venerdì 29 novembre 2019

La parola
surreale

Oltrepassare la dimensione del reale, staccarsi dalla materia, entrare nell'onirico. Il mondo dell'immagine avvolge la nostra esperienza e ci distrae costantemente dalla realtà . Ci nutriamo di realtà virtuali, nell'inconscia speranza che la surrealtà ci sappia liberare dalla realtà, dal peso materico della realtà. Una schizofrenia costante, che spappola la relazione, la consistenza del tempo e dello spazio. Così l'aggettivo più usato nel web di fronte alle immagini di Venezia sommersa è "surreale". La surrealtà dei taxi-barca che navigano nelle calli, dell'acqua che sommerge le tombe dei patriarchi, dei turisti che si fanno i selfie di gioia nella piazza allagata. "Cose da non crederci, cose che superano la dimensione del reale"; l'uomo dell'era delle immagini non crede alla realtà che diventa incubo, prova a riassegnarla alla non realtà, a ridarle una dimensione immateriale.
Invece è la materia che irrompe, la realtà che si ribella alla nostra dipendenza dal fantasy: è evento storico preciso, è spazio e tempo ineludibili, è presente immantinente, non mediato ma immediato, non è minaccia extraterrestre, ma fenomeno terrestre inarrestabile. L'acqua scivola, scavalca, allaga, solleva, scaraventa. Non è ipotesi, è dimostrazione. Appellarsi al surreale è ultimo disperato tentativo dell'uomo mediatizzato di provare a non credere ciò che ora davvero succede. Ma il reale ha preso il suo posto e l'unica surrealtà di cui dovremmo occuparci è quella di ritardi ed errori inaccettabili di chi ha millantato di poter fermare le acque con improbabili macchinari post-biblici, tradendo così tradizioni centenarie di chi le acque le sapeva gestire quotidianamente. Forse perché per secoli la realtà era più pertinente della surrealtà.
ANDREA SEGRE

(L'Espresso, 17 novembre 2019)