DAL SITO DI VOLERELALUNA
La
politica nella società polverizzata (ma con presenze vitali)
dal
sito di Volerelaluna
1. La
sinistra in Italia sembra in una crisi che rischia di apparire, nei
tempi brevi, quasi irreversibile. Dal “sole dell’avvenire” alla
nebbia fitta del presente. Il primo passo dovrebbe essere capire che
è successo negli ultimi anni. Cosa si è mosso, si muove, e
soprattutto – per noi – che cosa di
altro si
può muovere, a partire da quali bisogni e desideri. In fondo la
sinistra dovrebbe continuare a essere qualcosa del genere del
movimento reale che cambia lo stato di cose esistente. Non una pura
istanza etica né un programma dagli obiettivi sacrosanti ma lontani
dalle pratiche e dalle contraddizioni che caratterizzano il
presente.
4. Va
anche aggiunto che nel tempo, a partire dagli anni ’90,
l’impostazione della destra su alcuni temi cruciali, tipo
l’immigrazione, è divenuta egemone nella società, nell’opinione
pubblica, nel sentire comune. Si è trattato di un lento e
progressivo cedimento, conseguenza del quadro individuato nei
paragrafi precedenti, ma anche derivante dall’insufficiente
contrasto sul piano culturale all’azione avversaria, quella che ha
conquistato il campo.
Un piccolo esempio in proposito: nella
FIOM/CGIL, 20 anni fa e anche più, vi erano già degli iscritti, e
anche dei delegati di fabbrica, che erano attivi nell’organizzazione
sindacale e aderivano alla Lega, o comunque la votavano. Fu ritenuto
un esempio dell’apertura del sindacato, non più “cinghia di
trasmissione” di un partito, e non, essenzialmente, una
contraddizione (un’incompatibilità) evidente con quelli che ne
erano le idee e i principi ispiratori. Di fronte ai veleni razzisti
della Lega mancò una decisa iniziativa, diffusa, capillare, sul
piano politico-culturale.
6. Perché
esiste una sinistra sociale che lavora sui territori, si impegna per
l’accoglienza ai migranti, difende il paesaggio dalle devastazioni,
le città dalla commercializzazione e dal cemento.
Non solo. Vi
sono, sempre di più, movimenti, realtà, sensibilità, che riescono,
in qualche modo, a rendersi visibili, a “bucare lo schermo”, ad
acquisire incisività ed efficacia. Su temi essenziali per il futuro
dell’umanità, con l’impegno crescente di giovani e
giovanissimi/e. Ci riferiamo a “Non una di meno”, che porta
avanti, in una dimensione mondiale, le tematiche femministe, a
“Fridays for future”, a “Extinction Rebellion” e anche alle
mobilitazioni su obiettivi di solidarietà internazionale (sul
territorio fiorentino, quella per ricordare Lorenzo Orsetti, caduto
combattendo nel Rojava, e, più in generale, in ambito nazionale, le
manifestazioni di sostegno al popolo curdo aggredito dalla Turchia di
Erdogan).
È una rete vasta di comitati, associazioni, movimenti
proiettati verso il futuro (in particolare quelli sull’emergenza
climatica), in controtendenza rispetto alle tendenze dominanti, ma
senza rappresentanza politica. È un patrimonio e un punto di
partenza con cui occorre ricostruire collegamenti e relazioni: si
tratta di elaborazioni e indicazioni che costituiscono un apporto
indispensabile per rinnovare progetti e programmi della sinistra.
E
tuttavia, indubbiamente, non è sufficiente e non basta auto-proporsi
come rappresentanti, portavoce o megafono nelle istituzioni delle
lotte. Quella galassia di comitati, vertenze, movimenti, grandi e
piccoli, ha elaborato una diffidenza profondissima per la sfera
politica/partitica, e sembra anche lontana da ogni progetto di
sintesi politica complessiva (anche se nel documento elaborato
recentemente dall’assemblea nazionale dei “Fridays for future”
si va al di là degli obiettivi specifici riguardanti l’emergenza
climatica).
Una galassia che si muove molto su delle
specifiche issue tematiche
ed è molto “laica” sul voto: si astiene dal voto o vota chi
pensa sia utile, e cioè chi ritiene che possa aspirare a costituire
una massa critica in grado di bloccare e buttare all’aria il
sistema – negli ultimi tempi spesso i Cinque Stelle, con quali
risultati si è visto, quando i “grillini” si sono alleati con la
Lega, e si sta vedendo con il governo attuale.
7. Per
essere affidabili e utili occorre prima esistere come
una esperienza politica che taglia i ponti con le forme della
sinistra novecentesca, che non si perde nelle mediazioni delle varie
sigle e porta dentro di sé elementi di solidarietà, di cura delle
relazioni, di socialità. Oggi i soggetti politici che vorrebbero
essere rappresentativi sono vissuti come alieni, estranei alle
persone, ai loro bisogni e desideri. Luoghi politici chiusi alla
partecipazione, gerarchici, senza cura delle relazioni, senza spazio
per la vita concreta delle persone, senza possibilità di narrazioni
personali. Senza gentilezza (non è più il tempo in cui “non
potemmo essere gentili”, come disse Bertolt Brecht): oggi anche nei
movimenti – vedi appunto “Fridays for future”, “Extinction
Rebellion”, “Non una di meno” – si adottano forme di lotta
ispirate alla nonviolenza.
