giovedì 3 ottobre 2019

A PINEROLO: UNA BELLA TESTIMONIANZA CRISTIANA

Una Chiesa che pulsa nel cuore della sua città 

Domenica 29 la parrocchia di San Donato di Pinerolo sarà in festa. Una festa di tutti e per tutti sottolinea con particolare incisività Don Luigi Moine, parroco titolare, tanto per rendere chiaro che l'anniversario dei suoi 50 anni di presbiterio e 21 di parroco di San Donato è pura coincidenza:"La festa è della comunità, dei tanti volontari che lavorano per renderla viva e delle tante persone che in questa comunità trovano dei riferimenti" sottolinea da settimane. Don Luigi Moine non è persona che ama apparire, se lo si esaltasse lo si ferirebbe profondamente, ma la sua lunga esperienza merita di essere raccontata, seppur in sintesi estrema, perché raccontare di lui significa raccontare una parte della Chiesa  pinerolese in un periodo storico particolare, che l'ha vista ricoprire un ruolo importantissimo per la vita della città e per la qualità di vita di tante persone. Don Moine nasce in campagna a San Martino in Garzigliana. E' ancora un bambino quando scopre la vocazione, una vocazione che da più grandicello in seminario non è priva di conflittualità con il sistema, che talvolta sente distante e freddo. Ma"avvicinandomi all'ordinazione-ricordo-il mio animo si inondata di gioia e serenità. Mi sentivo in pace". Fu ordinato in Duomo a Pinerolo nel giugno del 1969 com'era costume nella festa di San Pietro e Paolo. " lo ricordo benissimo quel giorno, anche se l'emozione più grande fu tornare nel mio paese, lì mi sono sentito davvero prete: è stato una festa ritrovarmi con la gente, con i giovani con cui avevo già lavorato prima di entrare in seminario" e ha ritrovato anche la famiglia a cui don Moine è sempre stato legato da grande affetto. Fuori il vento del 68 soffiava robusto scuotendo consuetudini e idee con radici profonde. "Spifferi di questo vento erano entrati anche lì in seminario tanto che avevamo chiesto un'assemblea che fu fatta per discutere le line del seminario". Non c'era luogo in cui quel vento non riuscisse a penetrare: "il 68 per me non è stato un vento gelido che ha portato nella Chiesa e nella società chissà quali sfaceli, piuttosto l'ho sentito come un momento in cui la gioventù si è sentita protagonista e chiedeva semplicemente una vita migliore. È stato uno tsunami che ha fatto esplodere, venire alla luce movimenti sotterranei spontanei". Si è cominciato a riflettere sul Vietnam, si è scoperta la tragedia del terzo mondo, le donne rivendicavano dignità e ruoli. Dopo un anno come assistente di don Ricca nel convitto pinerolese per giovani studenti, all'Oasi Sant'Agostino, Don Moine fu chiamato a San Donato dove c'è il canonico Mercol che ha un'idea nuova, dividere la parrocchia in quattro zone pastorali: Portici nuovi (che seguirà don Darò) l'area di corso Bosio e via Vigone (affidata a Don Paolo Bianciotto) la zona cosiddetta "villaggio azzurro" che seguirà lo stesso don Mercol e il centro storico che verrà assegnato a don Moine. "Obiettivo-riferisce nostro parroco-era favorire la nascita di comunità vicine alla gente. Il concilio Vaticano secondo chiusa nel 65 aveva adottato un modello comunitario dove il soggetto e il popolo di Dio nella varietà dei suoi doni e ministeri. Essere immersi nei problemi della gente e mettersi a servizio dell'umanità: è questo essere Chiesa". Ma per comprendere appieno la lungimiranza e importanza di questo nuovo disegno occorre anche ricordare cos'è era Pinerolo alla fine degli anni 60 inizio 70: l'immigrazione (a quel tempo dal sud Italia) era un fenomeno in espansione, molte delle nuove famiglie pinerolesi si trovarono (povere) case nel centro storico che allora pullulava di ragazzini, spesso soli perché i genitori erano impegnati in quel lavoro che avrebbe permesso loro una vita migliore, privi di occasioni con cui impiegare il tempo libero; la comunità dell'oratorio o estate ragazzi non esistevano ancora; così come il tempo pieno a scuola era ancora di là da venire e il centro storico allora si presentava estremamente degradato con abitazioni malsane e sovraffollate. 
