L'Italia deve fare i conti con il suo colonialismo
di Igiaba Scebo, scrittrice italosomala
Le
dichiarazioni del vicepresidente del consiglio italiano Luigi Di Maio
sul neo colonialismo francese in Africa e il franco Cfa hanno sollevato
forti polemiche in Italia.
Il leader dei cinque stelle ha accusato la
Francia di saccheggiare le risorse del continente africano e di essere
quindi responsabile del dramma dei migranti nel Mediterraneo. Sappiamo,
tuttavia che le cause e i fattori di questa tragedia sono molti: dalle
guerre ai cambiamenti climatici, passando per l'ingerenza delle
multinazionali e per le dittature sanguinarie.
Quello che colpisce nelle
dichiarazioni di Di
Maio è che denuncia
il colonialismo degli altri senza mai nominare il proprio. L'Italia
dimentica di essere stata una potenza coloniale e cerca sistematicamente
di trovare giustificazioni per il suo ruolo nell'aggressione del
continente africano. Il ritornello che si ripete è che la conquista
coloniale italiana fu poca cosa e, in fin dei conti, gli italiani sono
brava gente, così brava che nelle loro colonie costruirono strade,
palazzi e fontane.
Strade e palazzi furono effettivamente costruiti, ma
nei territori conquistati l'Italia agì come le altre potenze coloniali:
con ferocia e violenza. Tra l'ottocento e il novecento l'Italia ebbe tre
colonie in Africa: prima l'Eritrea, da cui oggi arrivano tanti migranti
in fuga da una dittatura soffocante; poi la Somalia, dove per anni ha
infuriato una delle guerre civili più atroci al mondo; infine la Libia.
Inoltre sotto l'Italia fascista di Mussolini la Libia fu occupata dal
1936 al 1941. Ma la storia del colonialismo italiano e delle sue
atrocità è stata occultata, sepolta nella memoria collettiva. Questo
passato è poco studiato a scuola, anche se ci sono importanti studi
sull'argomento.
I nomi delle strade.
Lo
storico Angelo del Boca ha rivelato nelle sue ricerche la barbarie
dell'espansione coloniale: l'uso di gas vietati dalla convenzione di
Ginevra durante la conquista dell' Etiopia da parte di Mussolini, gli
stupri, gli abusi sui minori, le impiccagioni.
Pochi italiani conoscono
questa storia ancora oggi presente nelle strade delle grandi città del
paese. Mentre scrivevo il mio libro fotografico Roma negata ho
cercato e trovato le tracce del colonialismo nella capitale italiana. Ho
scoperto così ponti, strade, piazze ed edifici i cui nomi evocano
battaglie e colonie africane. Nel zona nord della città c'è il
"quartiere africano" così chiamato perché le sue vie portano i nomi dei
territori conquistati e brutalizzati. L'Africa è iscritta nella
toponomastica e in monumenti dimenticati. Come quello ai caduti di
Dogali, che ricorda la sconfitta dell'esercito italiano nell'Africa
orientale. Ma pochi sanno collocare nella storia del loro paese questi
segni scolpiti nella pietra. Molte delle persone che passano per viale
Libia o via Asmara non conoscono il perché di quei nomi. Eppure le
relazioni tra l'Italia e i suoi ex possedimenti sono continuate anche
dopo il periodo coloniale.
I ponti non sono stati tagliati. In Somalia
la lingua italiana rimase quella ufficiale fino agli anni 70. La scuola
somala era strutturata sul modello italiano. L'amnesia è cominciata poco
dopo la partenza delle truppe italiane da quelle terre. Quando eritrei,
somali ed etiopi fuggirono dai loro paesi, governati da spietati
dittatori, si diressero verso l'Italia che con loro grande delusione non
fu in grado di cogliere il legame tra quei migranti e il paese di
Dante. Eppure quei profughi parlavano l'italiano che avevano imparato a
scuola ed erano impregnati di cultura italiana. Il trattamento riservato
a chi era nato nelle colonie da padre italiano è stato anche peggiore:
italosomali, italoeritrei ed italoetiopi lottarono per anni prima di
ottenere la cittadinanza che gli spettava.
I misfatti coloniali sono
stati numerosi ma il crimine più grande è stato l'oblio nella narrazione
ufficiale. La disumanizzazione coloniale ha lasciato il segno nella
società. Gli stereotipi usati contro i popoli colonizzati tra
l'ottocento e il novecento sono ora applicati ai migranti, non solo agli
africani. A me che sono figlia di migranti dell'Africa orientale,
romana e somala allo stesso tempo, è capitato più volte di sentire
uomini che quando camminavo per strada intonavano faccetta nera,
la canzone della propaganda coloniale, intrisa di razzismo e sessismo.
Me la sbattevano in faccia come un insulto ma anche paradossalmente,
come un imbarazzante tentativo di seduzione.
Ogni donna nera che vive in
Italia lo sa: per molti uomini siamo ancora le "faccette nere" delle
colonie. Le donne sono quelle che soffrirono di più a causa degli
stereotipi coloniali. Erano considerate donne facili, metafore viventi
delle terre africane da possedere. La loro vita con gli italiani fu
dolorosa. Alcune erano domestiche di giorno e schiave sessuali di notte,
altre erano semplicemente vittime di stupri. Le più forti riuscivano,
con una strategia di sopravvivenza, a costruire una relazione più o meno
paritaria e rispettosa.
Un affare di famiglia.
Questi
atti di barbarie mai indagati e ancora impuniti continuano a permeare
la società civile italiana. E' da lì che vengono i cori razzisti degli
stadi contro i giocatori neri o il lancio di banane contro Cecile
Kyenge, l'ex ministra dell'integrazione, la prima donna nera a ricevere
l'incarico di ministro in un governo italiano. L'assenza di dibattito
sul passato coloniale riemerge anche alla luce dei drammi del
Mediterraneo. Come i quasi 400 migranti, tra cui molti eritrei, annegati
il 3 ottobre 2013 a Lampedusa. O come gli eritrei a bordo della
Diciotti, il pattugliatore della guardia costiera italiana, a cui Matteo
Salvini nell'agosto del 2018 ha a lungo negato lo sbarco. Nessun
politico, nessun giornale italiano ha ricordato i fatti storici e
dolorosi che legano l'Italia a quei profughi in fuga dalla guerra e in
parte eredi della storia italiana. Contrariamente a quanto pensa Di
Maio, almeno la Francia ha cominciato a elaborare il suo passato
coloniale anche se in modo ancora imperfetto. La storia della
colonizzazione, anche se ignorata, fa parte pure delle nostre storie
personali.E' un affare di famiglia. Molti italiani hanno in casa foto,
ricordi e lettere dei loro parenti partiti alla conquista dell'Africa.
E' quindi troppo facile puntare il dito contro il colonialismo degli
altri senza affrontare il proprio. Troppo facile e ignobile nel momento
storico in cui l'Africa colonizzata affonda nel Mediterraneo.
Da Le Monde Internazionale 8 febbraio