domenica 13 gennaio 2019

IL SENSO DI GESU' E DEL SUO MESSAGGIO

Tutti gli anni i cristiani celebrano il ricordo della nascita di Gesù e l’adorazione dei magi. Il racconto di Matteo in realtà voleva mettere in luce che Gesù era “il re dei Giudei” e che la stella indicava il sorgere del nuovo regno di Dio su tutti i popoli della terra (Mt 2,2). I vangeli volevano affermare che Gesù era il messia liberatore del popolo di Israele (At 1,6). Il cristianesimo successivo, però, ha dato un senso profondamento diverso a questi testi, staccandoli dal loro contesto giudaico e trasformando l’ebreo Gesù in una specie di Dio antico che scende sulla terra per salvare l’umanità. Su questo si è innestata una mitologia cristiana immensamente lontana da quello che Gesù diceva e faceva.
Ma i pochi anni (o pochi mesi) in cui Gesù svolse la sua attività sono ancora oggi un punto di riferimento essenziale. 
Ciò che conta di Gesù è anzitutto la sua pratica di vita. Il suo primo messaggio e ancora oggi, come ai tempi di Francesco d’Assisi, il suo modo di vita radicale: senza casa, lavoro, beni, itinera di villaggio in villaggio, lontano dalle città ellenizzate e romanizzate, apre le case della gente invitandole all’ospitalità, alla convivialità con i più poveri e malati. Gesù non voleva morire. Il suo proposito era preparare l’ingresso degli uomini nel regno divino: desiderava che il mondo cambiasse e che si concretizzasse al più presto il grande avvento di Dio. 
La predicazione di Gesù provocava l’ostilità dei detentori del potere. Gesù stava dalla parte dei poveri, denunciava la ricchezza come nemica di Dio, prevedeva il condono dei debiti, rifiutava il ripudio delle donne da parte dei mariti e dava scarsa importanza alle regole rituali: tutto ciò faceva immaginare un possibile ribaltamento dell’ordine sociale e provocava l’ostilità delle élite.
Gesù sperò fino alla fine nell’avvento immediato del potere divino e fece il possibile per evitare la propria morte, che non gli sembrava necessaria per questo avvento. Gesù non fu ucciso perché così era stato stabilito da Dio, ma perché rappresentava un elemento di destabilizzazione: le sue parole sull’ingiustizia erano state taglienti. Aveva osato denunciare gli atti offensivi dei potenti, frequentava i peccatori e parlava di perdono.
Nella predicazione ecclesiastica corrente, invece, la sua morte non è l’esito della volontà degli avversari di toglierlo di mezzo, ma è presentata come se fosse il suo stesso annuncio. La pena capitale inflitta dal potere politico diventa così un’azione programmata da Dio. Ciò è cruciale, perché disinnesca la carica esplosiva dello scandalo e trasforma la morte in un modello di ascesi personale. Eliminare le motivazioni storiche e esaltare una causa divina trasforma il senso non solo della morte di Gesù, ma anche della sua vita. 
Se vogliamo riassumere tutto in poche parole, dobbiamo dire: il significato universale di Gesù sta nella sua pratica di vita basata sull’annuncio dell’arrivo del regno di Dio. Il significato di Gesù non sta nella sua morte ma nella sua azione positiva per i più deboli e nel suo invito alla conversione e all’amore reciproco. Imitare Gesù è seguire il suo stile di vita e la sua azione, non un mistico, inutile sacrificarsi interiore.
Come leggere allora criticamente i vangeli? Consiglio questa volta alcune opere di Claudio Gianotto: I Vangeli apocrifi (Il Mulino, 2009) e Ebrei che credevano in Gesù (Edizioni Paoline, 2012). Su Gesù: A. Destro-M. Pesce, L’uomo Gesù (Mondadori, 2008) e La morte di Gesù (Rizzoli, 2014). La ricerca sul Gesù storico non è la negazione della fede, ma è al contrario la ricerca di una fede più vera, più umana, più radicale, più fedele all’ebreo Gesù. E’ una ricerca che ci allontana dalla mitologia consolante che lascia il mondo come sta e spesso finisce per giustificarlo spalmando un mieloso perdonismo su oppressori e oppressi, limitandosi a chiedere solo alle vittime di perdonare i loro predatori.

Mauro Pesce Da Adista 29/12/2018