L'omofobia con poltrona
Luigi Di Maio, il grillino che non andava a caccia di poltrone ma ne ha pretese e ottenute tre - solo per se stesso - è così fissato con la caccia ai raccomandati che voleva addirittura creare un ministero per la Meritocrazia. Non sappiamo chi avrebbe scelto, se ci fosse riuscito, né se avrebbe preferito un uomo o una donna, un laureato o un fuoricorso, ma crediamo di sapere da quale città sarebbe arrivato: Pomigliano d'Arco.
È infatti dalla città del vicepremier che viene - lo abbiamo appreso solo ieri, con colpevole ritardo - il suo vice capo dell'Ufficio legislativo al ministero dello sviluppo economico, ovvero uno dei suoi più influenti e autorevoli consiglieri nella stesura di leggi, decreti e regolamenti. Uno degli invisibili protagonisti di quel delicatissimo lavoro che incastra obblighi e diritti, divieti e doveri, regole e penalità.
Noi che ogni sera (ma anche la mattina, a pranzo e qualche volta anche nel pomeriggio) vediamo spuntare in tv o sul pc la faccia da bravo ragazzo del vicepremier grillino che soavemente ci spiega che loro stanno restituendo al popolo l'Italia che «quelli di prima» svendevano «ai loro amici», sinceramente ci saremmo aspettati che, arrivato finalmente in cima alla piramide del potere, Di Maio scegliesse il meglio del meglio. Non necessariamente un maestro del diritto, ma almeno un giurista con qualche titolo.
Scopriamo invece, grazie a L'Espresso, che per quel delicatissimo incarico ha nominato un suo compaesano - tale Enrico Esposito -il quale su Facebook ha dichiarato una guerra personale ai gay (che lui chiama simpaticamente "ricchioni"), sforna esilaranti battute sui loro atelier, dove «si può sempre entrare dal retro», scherza amabilmente sulle «mignotte nelle quote rosa», ci rivela che «in un Paese serio Vladimir Luxuria sarebbe in galera, non in Parlamento» e ci strizza l'occhio confidandoci che per una showgirl di successo «il vaffanculo è un lavoro, mica un insulto».
Ora, per trovare un simile concentrato di omofobia, misoginia e ignoranza neanderthaliana bisogna entrare dopo le due di notte in una bettola di nazisti dell'Illinois. Roba da chiamare il 118, più che i carabinieri. E invece il ministro Di Maio prende l'autore di questi post - che oggi naturalmente si dichiara vittima della «macchina del fango» - e lo nomina nel suo ufficio legislativo, con uno stipendio di 65 mila euro l'anno. Perché era suo collega di studi a Giurisprudenza (anche se l'unico che studiava era Esposito: Di Maio diede solo qualche esame).
Ma lo sceglie, tra i non pochi giuristi italiani di fede grillina, soprattutto perché è di Pomigliano d'Arco.
Come Assia Montanino, 26 anni, capo della sua segreteria in tutti e due i ministeri, ingaggiata per 72 mila euro l'anno. E come Dario De Falco, 34 anni, capo della segreteria a Palazzo Chigi, col quale il quindicenne Di Maio condivise la sua prima elezione: nel consiglio d'istituto al liceo Classico "Vittorio Imbriani".
Con Esposito sono tre, i compaesani del vicepremier che lavorano per il governo. Sia chiaro: noi non nutriamo alcun pregiudizio verso gli abitanti di Pomigliano d'Arco. Non abbiamo nulla contro di loro (e nemmeno contro quei 59 amici, parenti e vicini di casa che alle Comunali del 2010 votarono per il candidato Di Maio, non eletto), ci mancherebbe altro.
Ma sarebbe ora che lui si decidesse. Se uno vuole creare il ministero della Meritocrazia, e dice di aver ingaggiato «le eccellenze di questo Paese», poi non può affidare due ministeri-chiave a un fulmine di guerra come Toninelli. E non può scegliersi consiglieri e collaboratori solo tra i compagni di scuola, dando la precedenza a chi racconta le battute più sconce sui "ricchioni", sulle mignotte e sui transessuali.
