Una Chiesa che pulsa nel cuore della sua città
Domenica
29 la parrocchia di San Donato di Pinerolo sarà in festa. Una festa di
tutti e per tutti sottolinea con particolare incisività Don Luigi Moine,
parroco titolare, tanto per rendere chiaro che l'anniversario dei suoi
50 anni di presbiterio e 21 di parroco di San Donato è pura
coincidenza:"La festa è della comunità, dei tanti volontari che
lavorano per renderla viva e delle tante persone che in questa comunità
trovano dei riferimenti" sottolinea da settimane. Don Luigi Moine
non è persona che ama apparire, se lo si esaltasse lo si ferirebbe
profondamente, ma la sua lunga esperienza merita di essere raccontata,
seppur in sintesi estrema, perché raccontare di lui significa raccontare
una parte della Chiesa pinerolese in un periodo storico particolare,
che l'ha vista ricoprire un ruolo importantissimo per la vita della
città e per la qualità di vita di tante persone. Don Moine nasce in
campagna a San Martino in Garzigliana. E' ancora un bambino quando
scopre la vocazione, una vocazione che da più grandicello in seminario
non è priva di conflittualità con il sistema, che talvolta sente
distante e freddo. Ma"avvicinandomi all'ordinazione-ricordo-il mio animo si inondata di gioia e serenità. Mi sentivo in pace". Fu ordinato in Duomo a Pinerolo nel giugno del 1969 com'era costume nella festa di San Pietro e Paolo. " lo
ricordo benissimo quel giorno, anche se l'emozione più grande fu
tornare nel mio paese, lì mi sono sentito davvero prete: è stato una
festa ritrovarmi con la gente, con i giovani con cui avevo già lavorato
prima di entrare in seminario" e ha ritrovato anche la famiglia a
cui don Moine è sempre stato legato da grande affetto. Fuori il vento
del 68 soffiava robusto scuotendo consuetudini e idee con radici
profonde. "Spifferi di questo vento erano entrati anche lì in
seminario tanto che avevamo chiesto un'assemblea che fu fatta per
discutere le line del seminario". Non c'era luogo in cui quel vento non
riuscisse a penetrare: "il 68 per me non è stato un vento gelido che ha
portato nella Chiesa e nella società chissà quali sfaceli, piuttosto
l'ho sentito come un momento in cui la gioventù si è sentita
protagonista e chiedeva semplicemente una vita migliore. È stato uno
tsunami che ha fatto esplodere, venire alla luce movimenti sotterranei
spontanei". Si è cominciato a riflettere sul Vietnam, si è scoperta
la tragedia del terzo mondo, le donne rivendicavano dignità e ruoli.
Dopo un anno come assistente di don Ricca nel convitto pinerolese per
giovani studenti, all'Oasi Sant'Agostino, Don Moine fu chiamato a San
Donato dove c'è il canonico Mercol che ha un'idea nuova, dividere la
parrocchia in quattro zone pastorali: Portici nuovi (che seguirà don
Darò) l'area di corso Bosio e via Vigone (affidata a Don Paolo
Bianciotto) la zona cosiddetta "villaggio azzurro" che seguirà lo stesso
don Mercol e il centro storico che verrà assegnato a don Moine. "Obiettivo-riferisce nostro parroco-era
favorire la nascita di comunità vicine alla gente. Il concilio Vaticano
secondo chiusa nel 65 aveva adottato un modello comunitario dove il
soggetto e il popolo di Dio nella varietà dei suoi doni e ministeri.
Essere immersi nei problemi della gente e mettersi a servizio
dell'umanità: è questo essere Chiesa". Ma per comprendere appieno la
lungimiranza e importanza di questo nuovo disegno occorre anche
ricordare cos'è era Pinerolo alla fine degli anni 60 inizio 70:
l'immigrazione (a quel tempo dal sud Italia) era un fenomeno in
espansione, molte delle nuove famiglie pinerolesi si trovarono (povere)
case nel centro storico che allora pullulava di ragazzini, spesso soli
perché i genitori erano impegnati in quel lavoro che avrebbe permesso
loro una vita migliore, privi di occasioni con cui impiegare il tempo
libero; la comunità dell'oratorio o estate ragazzi non esistevano
ancora; così come il tempo pieno a scuola era ancora di là da venire e
il centro storico allora si presentava estremamente degradato con
abitazioni malsane e sovraffollate.