Don  Moine affitta subito un piccolo locale in via Trento e per pagarlo fa dei lavoretti retribuiti: "tutti ci dovevamo attivare si cominciava da zero" li coadiuvato da suor Angelina(ora in Brasile) e alcuni giovani volontar,i si coinvolgono i ragazzi della zona con dopo scuola, catechismo, le prime gite e incontri con le famiglie. Un embrione di comunità comincia a formarsi. Questa esperienza che durerà due anni, si rapporta con l'oratorio di San Domenico, ma anche qui si partiva da zero in quanto allora la struttura era in realtà centro dei giovani dell'azione cattolica. Ma l'entusiasmo in quegli anni non mancava: arrivano molte suore, che don Moine ricorda tutte con molta riconoscenza, con le quali innanzitutto decide di unificare le attività dedicate a maschi e femmine allora separate. E partono le prime attività estive, una risposta a quei tanti ragazzi e bambini che non avevano altri punti di riferimento. Ogni giorno un centinaio di bambini e bambine si incontravano ogni pomeriggio dalle 14,30 alle 18 e, organizzati in piccoli gruppi sotto la guida di animatori, i ragazzi si esprimono in giochi comunitari, attività espressive, ricerche di gruppo, drammatizzazioni, realizzano tre giornalini. Nel 74 i bambini che frequentano le attività estive saranno 203. Si riesce anche se con molta fatica a mettere in piedi un gruppo di quartiere che coinvolge anche i genitori e che darà molti stimoli per il futuro. Parallelamente andava avanti anche l'impegno con gli anziani. Nel centro storico a quel tempo la situazione di alcuni di loro era sconvolgente, con situazioni di emarginazione profonda: anziani senza rete familiare vivevano in topaie in cui pioveva dentro; spesso si nutrivano poco e malamente e alcuni sconfiggevano la solitudine con l'alcol. Allora non esisteva intervento da parte del Comune. Nel 72 all'oratorio San Domenico si costituisce un "gruppo anziani" del centro storico che attraverso i suoi volontari svolge numerose prestazioni agli anziani più emarginati. Ma proprio questo atteggiamento da volontari rischiava di precludere una comprensione sociale della condizione di anziani privilegiando il far da sé come comunità cristiana, senza unirsi ad altre forze del territorio, senza chiamare alle proprie responsabilità gli enti pubblici. In città, anni prima, nel 70, si era formato un comitato di base sulla condizione dell'anziano. Dopo laceranti discussioni e qualche dimissione il gruppo anziani dell'oratorio collabora con il comitato di base per la presentazione di una piattaforma rivendicativa degli anziani del centro storico. Le riunioni si svolgevano presso la casa della giovane dove una superiora aperta aveva messo a disposizione un locale. "Nel 73 nel corso di una pubblica assemblea alla casa della giovane-ricorda don Moine-i due gruppi congiuntamente presentano al sindaco di Pinerolo e ai capigruppo del comune alcune richieste: estensione del servizio di assistenza socio sanitaria domiciliare al centro storico; istituzione di un centro di consulenza geriatrica ; una mensa aperta e pasto caldo a domicilio; piani di edilizia popolare di alloggi adeguati agli anziani. Ora 46 anni dopo. Sappiamo che queste richieste hanno positivamente condizionato le politiche sociali che sarebbero nate molto dopo.