Sebastiano Messina
(la Repubblica 12 Ottobre)
Luigi Di Maio, il grillino che non andava a caccia di poltrone ma ne ha pretese e ottenute tre - solo per se stesso - è così fissato con la caccia ai raccomandati che voleva addirittura creare un ministero per la Meritocrazia. Non sappiamo chi avrebbe scelto, se ci fosse riuscito, né se avrebbe preferito un uomo o una donna, un laureato o un fuoricorso, ma crediamo di sapere da quale città sarebbe arrivato: Pomigliano d'Arco.
È infatti dalla città del vicepremier che viene - lo abbiamo appreso solo ieri, con colpevole ritardo - il suo vice capo dell'Ufficio legislativo al ministero dello sviluppo economico, ovvero uno dei suoi più influenti e autorevoli consiglieri nella stesura di leggi, decreti e regolamenti. Uno degli invisibili protagonisti di quel delicatissimo lavoro che incastra obblighi e diritti, divieti e doveri, regole e penalità.
Noi che ogni sera (ma anche la mattina, a pranzo e qualche volta anche nel pomeriggio) vediamo spuntare in tv o sul pc la faccia da bravo ragazzo del vicepremier grillino che soavemente ci spiega che loro stanno restituendo al popolo l'Italia che «quelli di prima» svendevano «ai loro amici», sinceramente ci saremmo aspettati che, arrivato finalmente in cima alla piramide del potere, Di Maio scegliesse il meglio del meglio. Non necessariamente un maestro del diritto, ma almeno un giurista con qualche titolo.
Scopriamo invece, grazie a L'Espresso, che per quel delicatissimo incarico ha nominato un suo compaesano - tale Enrico Esposito -il quale su Facebook ha dichiarato una guerra personale ai gay (che lui chiama simpaticamente "ricchioni"), sforna esilaranti battute sui loro atelier, dove «si può sempre entrare dal retro», scherza amabilmente sulle «mignotte nelle quote rosa», ci rivela che «in un Paese serio Vladimir Luxuria sarebbe in galera, non in Parlamento» e ci strizza l'occhio confidandoci che per una showgirl di successo «il vaffanculo è un lavoro, mica un insulto».
Ora, per trovare un simile concentrato di omofobia, misoginia e ignoranza neanderthaliana bisogna entrare dopo le due di notte in una bettola di nazisti dell'Illinois. Roba da chiamare il 118, più che i carabinieri. E invece il ministro Di Maio prende l'autore di questi post - che oggi naturalmente si dichiara vittima della «macchina del fango» - e lo nomina nel suo ufficio legislativo, con uno stipendio di 65 mila euro l'anno. Perché era suo collega di studi a Giurisprudenza (anche se l'unico che studiava era Esposito: Di Maio diede solo qualche esame).
Ma lo sceglie, tra i non pochi giuristi italiani di fede grillina, soprattutto perché è di Pomigliano d'Arco.
Come Assia Montanino, 26 anni, capo della sua segreteria in tutti e due i ministeri, ingaggiata per 72 mila euro l'anno. E come Dario De Falco, 34 anni, capo della segreteria a Palazzo Chigi, col quale il quindicenne Di Maio condivise la sua prima elezione: nel consiglio d'istituto al liceo Classico "Vittorio Imbriani".
Con Esposito sono tre, i compaesani del vicepremier che lavorano per il governo. Sia chiaro: noi non nutriamo alcun pregiudizio verso gli abitanti di Pomigliano d'Arco. Non abbiamo nulla contro di loro (e nemmeno contro quei 59 amici, parenti e vicini di casa che alle Comunali del 2010 votarono per il candidato Di Maio, non eletto), ci mancherebbe altro.
Ma sarebbe ora che lui si decidesse. Se uno vuole creare il ministero della Meritocrazia, e dice di aver ingaggiato «le eccellenze di questo Paese», poi non può affidare due ministeri-chiave a un fulmine di guerra come Toninelli. E non può scegliersi consiglieri e collaboratori solo tra i compagni di scuola, dando la precedenza a chi racconta le battute più sconce sui "ricchioni", sulle mignotte e sui transessuali.
Sebastiano Messina
(la Repubblica 12 Ottobre)