Tutti
gli anni i cristiani celebrano il ricordo della nascita di Gesù e
l’adorazione dei magi. Il racconto di Matteo in realtà voleva
mettere in luce che Gesù era “il re dei Giudei” e che la stella
indicava il sorgere del nuovo regno di Dio su tutti i popoli della
terra (Mt 2,2). I vangeli volevano affermare che Gesù era il messia
liberatore del popolo di Israele (At 1,6). Il cristianesimo
successivo, però, ha dato un senso profondamento diverso a questi
testi, staccandoli dal loro contesto giudaico e trasformando l’ebreo
Gesù in una specie di Dio antico che scende sulla terra per salvare
l’umanità. Su questo si è innestata una mitologia cristiana
immensamente lontana da quello che Gesù diceva e faceva.
Ma
i pochi anni (o pochi mesi) in cui Gesù svolse la sua attività sono
ancora oggi un punto di riferimento essenziale.
Ciò che conta di
Gesù è anzitutto la sua pratica di vita. Il suo primo messaggio e
ancora oggi, come ai tempi di Francesco d’Assisi, il suo modo di
vita radicale: senza casa, lavoro, beni, itinera di villaggio in
villaggio, lontano dalle città ellenizzate e romanizzate, apre le
case della gente invitandole all’ospitalità, alla convivialità
con i più poveri e malati. Gesù non voleva morire. Il suo proposito
era preparare l’ingresso degli uomini nel regno divino: desiderava
che il mondo cambiasse e che si concretizzasse al più presto il
grande avvento di Dio.
La predicazione di Gesù provocava l’ostilità
dei detentori del potere. Gesù stava dalla parte dei poveri,
denunciava la ricchezza come nemica di Dio, prevedeva il condono dei
debiti, rifiutava il ripudio delle donne da parte dei mariti e dava
scarsa importanza alle regole rituali: tutto ciò faceva immaginare
un possibile ribaltamento dell’ordine sociale e provocava
l’ostilità delle élite.
Gesù
sperò fino alla fine nell’avvento immediato del potere divino e
fece il possibile per evitare la propria morte, che non gli sembrava
necessaria per questo avvento. Gesù non fu ucciso perché così era
stato stabilito da Dio, ma perché rappresentava un elemento di
destabilizzazione: le sue parole sull’ingiustizia erano state
taglienti. Aveva osato denunciare gli atti offensivi dei potenti,
frequentava i peccatori e parlava di perdono.
Nella
predicazione ecclesiastica corrente, invece, la sua morte non è
l’esito della volontà degli avversari di toglierlo di mezzo, ma è
presentata come se fosse il suo stesso annuncio. La pena capitale
inflitta dal potere politico diventa così un’azione programmata da
Dio. Ciò è cruciale, perché disinnesca la carica esplosiva dello
scandalo e trasforma la morte in un modello di ascesi personale.
Eliminare le motivazioni storiche e esaltare una causa divina
trasforma il senso non solo della morte di Gesù, ma anche della sua
vita.
Se vogliamo riassumere tutto in poche parole, dobbiamo dire: il
significato universale di Gesù sta nella sua pratica di vita basata
sull’annuncio dell’arrivo del regno di Dio. Il significato di
Gesù non sta nella sua morte ma nella sua azione positiva per i più
deboli e nel suo invito alla conversione e all’amore reciproco.
Imitare Gesù è seguire il suo stile di vita e la sua azione, non un
mistico, inutile sacrificarsi interiore.
Come
leggere allora criticamente i vangeli? Consiglio questa volta alcune
opere di Claudio Gianotto: I
Vangeli apocrifi (Il
Mulino, 2009) e Ebrei
che credevano in Gesù (Edizioni
Paoline, 2012). Su Gesù: A. Destro-M. Pesce, L’uomo
Gesù (Mondadori,
2008) e La
morte di Gesù (Rizzoli,
2014). La ricerca sul Gesù storico non è la negazione della fede,
ma è al contrario la ricerca di una fede più vera, più umana, più
radicale, più fedele all’ebreo Gesù. E’ una ricerca che ci
allontana dalla mitologia consolante che lascia il mondo come sta e
spesso finisce per giustificarlo spalmando un mieloso perdonismo su
oppressori e oppressi, limitandosi a chiedere solo alle vittime di
perdonare i loro predatori.