mercoledì 13 febbraio 2019

Netanyahu «licenzia» gli osservatori italiani, Roma non reagisce

Gerusalemme. «Abbiamo appreso con rammarico questa decisione (di Israele) ma continuiamo il nostro impegno». Giunto alla fine della sua missione in Israele e Territori palestinesi occupati, il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi ha ricevuto un bel «regalo» dall'alleato e amico dell'Italia Benyamin Netanyahu. Il premier israeliano ha annunciato che il suo governo non prolungherà la missione degli osservatori della Tiph (Temporary International Presence in Hebron). Missione di cui fa parte anche l'Italia con l'impiego di alcuni carabinieri.
QUANDO I MONITOR partiranno non è chiaro, con ogni probabilità appena terminerà il mandato che Israele e Autorità nazionale palestinese (Anp) sono chiamati a rinnovare ogni sei mesi Netanyahu non ha spiegato i motivi che lo hanno spinto a descrivere la Tiph come una «forza che lavora contro Israele». Però si conoscono, grazie anche alle rivelazioni fatte qualche giorno fa dal quotidiano Haaretz. Riguardano un rapporto sul lavoro svolto in 20 anni dagli osservatori che denuncia gli abusi che coloni e esercito israeliano compiono a danno degli oltre 20mila abitanti palestinesi della zona H2 di Hebron.
Si tratta del 20% circa della città rimasto sotto il pieno controllo delle forze militari israeliane — in base all'accordo firmato nel gennaio 1997 da Netanyahu (al suo primo mandato da premier) e dallo scomparso presidente palestinese Yasser Arafat— in cui sono insediati, nei pressi della Tomba dei Patriarchi, circa 700 coloni israeliani. A quel rapporto, ha scritto Haaretz, Netanyahu e la destra più radicale e religiosa hanno reagito con stizza.
I COLONI hanno protestato con forza fino a convincere il premier a mandare a casa gli osservatori. Pesa anche la campagna elettorale che vede Netanyahu tenuto sotto pressione dai suoi rivali nella destra. La Tiph arrivò a Hebron nel 1994, dopo il massacro compiuto dal colono Baruch Goldstein nella Tomba dei Patriarchi (29 palestinesi uccisi). Terminata la prima missione fu richiamata brevemente del 1996 e infine nel 1997, dopo l'accordo Netanyahu-Arafat, per monitorare H2.
INIZIALMENTE era formata da sei paesi: Italia, Norvegia, Danimarca, Turchia, Svizzera e Svezia. Poi Copenhagen ha ritirato i suoi osservatori. Dovrebbe garantire una sorta di protezione passiva ai palestinesi ma la Tiph per oltre venti anni è stata senza denti e inutile agli occhi della popolazione sotto occupazione. Si è limitata a presentare rapporti, peraltro solo a israeliani e palestinesi. Poi qualche settimana fa il comandante Einar Ass ha firmato il rapporto sui venti anni di lavoro della missione che documenta nel dettaglio le violazioni a danno dei palestinesi innescando la decisione del governo israeliano.
ANP E OLP PROTESTANO. Chiedono che la missione non lasci Hebron. Ma le blande reazioni dei cinque paesi della missione, a cominciare da quella dell'Italia, volte a non turbare in alcun modo le relazioni con Israele, dicono che la Tiph è finita. «La decisione di non rinnovare il mandato della Tiph rappresenta un passo ulteriore verso l'annullamento da parte di Israele dei trattati che ha sottoscritto e serve a consolidare i progetti di colonizzazione», ha commentato Saeb Erekat dell'Olp.
Il passo israeliano coglie l'Anp in un momento, l'ennesimo, di grande fragilità. Il premier Rami Hamdallah si è dimesso. Resterà in carica fino alla formazione del nuovo governo ma è già stata archiviata la sua stagione politica segnata da tentativi infruttuosi di ricucire lo strappo avvenuto a Gaza tra le due principali forze, Fatah e Hamas, che da quasi 12 anni paralizza la politica palestinese. Quello più serio risale all'autunno 2017 quando fu annunciata la «riconciliazione» e la nascita di un esecutivo di intesa nazionale. Poi è saltato tutto. Hamdallah non ha mai potuto governare a Gaza.
ABU MAZEN CONFERIRÀ al futuro premier l'incarico di formare un governo composto solo da esponenti di Fatah, così da sancire definitivamente la frattura con Hamas. Il movimento islamico ha chiesto di indire subito nuove elezioni ma le urne nei Territori occupati resteranno chiuse ancora a lungo.
Michele Giorgio

(Il Manifesto 30 gennaio)