La
zizzania nel campo di grano (Mt. 13, 24 – 30)
Matteo
è l'unico Evangelista che ci riporta questa parabola che risponde
alla domanda se Dio è buono e il suo regno annunciato da Gesù,
cresce e si sviluppa, perché sperimentiamo la violenza, il male, la
malvagità in noi e attorno a noi? Questa domanda era decisiva per la
comunità di giudeo-cristiani che avevano assistito alla
distruzione del tempio di Gerusalemme per mano dei soldati romani.
Il
racconto è semplice: un uomo semina del grano buono nel campo,
ma, durante la notte, viene il suo nemico e semina della zizzania, un
erba infestante molto simile al grano, ma che produce un chicco scuro
non commestibile e che intreccia le sue radici con il grano. C'è
sempre qualcuno che vuole distruggere il lavoro degli altri con le
buone o con le cattive maniere. Bisogna essere realisti ci sono
persone che agiscono per da danneggiare gli altri, sperando ricavarne
un vantaggio o credendo di vendicare un torto subito.
Il
punto di forza della parabola si trova nel dialogo che segue
l'episodio: I servi non devono strappare la zizzania, devono lasciare
che cresca insieme al buon grano fino a quando la maturazione del
frutto permetterà di riconoscere il grano con certezza, impedendo
strappare qualche spiga per errore. Ci sconcerta l'agire di Dio
e la sua pazienza, e la sua logica. Davanti allo zelo dei servi che
vorrebbero strappare la zizzania, Dio invita aspettare, a pazientare.
Dal nostro punto di vista è un danno collaterale se si strappa una
spiga in relazione con l'intero raccolto salvato. Il punto di vista
di Dio è diverso, deriva della sua ossessiva attenzione alla pecora
smarrita, all'uno che diventa unico, al marginale che viene messo nel
mezzo.
Noi
non siamo in grado di operare correttamente la cernita: grossolani
come siamo, e anche un po' autoreferenziali, corriamo il rischio di
giudicare gli altri dal nostro punto di vista, principi, ideologie
e dogmi.
Il
racconto dice che il nemico semina mentre i servi dormono: occorre
vegliare, vigilare. Il tema della vigilanza, della consapevolezza è
fondamentale nei Vangeli. Rendersi conto, capire, vedere. Si tratta
di prendere come strumento di lettura della realtà e di noi
stessi la logica del vangelo, investire nella preghiera e nella
meditazione, ci aiuta anche il confronto con una persona autorevole.
La vigilanza è la grande assente del nostro tempo... non c'è tempo!
Il mondo è diventato così complesso! E noi non possediamo la
conoscenza ne le energie sufficienti per riuscire a districarci.
Allora va bene tutto, cerchiamo, come tutti, di sopravvivere,
senza porci troppe domande.
Dio
ci chiede di pazientare! Dio non sottovaluta il male ma ci
chiede di considerarlo come lo vede Lui, guardando in prospettiva,
guardando oltre. La pazienza è un atteggiamento che ha a che
fare col patire, col dolore. Non ci viene spontanea. E ha che
fare col tempo: un tempo gravido, certo, di attesa e di inazione, di
fiducia e di abbandono, di sguardo ottimista e di fede.
Per
la fede vedo il campo del mondo seminato di grano buono, non travolto
della tenebre, destinato al caos. Non lo fuggo, ci sto in mezzo. Per
la fede credo che nessuna vita è persa, non mi illudo di distinguere
il bene dal male, e vedere nemici ovunque intorno a me. Non mi sento
predestinato o migliore, non guardo con disprezzo la zizzania,
perché non sono grano. Non sono solo grano. Sono anche zizzania e
io per primo mi devo combattere. Non ci sono i “buoni”, quasi
sempre noi, e i “cattivi”, quasi sempre gli altri. Voglio avere
pazienza con gli altri, senza criticare, senza giudicare
ingiustamente. E soprattutto, ho pazienza con me, con le mie fatiche,
con i miei limiti. Accetto invece di essere come sono, riconoscendo
di buon grado le ombre che ancora ci sono perché le ombre servono a
definire meglio la luce.