Newsletter n. 111 del 25 settembre 2018
Care Amiche e Amici,
abbiamo visto la Chiesa cinese e partecipato alla messa nella cattedrale
di Pechino alla fine della rivoluzione culturale di Mao, negli anni
settanta del secolo scorso; c'era pure il mitico presidente del
Tribunale dei Minori di Firenze, Giampaolo Meucci. La Chiesa era sotto
il controllo del governo, che ne nominava i vescovi, e quindi sottratta
alla comunione con Roma; perciò era detta "Chiesa patriottica". Noi però
non trovammo una Chiesa comunista, magari invaghita degli ideali
rivoluzionari della Cina popolare, ma anzi una Chiesa conservatrice,
rattrappita nelle sue invariabili ritualità, ignara del nuovo, chiusa in
un'isola di fissità dogmatiche, non raggiunta dal vento dello spirito
che aveva messo sottosopra la Chiesa al Concilio Vaticano II. Era questo
il prezzo della separazione dalla grande Chiesa: la messa in latino, i
fedeli incupiti, non pervenuta la riforma liturgica, ignorati il
rinnovamento biblico, il ritorno alla Parola di Dio, l'ecumenismo, il
dialogo col mondo. Le gerarchie soffrivano la repressione del regime, ma
la Chiesa era già sterile dentro, senz'olio.
Ciò fa capire la vera portata dell'accordo che alfine papa Francesco,
dopo un'amorosissima silenziosa tessitura di rapporti con quello Stato e
quella Chiesa, dopo aver più volte sorvolato la Cina quasi a volerla
abbracciare al principio e alla fine dei suoi viaggi in Oriente, ha
concluso con il governo di Pechino per raggiungere un consenso sulla
nomina dei vescovi, in comunione col papa e nello stesso tempo con il
Paese di cui con i loro fedeli essi sono cittadini.
Certo che si tratta di uno straordinario evento politico, soprattutto se
si confronta con la situazione da cui si era partiti, quando la Cina
non esisteva nemmeno per l'ONU, e la comunità internazionale ufficiale, e
purtroppo anche la Chiesa di Roma, dicevano Cina e intendevano l'isola
di Taiwan, con un bello schiaffo al principio di realtà.
Ma più ancora si tratta di un evento ecclesiale e anzi, oltre le Chiese,
di un grande evento religioso a questa svolta della modernità. Tutti lo
definiscono "storico", tracciando anche un arco nella storia che va dal
gesuita Matteo Ricci, che tentò, con perdite, di seminare il
cristianesimo in coltura cinese, al gesuita Bergoglio che sogna il
poliedro di una Chiesa di Chiese. Ma di quale storicità si tratta? Si
tratta di una storia in cui si riprenda il grande disegno salvifico di
una inculturazione di Dio in tutte le sapienze della terra, un Dio che
non fa discriminazione di persone, che si fa sentire in tutte le lingue,
che non si riserva nessun popolo per sé, che non odia né disprezza il
mondo, un Dio non geloso.
E cosa vorrà dire per la Chiesa cattolica, assediata in Occidente e
vilmente oltraggiata dalle sue stesse curie e relativi portavoce
analogici e digitali, uscire all'aperto e mettersi in cammino e prestare
cura e lavare i piedi a centinaia di milioni di donne e uomini del
Futuro Oriente?
Come diceva Giovanni XXIII - e davvero non si sa dove l'aveva vista in
quel mondo sanguigno della strategia del terrore - "è appena l'aurora".
Del resto in Cina le bende di morte erano già cominciate a cadere. Molti
vescovi già erano stati legittimati da Roma, Benedetto XVI aveva
scritto una lettera accorata al popolo cinese non rimasta senza
risposta, seminaristi cinesi studiano a Roma e fanno il noviziato a
Camaldoli, e lo stesso monachesimo camaldolese si sta preparando per una
sua fondazione in Cina, un monastero, un eremo, una missione al popolo,
chissà.
Dunque nello sfascio di questo tempo pur grandi cose accadono. Né si può
dimenticare la straordinaria pedagogia che in questi giorni, mentre
veniva stipulato l'accordo cinese e in Cina si celebrava la festa della luna, papa Francesco ha usato nei confronti di tre piccoli popoli, Lituania,
Lettonia ed Estonia, che in cento anni, non tutti di indipendenza,
hanno conosciuto il soffrire, l'occupazione sotto due regimi, il nazista
e il sovietico, ghetti, guerra, persecuzione ed esilio e sono oggi
richiamati a un discernimento della memoria perché non accada che la
storia sia dimenticata e senza frutto; e ciò quando oggi, come ha detto
il papa nella cattedrale di san Giacomo in Lettonia, "in nome della
libertà gli uomini liberi assoggettano gli anziani alla solitudine,
all'ostracismo, alla mancanza di risorse e all'esclusione, e perfino
alla miseria", sicché "il cosiddetto treno della libertà e del progresso
finisce per avere, in coloro che hanno lottato per conquistare i
diritti, la sua carrozza di coda, gli spettatori di una festa altrui,
onorati e omaggiati, ma dimenticati nella vita quotidiana".
Con molti cordiali saluti
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