Adesso lo scandalo Pasquaretta mette in ansia anche i vertici M5S
Sono stati sei mesi di ostinato silenzio quelli di Luca Pasquaretta con i magistrati della procura di Torino. L'ex portavoce della sindaca ha sempre declinato ogni invito a farsi interrogare fin dall'estate del 2018, da quando cioè fu travolto dalla prima accusa di peculato per la consulenza fittizia al Salone del libro. Lui non si presentava in procura, e la sindaca Chiara Appendino rifiutava di rispondere in Sala Rossa alle domande del capogruppo all'opposizione Stefano Lorusso: «Sapeva di questa consulenza del suo capo ufficio stampa e sa di altre?» Una doppia consegna al silenzio, insomma, giudiziaria e politica.
Anche dopo le nuove accuse di estorsione e le perquisizioni in casa e in automobile il 1° febbraio 2019, il pitbull (come era lieto di essere stato soprannominato) ha confermato la sua scelta di non rispondere.
Pasquaretta martedì non si è presentato in procura e ha mandato il suo nuovo avvocato, Stefano Caniglia, nominato dopo che Luigi Chiappero (difensore anche di Appendino) ha dismesso il mandato per incompatibilità. «Per il momento non parliamo, poi vedremo». Un silenzio assoluto nelle sedi istituzionali che però contrasta con le chiacchiere al telefono, con gli sfoghi incontrollati di Pasquaretta con amici e colleghi, con le minacce di andare «in procura e far crollare tutto» negli stessi mesi.
«Mi sono preso gli avvisi di garanzia per lei» ha detto più volte il giornalista al telefono. La sua frase intercettata appare la spiegazione più evidente alla scelta di dribblare ogni interrogatorio. Se Luca Pasquaretta parla, Chiara Appendino finisce nei guai. E tacere al pm è un diritto dell'indagato in ogni momento dell'inchiesta. Ma in politica? Ora in politica questa linea sembra non bastare. E una crescente preoccupazione oltrepassa i confini della città. Diffondono l'allarme fino a Palazzo Chigi le numerose convocazioni in procura del pm Gianfranco Colace a esponenti del Movimento con incarichi nazionali.
Luigi Di Maio è determinato a evitare che il piccolo scandalo di provincia si trasformi in un caso nazionale. La sottosegretaria all'Economia, Laura Castelli, e l'europarlamentare, Tiziana Beghin, sono già state sentite dagli inquirenti, ma il capo politico del M5s vuole evitare che si arrivi a coinvolgere lui stesso - che Pasquaretta nei momenti di tensione massima cercava di contattare - o altri vertici nazionali come Pietro Dettori a Massimo Bugani. I suoi fedelissimi, infatti, Pasquaretta lo conoscono fin dalla campagna elettorale che ha portato Appendino a Palazzo Civico. E Dettori, quando ancora lavorava alla Casaleggio Associati, era il vero referente di Pasquaretta. Attraverso di lui la sindaca riferiva alla società che controllava il blog di Beppe Grillo. Prima ancora di essere cacciato come portavoce di Appendino il giornalista lucano cercava supporto a Roma per riuscire a entrare nello staff di Palazzo Chigi. E solo il rifiuto del potente capo ufficio stampa di Giuseppe Conte, Rocco Casalino, ha evitato che si concretizzasse questa opzione. Nessuno, da Di Maio a Bugani, che è l'uomo ombra del vicepremier, dice di essere stato a conoscenza del ricatto dietro alle richieste di Pasquaretta.
Anche Castelli e Beghin, a lei vicinissime, hanno preso le distanze. Se in procura i contorni della vicenda si stanno delineando pian piano, all'interno del movimento alcune domande circolano insistentemente. Perché, a settembre, la sottosegretaria Castelli ha inserito Pasquaretta nel suo staff comunicazione? Tutti hanno percepito che lei viveva con imbarazzo la soluzione. Basti pensare che con gli attivisti torinesi ha ammesso di averlo fatto solo a novembre, quando Pasquaretta ha iniziato a mandare comunicati ufficiali e la collaborazione non poteva essere più tenuta nascosta.