Don Moine affitta subito un piccolo locale in via Trento e per pagarlo fa dei lavoretti retribuiti: "tutti ci dovevamo attivare si cominciava da zero"
li coadiuvato da suor Angelina(ora in Brasile) e alcuni giovani
volontar,i si coinvolgono i ragazzi della zona con dopo scuola,
catechismo, le prime gite e incontri con le famiglie. Un embrione di
comunità comincia a formarsi. Questa esperienza che durerà due anni, si
rapporta con l'oratorio di San Domenico, ma anche qui si partiva da zero
in quanto allora la struttura era in realtà centro dei giovani
dell'azione cattolica. Ma l'entusiasmo in quegli anni non mancava:
arrivano molte suore, che don Moine ricorda tutte con molta
riconoscenza, con le quali innanzitutto decide di unificare le attività
dedicate a maschi e femmine allora separate. E partono le prime attività
estive, una risposta a quei tanti ragazzi e bambini che non avevano
altri punti di riferimento. Ogni giorno un centinaio di bambini e
bambine si incontravano ogni pomeriggio dalle 14,30 alle 18 e,
organizzati in piccoli gruppi sotto la guida di animatori, i ragazzi si
esprimono in giochi comunitari, attività espressive, ricerche di gruppo,
drammatizzazioni, realizzano tre giornalini. Nel 74 i bambini che
frequentano le attività estive saranno 203. Si riesce anche se con molta
fatica a mettere in piedi un gruppo di quartiere che coinvolge anche i
genitori e che darà molti stimoli per il futuro. Parallelamente andava
avanti anche l'impegno con gli anziani. Nel centro storico a quel tempo
la situazione di alcuni di loro era sconvolgente, con situazioni di
emarginazione profonda: anziani senza rete familiare vivevano in topaie
in cui pioveva dentro; spesso si nutrivano poco e malamente e alcuni
sconfiggevano la solitudine con l'alcol. Allora non esisteva intervento
da parte del Comune. Nel 72 all'oratorio San Domenico si costituisce un
"gruppo anziani" del centro storico che attraverso i suoi volontari
svolge numerose prestazioni agli anziani più emarginati. Ma proprio
questo atteggiamento da volontari rischiava di precludere una
comprensione sociale della condizione di anziani privilegiando il far da
sé come comunità cristiana, senza unirsi ad altre forze del territorio,
senza chiamare alle proprie responsabilità gli enti pubblici. In città,
anni prima, nel 70, si era formato un comitato di base sulla condizione
dell'anziano. Dopo laceranti discussioni e qualche dimissione il gruppo
anziani dell'oratorio collabora con il comitato di base per la
presentazione di una piattaforma rivendicativa degli anziani del centro
storico. Le riunioni si svolgevano presso la casa della giovane dove una
superiora aperta aveva messo a disposizione un locale. "Nel 73 nel corso di una pubblica assemblea alla casa della giovane-ricorda don Moine-i
due gruppi congiuntamente presentano al sindaco di Pinerolo e ai
capigruppo del comune alcune richieste: estensione del servizio di
assistenza socio sanitaria domiciliare al centro storico; istituzione di
un centro di consulenza geriatrica ; una mensa aperta e pasto caldo a
domicilio; piani di edilizia popolare di alloggi adeguati agli anziani.
Ora 46 anni dopo. Sappiamo che queste richieste hanno positivamente
condizionato le politiche sociali che sarebbero nate molto dopo.