Per la sinistra ci sembra fondamentale
cambiare le forme della politica. Creare luoghi dove sia possibile
portare tutta intera la propria vita, dove ci sia spazio per la
narrazione di sé, per quella personalizzazione dell’agire
politico che non chiede più di appartenere a un “esercito” che
deve conquistare lo Stato per cambiare il mondo dal potere. Occorre
che i luoghi che costruiamo già prefigurino in qualche modo il mondo
di relazioni e rapporti che sogniamo. Luoghi felici, anche.
Soprattutto se vogliamo che siano abitati anche da ragazze e
ragazzi.
Quando i giovani si muovono, insieme all’angoscia del
futuro assente è sempre la festa dell’incontrarsi, del conoscersi.
Anche del ripartire da sé, dalla propria vita. Salta agli occhi
nelle manifestazioni del movimento FFF il grande disincanto verso le
istituzioni e la politica dei partiti. Forse verso gli adulti tutti.
Però anche la straordinaria energia nel rivendicare spazio per il
protagonismo giovanile e la propria vitalità. Perfino sessuale, come
appare in molti cartelli artigianali, pieni di ironia.
Un compagno
del movimento della scuola affermò una volta che non avrebbe più
partecipato a un partito che avesse “sezioni”, ma solo a qualcosa
che costruisse locande:
luoghi in cui ci s’incontra, si parla, si ascolta musica, si
racconta la propria vita. E quindi si fa politica. Prima (molto
prima) di occuparsi delle campagne elettorali.
8. La
politica dovremmo proporla e viverla come ricostruzione di socialità,
di relazioni, di mutualismo. E non solo sul terreno dei bisogni.
Esiste un desiderio di comunità politica,
di luoghi comuni in cui condividere esperienze, pensieri e parole, il
materiale e l’immaginario, pratiche di una politica
esistenziale.
Ripartire
dalla società vuol dire cercare di ricostruire un tessuto diffuso di
relazioni “calde”. Sullo stesso terreno sentimentale della rabbia
e del rancore, ma come comunità di contatto e condivisione. La
comunità che viene degli smarriti e dei naufraghi, nativi e non. In
fondo l’altro siamo sempre noi. Abbiamo tutte e tutti paura,
bisogno di cura, di riconoscimento, di accoglienza. Siamo tutte e
tutti alla periferia di qualcosa, fragili, persi in qualche mare. E
non esiste una terra nostra, di cui siamo proprietari. Veniamo alla
vita da stranieri, estranei a tutto, e sono il corpo e le parole di
una donna che ci mettono nel mondo. È una relazione umana ciò che
ci fa umani. Non c’è altra salvezza possibile. Come direbbe
Leopardi, orfani di dio possiamo essere fratelli e sorelle.
9. Questo
è l’obiettivo a cui tendere. Essenziale però è il percorso per
arrivarci:
– costruendo una massa critica tale da rendere
possibile il moltiplicarsi degli spazi indicati in precedenza (le
sezioni che divengono “locande”), anche nelle periferie con cui
oggi si sono persi i contatti,
– elaborando progetti e programmi
che abbiano come base i saperi sociali maturati a livello dei
movimenti, la centralità del contrasto al predominio maschile,
dell’emergenza climatica, della riconversione ecologica (accanto ai
punti tradizionalmente propri della sinistra: l’antifascismo,
l’antirazzismo, l’antisessismo, le tematiche della pace, del
lavoro, dell’impegno solidale e accogliente), progetti e programmi
che hanno tutti bisogno, per essere sviluppati con coerenza e
incisività, di nuove forme di democrazia messe in atto dal basso,
–
riportando in campo la dimensione dell’utopia, della visione cioè
di una società diversa, utopica nel senso dell’orizzonte che non
si raggiunge mai, ma che, con la sua presenza, come sosteneva Eduardo
Galeano, ci spinge a camminare, a procedere, ad andare avanti.
Chiaro
che la sinistra attuale dovrebbe forse praticare la propria eutanasia
per fare spazio a qualcosa che sia all’altezza, e cioè a quel
“processo costituente” di un nuovo e diverso soggetto, con le
caratteristiche che qui si è cercato sommariamente di indicare, quel
processo di cui più volte si è parlato, ma che nessuno è riuscito
concretamente ad avviare.
Chiaro anche che non è facile che ciò
accada.
E però bisogna continuare a provare. Perché è forse in
questo continuo sforzo di Sisifo (il “Sisifo felice” di Albert
Camus) che la sinistra si mantiene in vita e può tornare a essere
una presenza significativa anche nella sfera istituzionale.