martedì 16 luglio 2019

I farmaci costano tanto anche per colpa di Trump

JAYATI GHOSH
Il  forte aumento dei prezzi di farmaci essenziali e salvavita ha generato una reazione politica contro l'industria farmaceutica degli Stati Uniti. A febbraio la commissione per le a finanze del senato statunitense ha rimproverato le case farmaceutiche di portare avanti politiche "moralmente ripugnanti ". Da allora 44 governi statali hanno fatto causa all'israeliana Teva Pharmaceuticals e ad altre 19 aziende, accusandole di aver soffocato la concorrenza sui farmaci generici e di aver fatto profitti in modo illegale. L'amministrazione Trump ha annunciato che approverà delle misure per ridurre il costo delle medicine, soprattutto quelle che contrastano l'epidemia di  oppioidi. Ma sta anche cercando di esportare alcune regole sulla proprietà intellettuale che hanno fatto aumentare i prezzi negli altri paesi e hanno reso medicine fondamentali inaccessibili a milioni di persone nei paesi poveri.
Il governo statunitense ha fatto pressione per bloccare alcune leggi sulla proprietà intellettuale che permetterebbero ai produttori di altri paesi di esportare farmaci generici meno costosi. Nella Special 301, una lista stilata dal rappresentante per il commercio degli Stati Uniti (Ustr) che identifica paesi con "lacune nella proprietà intellettuale", viene citata regolarmente l'India: Washington non approva le leggi sui brevetti in vigore nel paese. Le norme indiane sulla proprietà intellettuale però hanno permesso all'India di diventare una fonte globale per i farmaci economici. La legge sui brevetti del 1970 prevede che le case farmaceutiche possono brevettare solo i processi produttivi, non la composizione chimica delle medicine. Questo ha permesso ad alcune aziende di ricorrere al reverse engineering, cioè di risalire ai componenti chimici dei medicinali prodotti dalle grandi case farmaceutiche, ricreare i farmaci attraverso processi alternativi e poi venderli a un costo più basso, sia in India sia altrove.
All'inizio la concorrenza dei produttori di farmaci generici ha costretto le multinazionali ad abbassare i prezzi, compresi quelli delle medicine contro il cancro e l'hiv. Per esempio tra il 2000 e il 2016 il prezzo annuale per persona degli antiretrovirali usati per curare l'hiv è sceso da più di diecimila dollari a cento dollari. Questa riduzione dei prezzi ha permesso di diffondere le cure su scala globale e di contenere le epidemie di hiv e aids, specialmente nei paesi poveri. Ma da quando nel 1995 e entrato in vigore il Trips, l'accordo internazionale sulla proprietà intellettuale, tutti gli stati dell'Organizzazione mondiale del commercio devono riconoscere i rispettivi brevetti farmaceutici. Quindi ai produttori indiani che vogliono fabbricare medicine coperte da brevetto servirebbe una licenza, che viene concessa raramente. Grazie agli emendamenti alla legge sui brevetti però l'India si è difesa dagli abusi che le case farmaceutiche commettono negli Stati Uniti e in Europa. L'India prevede criteri più severi nel definire cosa sia un'invenzione. Questo evita il cosiddetto evergreening, il procedimento per allungare la vita di un brevetto ricorrendo a brevetti secondari che introducono miglioramenti marginali dei farmaci. Secondo la sezione 3(d) della legge indiana sui brevetti, le multinazionali non possono prolungare la durata di un brevetto semplicemente cambiando la forma di un farmaco, per esempio da compresse a sciroppo.
La sezione 3(d) spiega perché la corte suprema indiana si è pronunciata contro la Novartis nel 2013, non riconoscendo alla multinazionale svizzera il brevetto per un farmaco contro il cancro commercializzato come Glivec, che in pratica era la versione in forma beta-cristallina di una medicina prima venduta sotto forma di polvere in capsule. Da allora la legge indiana viene attaccata dalle multinazionali e dal governo statunitense, mentre la sezione 3(d) è stata resa meno severa. Secondo un recente studio in India tra il 2009 e il 2016 l'ufficio brevetti ha garantito 1.654 brevetti secondari (il 72 per cento dei brevetti farmaceutici) "in probabile violazione di disposizioni contro l'evergreening". Non stupisce quindi che in India i prezzi dei farmaci siano aumentati. Questo non ha impedito a Washington di mantenere una forte pressione su India, Malesia e altri governi che usano il controllo dei prezzi per contrastare i profitti eccessivi delle case farmaceutiche. Da tempo il governo di Washington collabora con le multinazionali per tenere alti i prezzi dei farmaci in altri paesi, minacciando la salute dei malati nei paesi poveri. E ora l'eccessivo prezzo dei farmaci si ritorce contro gli Stati Uniti.
È paradossale (ma non sorprendente) che un'amministrazione come quella di Trump, che dice di lottare per abbassare i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti, stia spingendo per far approvare leggi che darebbero alle multinazionali ancora più potere di alzarli. Se le agenzie federali e i governi statunitensi vogliono fare qualcosa contro l'impennata dei prezzi dei farmaci, dovrebbero copiare una pagina della legge indiana sui brevetti, non cercare di stracciarla. ff

JAYATI GHOSH è un'economista indiana. È docente di economia all'università Jawaharlal Nehru di New Delhi e collabora con diversi giornali indiani.

(Internazionale 1311, 14giugno 2019)