Nell'ottobre di quello stesso anno il consiglio comunale-assessore ai servizi sociali c'era una giovane Luisa Cosso-delibera l'estensione di quei servizi anche al centro storico con una spesa di 13 milioni (n'erano stati chiesti 43). Neanche la parrocchia di San Donato sta ferma: il canonico merda col apre il 6 gennaio del 73 un centro per anziani riscaldato nel fabbricato, allora di proprietà della casa dell'anziano, in via Clemente Lequio, dove oggi sorge il centro sociale è il centro diurno comunale. La parrocchia infatti di lì a poco chiederà al consiglio di amministrazione della pia opera di cedere gratuitamente al Comune l'intero fabbricato con il vincolo che sia destinato a soggiorno per anziani e per il servizio di assistenza sociosanitaria domiciliare e  tavola calda e mini alloggi. La casa dell'anziano lo cederà per 10 milioni di lire. Partiranno poi alcune assemblee e a giugno 74, una mostra in piazza Fontana per sensibilizzare i cittadini ma soprattutto richiamare agli impegni presi il Comune. Sarebbe lungo riferire tutti gli sviluppi degli sviluppi successivi; ricordiamo solo che da queste azioni nasce un coordinamento dei vari gruppi di anziani che si esprime nella commissione congiunta formata da membri della giunta comunale, dal personale addetto ai servizi e dei comitati degli anziani. Oltre all'impegno sociale, la parrocchia, naturalmente è il cammino della sua comunità ha come impegno primario l'evangelizzazione, esplicitati in termini di vita più che di dottrina: "in realtà il nerbo interiore della comunità-sottolinea don Moine -E la parola di Dio meditata e approfondita nel gruppo biblico. L'esperienza di questo gruppo ha accompagnato tutto il cammino". E a guidare questo lavoro interiore era un laico, Salvatore Ameduri. Potremmo andare avanti per pagine raccontare il lavoro di questa parrocchia e anche il rapporto con la Chiesa locale, non scevra di tensioni, alcune delle quali azzerano alcune iniziative in atto. Altro motivo di tensione fu la posizione ufficiale prese da un gruppo di credenti dell'oratorio in occasione del referendum sul divorzio contro l'abrogazione della legge. Nell'83 all'oratorio San Domenico arriva don Bruno Marabotto, allora  giovane che si dedicava alla Gioc (gioventù operaia cristiana) e che prenderà Messa due anni più tardi. Un altro parroco che ha saputo parlare alle persone, i giovani, costruendo percorsi ancora oggi estremamente vitali e vivaci. Nel marzo del 98 Don Moine succede a don Verzino: "ho preso la parrocchia per obbedienza e io da disobbediente cronico accettato. Ho capito che non potevo essere io a decidere del mio ministero dovevo a fidarmi. E di nuovo ho provato pace. Ho la sensazione di una clessidra che si sta svuotando (a 75 anni bisogna dare le dimissioni) e non c'è la possibilità di capovolgerla. Sento di dover ringraziare perché il Vangelo di Cristo ha dato senso alla mia vita; e sentire che non è stato inutile evitare di avere svolto il mio ruolo secondo gli insegnamenti del concilio tra cui quello di essere presbitero al servizio del sacerdozio comune di tutti credenti in quanto battezzati" 
Cosa le lascia questo lungo percorso fatto fin qui? 
"Pur nella povertà della mia vita ho avvertito un senso di pienezza che mi arriva dei rapporti con le persone con la gente e anche dall'attenzione particolare che ha dimostrato la mia famiglia".
Oggi il mondo è cambiato cambia anche il modo di essere parroco? 
"Credo che invece di portare Cristo agli altri occorre cercarlo negli altri. Per me essere parroco è proporre il Vangelo di Cristo declinato anche nella sensibilità della gente di oggi non puoi imporre. Ma abbiamo ancora un po' la mentalità della cittadella: noi siamo dentro e gli altri sono fuori. Cerchiamo di non imborghesirci". 

A cura di Sofia D'Agostino
L'Eco del Chisone 25/9/2019