giovedì 14 febbraio 2019

IL NO DI ORBÀN ALLA RUSPA

Con il premier ungherese Viktor Orbán cambieremo l'Europa: era stata la sontuosa promessa di Matteo Salvini, leader della Lega, nel settembre scorso, quando in quel caso indossava una del tutto metaforica felpa con scritta Budapest. Il guaio è che Orbán non vuole cambiare l'Europa con lui. Anzi, la vecchia volpe magiara vede le vie della sua capitale che si riempiono di bandiere con stelle europee e ci riflette un po'. Sapete, son soldi quelli che arrivano da Bruxelles...
Già di per sé non è che fosse un'alleanza delle più ambiziose quella con un partito (seppur di maggioranza) ungherese, Fidesz, e poi con un partito (seppur di maggioranza) polacco, quello di Kaczynski, e poi con un partito (peraltro di minoranza) francese, quello di madame Le Pen.
Però almeno era qualcosa, era uno schema di gioco politico, la speranza di un polo di nuovissimi conservatori, più puri e più duri di quelli che c'erano prima. Pronti, via, con la ruspa in tangenziale, alla conquista della perfida Bruxelles, quella dei tecnocrati e dei vecchi arnesi dei partiti tradizionali: andiamo a comandare. Sì, ma noi chi? Certo, una delusione - sul fronte della solidarietà verso l'Italia populista sul tema della condivisione del problema dei migranti - dall'Ungheria era già arrivata, ma il rifiuto di un patto politico, beh, è troppo. Eppure al ribaldo Salvini questo tocca ascoltare, un no. C'è di che essere preoccupati, devono pensare i leghisti. Anche perché qui le speranze di un'Internazionale antieuropeista e neosovranista si riducono al lumicino. Prendete l'Austria del cancelliere Sebastian Kurz. Dal punto di vista di Salvini prometteva assai bene: governo sbilanciato a destrissima, con esponenti dell'Fpoe, quella che fu di Joerg Haider, in ruoli chiave; vicini di casa e alleati di pancia. E invece? Invece il giovane Kurz si istituzionalizza - perché in altri Paesi la funzione responsabilizza chi la ricopre - e l'Fpoe diventa un alleato trattabile. Ah, e se l'Italia fa la furba sui migranti: frontiere più controllate, magari con l'esercito, e trattamento privilegiato per altoatesini, a mo' di avvertimento. E il leghista sovranista si domanda: scusate, ma non dovevamo/potevamo essere alleati? C'era poi il fronte amico bavarese, quello presidiato. dall'altro sodale prossimo venturo, il ministro dell'Interno tedesco Horst Seehofer, quello che le suonava e le cantava alla "molle" cancelliera Angela Merkel, colpevole, a dire leghista, di volere un'Europa che sa integrare più che respingere. Meglio dimenticare pure Seehofer, perché nel frattempo ha quasi perso la Baviera, "assediata" dai rinascenti Verdi europeisti, e poi non si è mai capito se Roma ha o no in atto l'accordo sui respingimenti - voluto proprio da Seehofer - per i migranti che sbarcati in Italia sono poi giunti altrove, magari in terra tedesca, addirittura bavarese. Quindi anche con Berlino, anzi, con la Monaco dura e pura non si va poi così d'accordo. Ok, dimentichiamoci la Baviera, soprassediamo sull'Austria, accontentiamoci di Polonia e Ungheria: è stato il ragionamento lego-sovranista. Eh, no, adesso Orbán si sfila perché sai quanto si sta comodi nel Partito popolare europeo, magari si evitano perfino le sanzioni. Il leghista resta solo, ma in fondo non è colpa sua. È una legge della (natura) politica: se vuoi fare da solo, alla fine ti lasciano solo. E c'è sempre qualcuno più sovranista, o furbo, di te. Domani magari Orbán o il candidato (bavarese) alla guida della Commissione europea, Manfred Weber, apriranno al dialogo con elettori e forze populiste, ma intanto a Salvini non resta che il viaggio in Polonia. Dove a Danzica le vie si sono riempite di europei dopo l'uccisione del sindaco Pawel Adamowicz. Così si scopre che non è facile, nemmeno con la ruspa, andare contro idee forti, forti come un'Europa dei tanti (e non dei soli). Per fortuna.
Daniele Bellasio

(la Repubblica 31 gennaio)