Amare
non è, per la Torah, un sentimento, bensì un'azione. Amare il prossimo
significa certamente non odiarlo o non bramare ciò che gli appartiene,
ma nel garantirgli la vita e l'integrità psichica e morale. E' ovvio che
non bisogna ucciderlo, ma neppure ferirlo con azioni e parole,
mentirgli e ingannarlo. Bisogna soccorrerlo, aiutarlo a risollevarsi,
fornire i mezzi di sussistenza onesti.
Amare lo straniero significa
metterlo sul nostro stesso piano. Amare il povero, la vedova, l'orfano
significa restituire loro i vestiti presi in pegno, sollevarli dalla
miseria, dare loro ciò che è necessario per vivere.
Amare lo schiavo
significa trattarlo con bontà.
Amare il nemico significa riportargli il
bue e l'asino che si smarrirono.
Tutto
ciò è precisato nella Torah, che cura meticolosamente le leggi persino
in ambiti che la civiltà moderne considerano come specifici della buona
volontà e non della legge stessa. L'amore per essere autentico non può
accontentarsi di essere solo uno slogan!
La Torah fa della giustizia e
della bontà una legge. Del resto un solo termine designa le due nozioni:
tzedeq. La realizzazione dello tzedeq, giustizia e bontà
è insieme all'amore per il prossimo una delle esigenze fondamentali
(Deuteronomio 16,20). Essa garantisce i diritti della persona. La Torah è
una sorta di parapetto contro l'egoismo individuale e collettivo.
LaTorah ricorda costantemente che vi sono "altre cose" e apre i mondi
chiusi, i cuori rinchiusi in loro stessi.
Marc Alain Ouaknin, Le dieci parole, ed.Paoline 2001, pp.26-27