 8,26;12,49), che sarebbe sbagliato vedere un abbandono di
quello schema nell’uso assoluto di “Io sono”.
In questo caso,
come del resto altrove, il Figlio non fa che affermare una sua
intimità assoluta con il Padre. Egli ha unicamente il mandato di
consegnare un messaggio da parte di Colui che lo ha mandato. Egli dà
un accesso unico a Dio essendo stato scelto come unico tramite di
salvezza per chiunque ascolti la sua voce".
Gerard
Sloyan, Giovanni,
Claudiana pag. 133.
Oggi le scienze bibliche ci aiutano a leggere la letteratura giovannea in modo storico, ma persiste nelle chiese cristiane una tragica confusione tra la funzione che Dio ha attribuito a Gesù e la storicità di Gesù che avrebbe ritenuto blasfemo, da ebreo credente, pensarsi nei panni di Dio.
La cultura ecumenica inoltre ci ha regalato un'altra consapevolezza: Gesù non è l'unico mediatore di salvezza perché le vie attraverso le quali Dio ci viene incontro sono molteplici, anche se per noi cristiani Gesù è la "via" che non esclude altre vie.
Franco Barbero