Si
tratta di un'iniziativa molto pregevole che coinvolge alcune centinaia
di persone (preti, frati, suore, diaconi, laici di tutte le età),
promossa dal nuovo vescovo di Pinerolo.
"Pasto, sacrificio e
mutamenti nei ministeri" è il tema ampiamente svolto dal teologo Andrea
Grillo, partendo da alcune riflessioni di Romano Guardini sulla messa e
di P. Parsch.
Ho ascoltato parecchie considerazioni positive che in parte avevo già letto nel libro "Iniziazione" dello stesso autore.
Ma voglio esplicitare alcune note di dissenso teologico.
Continuamente
Grillo fa appello al "sacrificio" descrivendo un percorso in cui una
parte della teologia cattolica conclude che tra convito e sacrificio si
realizza "una grande sintesi".
Solo alla fine del suo discorso il teologo ha fatto un veloce accenno al "fare memoria".
L'appello
al fare memoria, a mio avviso, non solo è centrale nei Vangeli e in
Paolo.
Per il Vangelo di Luca e per Paolo ai Corinzi la memoria è
addirittura la "consegna" fatta ai discepoli.
Mentre il
sacrificio è insottraibile (per quanta ginnastica teologica si faccia) e
interno alla ideologia dell'espiazione, il fare memoria è uno degli
elementi costitutivi
e più costruttivi per vivere la realtà del convito eucaristico.
Questo
parziale oblio della categoria della memoria, a mio avviso, tace un
dibattito tuttora vivace anche dentro la chiesa cattolica.
I
nomi che potrei citare sono pagine intere a partire da Biandrata a Kung,
Schillebeekx, Barbaglio, Lenaers, Spong, Vigil... fino all'ultimo libro
di Emanuele Parrino e
le ricchissime riflessioni delle teologie femministe.
Ancora
una annotazione: il linguaggio sacrificale, se osiamo inoltrarci nei
secoli della nostra storia cristiana (teologia, catechesi, spiritualità), non dovrebbe renderci più diffidenti?
Non abbiamo interpretato la condanna a morte di Gesù come il prezzo da pagare a Dio per espiare i nostri peccati?
E
questo concetto soggiacente di espiazione non ha devastato la vita di
molti e molte cristiane mettendoli davanti ad un Dio contabile, giudice,
ragioniere?
Non mi sembrano domande eludibili oppure oziose e superate.
Penso
che il passaggio dalla teologia del sacrificio alla teologia e alla
prassi liturgica della memoria costituisca un efficace invito alla
riscoperta della festa cristiana
e ci renda consapevoli,
gioiosamente consapevoli, che abbiamo da testimoniare, da ricordare, da
annunciare un evento di fecondità inesauribile per la chiesa e per il
mondo.
Sono sorpreso quando le questioni attinenti la
sacramentaria vengono "sintetizzate" (anche in lunghissimi discorsi, in
verità) senza mai evidenziare che la nostra
tradizione cristiana è ricchissima di problemi aperti. Lasciamo per ora da parte la patristica,
ma
anche i secoli successivi al Concilio di Trento (1545 - 1563) hanno
registrato un dibattito che forse ci farebbe un gran bene rivisitare.
Penso
in questo momento a Karl Barth, alla reazione di Heinrich Schlier, di
W. Kasper, Piet Schoonenberg, Karl Lehmann, J. P. Bonnard, Daniel
Boureau,
J. Moingt, P. Gisel, J. Fameree... Perchè non far gustare quanto la
storia cristiana sia un meraviglioso laboratorio per cercare risposte
e aprire strade nuove? E' la memoria storica che aiuta a partorire il futuro.
Io
amo particolarmente questa chiesa quando mostra le sue carte, i suoi
tentativi, i suoi tradimenti, ma anche il travaglio dello Spirito che
non la lascia dormire tranquilla
sui guanciali della ripetizione.
Nel mio piccolo ministero trovo enorme interesse a questi temi. Migliaia di lettere mi interpellano ponendo
interrogativi
decisivi per una fede adulta e dimostrando il desiderio di accedere al
percorso storico dei sacramenti per vivere oggi più intensamente
in contatto con il messaggio delle Scritture.
Si
può così offrire alla comunità un servizio, consapevoli che anche la
conoscenza - mai e poi mai da sola - può aiutare a percorrere meglio il
cammino dell'amore testimoniato da Gesù.
Ma resto convinto
che, finché si parlerà del "sacrificio della messa", non si aiuteranno i
cristiani a far luce sul fatto che Gesù non si è sacrificato per i
nostri peccati, che Dio
non ha voluto la sua espiazione per
la nostra salvezza. Gesù è stato condannato e crocifisso per le scelte
che ha compiuto con estrema coerenza.
Sono il potere romano e i poteri religiosi del tempio che lo hanno condannato.
Questo
per prendere atto della storia e togliere la maschera del Dio cruento
ed amante dell'espiazione con cui certa teologia ha cancellato i tratti
del Padre accogliente verso tutti i suoi figli e figlie.
Il
linguaggio sacrificale, per quanto attenuato, mantiene le tracce di un
dio da placare, un dio repellente, mille miglia lontano dal Dio di cui
ci danno testimonianza le Scritture e Gesù di Nazareth.
Celebrare
nel convito e mediante il convito la memoria del Gesù storico ci
sollecita a convertire i nostri cammini personali e comunitari nella direzione della
condivisione e a lottare perché la politica
metta al centro, non il bottino di pochi, ma il banchetto di tutti e tutte. Così liturgia e vita si danno la mano...
Franco Barbero