L'abbraccio improprio tra religione e potere
Caro Augias, torna una vecchia regola: il sovranismo ricorre alla religione per rinforzarsi. È successo con il premier Netanyahu che è riuscito a far votare la legge che definisce Israele Stato- nazione degli Ebrei, facendone così un paese confessionale e riducendo a cittadini di serie B i tanti israeliani-arabi nei suoi confini. Analoga involuzione l'ha portata a termine Erdogan in Turchia, azzerando il processo di laicità che aveva contraddistinto il suo paese come un caso esemplare nel quadrante mediorientale. In Russia Putin e il suo regime hanno stretto solida alleanza con la chiesa ortodossa, facendo dimenticare l'ostilità dello Stato sovietico. Anche il nostro Salvini s'è accorto dell'amplificazione di potere che viene dal culto-sovranismo e non s'è fatto mancare l'ostensione del rosario e del vangelo, ridestando la triade dio-patria-famiglia che ha vertebrato le dittature. In una democrazia sana è essenziale la divisione dei poteri ma anche la laicità che libera lo Stato da influenze religiose.
Anche la religione però dovrebbe ritrarsi dall'abbraccio del potere; quando ne diventa strumento si sconsacra.
Massimo Marini, Roma
Il ricordo più antico che ho, a proposito del giusto principio reclamato in questa lettera, risale al sofista Crizia (V secolo a. C.) che in un dramma satiresco sviluppava la teoria secondo cui gli dèi furono inventati per tenere a freno gli uomini, costringerli a comportamenti morali, a non delinquere - in una parola a non minacciare, possibilmente a consolidare, il potere. Anche Mosè, condottiero di popoli, fondatore dell'identità ebraica, rafforzò il suo prestigio dichiarando, dopo la salita al monte Sinai, di aver parlato con l'Onnipotente, che quella era la legge, cioè le norme base del potere politico. Il comportamento di Netanyahu, che più interessa per le conseguenze che l'ultima legge potrà comportare, partecipa della stessa logica. Nel sito in rete Gush Shalom (Blocco della Pace) curato dal movimento pacifista israeliano fondato da Uri Avnery - contrapposto al Gush Emunim (Blocco della Gente) movimento della destra populista - ho letto un lucido intervento sull'argomento. Michael Schaeffer, l'autore, fa notare che, se si conta fino al 19 luglio scorso, l'arabo è stato una lingua ufficiale d'Israele per 70 anni, 2 mesi, 5 giorni. Ci si è affrettati a ripetere che anche dopo la nuova legge questa lingua manterrà le sue prerogative, ma il fatto di aver perso lo status di lingua ufficiale, insieme alle altre norme che la legge contempla, manda un doppio e chiaro messaggio. Agli Ebrei dice che Israele è il loro stato-nazione, la loro casa (Homeland) esclusiva. Ai Palestinesi dice che Israele non appartiene a tutti i suoi cittadini, un quinto dei quali non sono Ebrei. Molte norme che la legge racchiude e dalle quali dipendono le condizioni di vita e di lavoro degli arabo-israeliani, erano di fatto già in vigore; nella pratica non ci saranno molte differenze. Mancava però un riconoscimento a livello costituzionale di questa disparità, ora c'è. La nuova legge è una mossa di tipo ideologico, allontana ancora di più (se mai ce ne fosse stato bisogno) la prospettiva due popoli, due patrie.
Corrado Augias
(la Repubblica 25 luglio)
Caro Augias, torna una vecchia regola: il sovranismo ricorre alla religione per rinforzarsi. È successo con il premier Netanyahu che è riuscito a far votare la legge che definisce Israele Stato- nazione degli Ebrei, facendone così un paese confessionale e riducendo a cittadini di serie B i tanti israeliani-arabi nei suoi confini. Analoga involuzione l'ha portata a termine Erdogan in Turchia, azzerando il processo di laicità che aveva contraddistinto il suo paese come un caso esemplare nel quadrante mediorientale. In Russia Putin e il suo regime hanno stretto solida alleanza con la chiesa ortodossa, facendo dimenticare l'ostilità dello Stato sovietico. Anche il nostro Salvini s'è accorto dell'amplificazione di potere che viene dal culto-sovranismo e non s'è fatto mancare l'ostensione del rosario e del vangelo, ridestando la triade dio-patria-famiglia che ha vertebrato le dittature. In una democrazia sana è essenziale la divisione dei poteri ma anche la laicità che libera lo Stato da influenze religiose.
Anche la religione però dovrebbe ritrarsi dall'abbraccio del potere; quando ne diventa strumento si sconsacra.
Massimo Marini, Roma
Il ricordo più antico che ho, a proposito del giusto principio reclamato in questa lettera, risale al sofista Crizia (V secolo a. C.) che in un dramma satiresco sviluppava la teoria secondo cui gli dèi furono inventati per tenere a freno gli uomini, costringerli a comportamenti morali, a non delinquere - in una parola a non minacciare, possibilmente a consolidare, il potere. Anche Mosè, condottiero di popoli, fondatore dell'identità ebraica, rafforzò il suo prestigio dichiarando, dopo la salita al monte Sinai, di aver parlato con l'Onnipotente, che quella era la legge, cioè le norme base del potere politico. Il comportamento di Netanyahu, che più interessa per le conseguenze che l'ultima legge potrà comportare, partecipa della stessa logica. Nel sito in rete Gush Shalom (Blocco della Pace) curato dal movimento pacifista israeliano fondato da Uri Avnery - contrapposto al Gush Emunim (Blocco della Gente) movimento della destra populista - ho letto un lucido intervento sull'argomento. Michael Schaeffer, l'autore, fa notare che, se si conta fino al 19 luglio scorso, l'arabo è stato una lingua ufficiale d'Israele per 70 anni, 2 mesi, 5 giorni. Ci si è affrettati a ripetere che anche dopo la nuova legge questa lingua manterrà le sue prerogative, ma il fatto di aver perso lo status di lingua ufficiale, insieme alle altre norme che la legge contempla, manda un doppio e chiaro messaggio. Agli Ebrei dice che Israele è il loro stato-nazione, la loro casa (Homeland) esclusiva. Ai Palestinesi dice che Israele non appartiene a tutti i suoi cittadini, un quinto dei quali non sono Ebrei. Molte norme che la legge racchiude e dalle quali dipendono le condizioni di vita e di lavoro degli arabo-israeliani, erano di fatto già in vigore; nella pratica non ci saranno molte differenze. Mancava però un riconoscimento a livello costituzionale di questa disparità, ora c'è. La nuova legge è una mossa di tipo ideologico, allontana ancora di più (se mai ce ne fosse stato bisogno) la prospettiva due popoli, due patrie.
Corrado Augias
(la Repubblica 25 luglio)