Ottavia Giustetti e Jacopo Ricca
(la Repubblica 11 febbraio)
Sono stati sei mesi di ostinato silenzio quelli di Luca Pasquaretta con i magistrati della procura di Torino. L'ex portavoce della sindaca ha sempre declinato ogni invito a farsi interrogare fin dall'estate del 2018, da quando cioè fu travolto dalla prima accusa di peculato per la consulenza fittizia al Salone del libro. Lui non si presentava in procura, e la sindaca Chiara Appendino rifiutava di rispondere in Sala Rossa alle domande del capogruppo all'opposizione Stefano Lorusso: «Sapeva di questa consulenza del suo capo ufficio stampa e sa di altre?» Una doppia consegna al silenzio, insomma, giudiziaria e politica.
Anche dopo le nuove accuse di estorsione e le perquisizioni in casa e in automobile il 1° febbraio 2019, il pitbull (come era lieto di essere stato soprannominato) ha confermato la sua scelta di non rispondere.
Pasquaretta martedì non si è presentato in procura e ha mandato il suo nuovo avvocato, Stefano Caniglia, nominato dopo che Luigi Chiappero (difensore anche di Appendino) ha dismesso il mandato per incompatibilità. «Per il momento non parliamo, poi vedremo». Un silenzio assoluto nelle sedi istituzionali che però contrasta con le chiacchiere al telefono, con gli sfoghi incontrollati di Pasquaretta con amici e colleghi, con le minacce di andare «in procura e far crollare tutto» negli stessi mesi.
«Mi sono preso gli avvisi di garanzia per lei» ha detto più volte il giornalista al telefono. La sua frase intercettata appare la spiegazione più evidente alla scelta di dribblare ogni interrogatorio. Se Luca Pasquaretta parla, Chiara Appendino finisce nei guai. E tacere al pm è un diritto dell'indagato in ogni momento dell'inchiesta. Ma in politica? Ora in politica questa linea sembra non bastare. E una crescente preoccupazione oltrepassa i confini della città. Diffondono l'allarme fino a Palazzo Chigi le numerose convocazioni in procura del pm Gianfranco Colace a esponenti del Movimento con incarichi nazionali.
Luigi Di Maio è determinato a evitare che il piccolo scandalo di provincia si trasformi in un caso nazionale. La sottosegretaria all'Economia, Laura Castelli, e l'europarlamentare, Tiziana Beghin, sono già state sentite dagli inquirenti, ma il capo politico del M5s vuole evitare che si arrivi a coinvolgere lui stesso - che Pasquaretta nei momenti di tensione massima cercava di contattare - o altri vertici nazionali come Pietro Dettori a Massimo Bugani. I suoi fedelissimi, infatti, Pasquaretta lo conoscono fin dalla campagna elettorale che ha portato Appendino a Palazzo Civico. E Dettori, quando ancora lavorava alla Casaleggio Associati, era il vero referente di Pasquaretta. Attraverso di lui la sindaca riferiva alla società che controllava il blog di Beppe Grillo. Prima ancora di essere cacciato come portavoce di Appendino il giornalista lucano cercava supporto a Roma per riuscire a entrare nello staff di Palazzo Chigi. E solo il rifiuto del potente capo ufficio stampa di Giuseppe Conte, Rocco Casalino, ha evitato che si concretizzasse questa opzione. Nessuno, da Di Maio a Bugani, che è l'uomo ombra del vicepremier, dice di essere stato a conoscenza del ricatto dietro alle richieste di Pasquaretta.
Anche Castelli e Beghin, a lei vicinissime, hanno preso le distanze. Se in procura i contorni della vicenda si stanno delineando pian piano, all'interno del movimento alcune domande circolano insistentemente. Perché, a settembre, la sottosegretaria Castelli ha inserito Pasquaretta nel suo staff comunicazione? Tutti hanno percepito che lei viveva con imbarazzo la soluzione. Basti pensare che con gli attivisti torinesi ha ammesso di averlo fatto solo a novembre, quando Pasquaretta ha iniziato a mandare comunicati ufficiali e la collaborazione non poteva essere più tenuta nascosta.
Ottavia Giustetti e Jacopo Ricca
(la Repubblica 11 febbraio)