martedì 19 marzo 2019

UN'ATTENTA CONSIDERAZIONE

Illegittima difesa del maschio frustrato
Chiara Saraceno

Secondo la giudice di Genova che ha comminato una pena ridotta all'uomo che ha ucciso l'ex moglie in un eccesso di rabbia, dopo aver scoperto che lei lo aveva imbrogliato per l'ennesima volta, il comportamento della donna va considerato una attenuante tale da portare al dimezzamento della pena. Pochi giorni prima, la corte d'appello di Bologna aveva ridotto la pena di un altro omicida dell'ex compagna, perché in "preda a una tempesta emotiva" dovuta a precedenti delusioni affettive. Contro queste sentenze si sono levate le voci di chi tenne un atteggiamento di comprensione per le motivazioni di chi uccide le proprie compagne o le ex. Nel primo caso, chi mai d'ora in poi potrà negare a chi uccide una donna che si rifiuta di continuare il rapporto l'attenuante della tempesta emotiva, dell'incapacità a sopportare abbandoni? Nel secondo caso, sembra di tornare al delitto d'onore e alle attenuanti a questo connesse in un tempo non lontano. Condivido queste preoccupazioni. E trovo sconcertante l'esempio fatto dal giudice di Genova per spiegare la legittimità, anzi doverosa delle concessioni delle attenuanti. 
Ho contrastato il caso di un automobilista ubriaco che investe e uccide in pieno giorno un passante con quello di un automobilista sobrio che in una strada buia non vede e investe, uccidendola, una persona. Come se un omicida volontario potesse qualche volta, appunto, avere una qualche scusante, come l'automobilista sobrio in una strada. Ma proprio questa confusione induce ad allargare ulteriormente la preoccupazione. Come ha dimostrato il dibattito sulla legittima difesa, si sta diffondendo l'idea che uccidere possa essere giustificato non solo per salvare la vita propria o altrui, ma perché ci si sente sotto minaccia, tanto più se si hanno esperienze di furti io aggressioni a prescindere dall'essere effettivamente in condizioni di pericolo. Una tempesta emotiva, un senso di grande frustrazione, il desiderio di fargliela vedere, rischiano di diventare, se non una legittimazione,  una scusante per ogni reazione eccessiva, per ogni atto di annientamento dell'altro, tanto più se questa è la donna che ci ha fatto soffrire. 

 la Repubblica 15 marzo