Nell'ottobre
di quello stesso anno il consiglio comunale-assessore ai servizi
sociali c'era una giovane Luisa Cosso-delibera l'estensione di quei
servizi anche al centro storico con una spesa di 13 milioni (n'erano
stati chiesti 43). Neanche la parrocchia di San Donato sta ferma: il
canonico merda col apre il 6 gennaio del 73 un centro per anziani
riscaldato nel fabbricato, allora di proprietà della casa dell'anziano,
in via Clemente Lequio, dove oggi sorge il centro sociale è il centro
diurno comunale. La parrocchia infatti di lì a poco chiederà al
consiglio di amministrazione della pia opera di cedere gratuitamente al
Comune l'intero fabbricato con il vincolo che sia destinato a soggiorno
per anziani e per il servizio di assistenza sociosanitaria domiciliare e
tavola calda e mini alloggi. La casa dell'anziano lo cederà per 10
milioni di lire. Partiranno poi alcune assemblee e a giugno 74, una
mostra in piazza Fontana per sensibilizzare i cittadini ma soprattutto
richiamare agli impegni presi il Comune. Sarebbe lungo riferire tutti
gli sviluppi degli sviluppi successivi; ricordiamo solo che da queste
azioni nasce un coordinamento dei vari gruppi di anziani che si esprime
nella commissione congiunta formata da membri della giunta comunale, dal
personale addetto ai servizi e dei comitati degli anziani. Oltre
all'impegno sociale, la parrocchia, naturalmente è il cammino della sua
comunità ha come impegno primario l'evangelizzazione, esplicitati in
termini di vita più che di dottrina: "in realtà il nerbo interiore della comunità-sottolinea don Moine -E la parola di Dio meditata e approfondita nel gruppo biblico. L'esperienza di questo gruppo ha accompagnato tutto il cammino".
E a guidare questo lavoro interiore era un laico, Salvatore Ameduri.
Potremmo andare avanti per pagine raccontare il lavoro di questa
parrocchia e anche il rapporto con la Chiesa locale, non scevra di
tensioni, alcune delle quali azzerano alcune iniziative in atto. Altro
motivo di tensione fu la posizione ufficiale prese da un gruppo di
credenti dell'oratorio in occasione del referendum sul divorzio contro
l'abrogazione della legge. Nell'83 all'oratorio San Domenico arriva don
Bruno Marabotto, allora giovane che si dedicava alla Gioc (gioventù
operaia cristiana) e che prenderà Messa due anni più tardi. Un altro
parroco che ha saputo parlare alle persone, i giovani, costruendo
percorsi ancora oggi estremamente vitali e vivaci. Nel marzo del 98 Don
Moine succede a don Verzino: "ho preso la parrocchia per obbedienza e
io da disobbediente cronico accettato. Ho capito che non potevo essere
io a decidere del mio ministero dovevo a fidarmi. E di nuovo ho provato
pace. Ho la sensazione di una clessidra che si sta svuotando (a 75 anni bisogna dare le dimissioni) e
non c'è la possibilità di capovolgerla. Sento di dover ringraziare
perché il Vangelo di Cristo ha dato senso alla mia vita; e sentire che
non è stato inutile evitare di avere svolto il mio ruolo secondo gli
insegnamenti del concilio tra cui quello di essere presbitero al
servizio del sacerdozio comune di tutti credenti in quanto battezzati"
Cosa le lascia questo lungo percorso fatto fin qui?
"Pur
nella povertà della mia vita ho avvertito un senso di pienezza che mi
arriva dei rapporti con le persone con la gente e anche dall'attenzione
particolare che ha dimostrato la mia famiglia".
Oggi il mondo è cambiato cambia anche il modo di essere parroco?
"Credo
che invece di portare Cristo agli altri occorre cercarlo negli altri.
Per me essere parroco è proporre il Vangelo di Cristo declinato anche
nella sensibilità della gente di oggi non puoi imporre. Ma abbiamo
ancora un po' la mentalità della cittadella: noi siamo dentro e gli
altri sono fuori. Cerchiamo di non imborghesirci".
A cura di Sofia D'Agostino
L'Eco del Chisone 25/9/2019