mercoledì 25 dicembre 2019

IL CAPITALISMO NON E' AFFATTO IN CRISI


 Branko Milanović, The Guardian, Regno Unito 

Il sistema capitalista è criticato perché distribuisce iniquamente i vantaggi della globalizzazione e invade ambiti un tempo esclusi dal commercio. Ma domina ancora in tutto il mondo 

Da tempo una valanga di nuovi libri e articoli annuncia la fine del capitalismo o il suo superamento. C'è una strana somiglianza tra queste pubblicazioni e quelle uscite negli anni novanta che prefiguravano la ‟fine della storia” hegeliana. Quella teoria si è dimostrata sbagliata.  Io ritengo che anche quella più recente sia sostanzialmente sbagliata e rappresenti un’errata diagnosi del problema. I fatti dimostrano che il capitalismo non è affatto in crisi. È più forte che mai, sia dal punto di vista della sua diffusione geografica sia per la sua espansione in altri ambiti, come il tempo libero o i social network, in cui ha creato mercati del tutto nuovi, mercificando cose che prima non erano oggetto di transizione.
  Dal punto di vista geografico, oggi il capitalismo è il sistema di produzione dominante (se non l'unico) in tutto il mondo: in Svezia il settore privato impiega più del 70 per cento della forza lavoro e negli Stati Uniti più dell’85 per cento. In Cina le aziende private (organizzate sul modello capitalista) producono l'80 per cento della ricchezza. Le cose ovviamente non stavano così prima della caduta del comunismo nell'Europa orientale e in Russia, o prima che la Cina si lanciasse nella sua - per dirla con un eufemismo - ‟trasformazione”.
 Grazie anche alla globalizzazione e alle rivoluzioni tecnologiche sono stati creati mercati prima inesistenti: per esempio l'enorme mercato dei dati personali, i mercati degli affitti di automobili o case private (che non erano un capitale prima della creazione di Uber, Lyft e Airbnb) e il mercato degli spazi per i lavoratori autonomi (inesistenti prima di WeWork e aziende simili).
 L'importanza sociale di questi nuovi mercati è che dando un prezzo a cose che in precedenza non ne avevano trasformano semplici beni in merci con un valore di scambio. Quest’espansione non è sostanzialmente diversa dall'espansione del capitalismo che avvenne nell'Europa del settecento e dell'ottocento, quando si cominciò a produrre a scopi commerciali generi alimentari, abiti, scarpe e altri beni in precedenza realizzati dalle famiglie.
 Con la creazione di nuovi mercati, a queste merci e attività viene imposto un ‟prezzo ombra”. Questo non significa che tutti noi cominciamo immediatamente ad affittare le nostre case o a usare le nostre automobili come taxi, ma significa che siamo consapevoli delle perdite finanziarie che accumuliamo non facendolo. Quando ci saranno le condizioni giuste (perché la nostra situazione è cambiata o magari perché il prezzo relativo aumenta), molte persone entreranno nei nuovi mercati e di conseguenza di rafforzeranno.
   Questi nuovi mercati sono frammentati, nel senso che raramente richiedono un'intera giornata di lavoro continuativo. La mercificazione va quindi di pari passo con la cosiddetta gig economy (economia dei lavoretti). In una gig economy siamo fornitori di servizi (per esempio possiamo consegnare la pizza il pomeriggio) e allo stesso tempo acquirenti di servizi un tempo non monetizzati. Prendersi cura di anziani e bambini, preparare e consegnare pasti a domicilio, fare shopping, fare le pulizie a casa, portare fuori il cane e via di seguito erano tutte attività in passato svolte dalla famiglia.
    Quest’espansione del capitalismo potrebbe porre interrogativi sul ruolo e perfino sulla sopravvivenza della famiglia. Al di là dell'educazione dei figli, il principale fondamento economico della famiglia era il sostegno reciproco e la condivisione - distorta dal punto di vista del genere - di attività non commercializzate. Man mano che tutto questo va erodendosi, possiamo aspettarci nel lungo periodo un aumento di famiglie composte da un'unica persona e del numero di persone che non avranno mai un partner né si sposeranno mai. Già oggi nei paesi nordici un numero tra il 30 ed i 40 per cento delle famiglie è composto da una sola persona.

 L'ascesa del populismo  
Quindi se il capitalismo si è diffuso tanto in tutte le direzioni, perché parlare di crisi? Perché ci concentriamo sul malessere delle classi medie occidentali e sull'ascesa del populismo. Tuttavia l'insoddisfazione nei confronti del capitalismo globale non è universale: un sondaggio commissionato dalla società di ricerche YouGov ha mostrato un forte sostegno alla globalizzazione in Asia, mentre negli Stati Uniti e in Francia il sostegno è minimo.
   Il malessere occidentale è il prodotto di una distribuzione disomogenea delle conquiste della globalizzazione. Quando negli anni ottanta cominciò la globalizzazione, in occidente fu ‟venduta” politicamente - insieme alla ‟fine della storia” - sulla base del presupposto che avrebbe avvantaggiato in modo sproporzionato i paesi più ricchi. L'esito è stato opposto. A beneficiarne è stata soprattutto l'Asia, e in particolare i suoi paesi più popolosi: la Cina, l'India, il Vietnam e l'Indonesia. In Europa e negli Stati Uniti i beneficiari sono stati pari a l'1 per cento. Questo divario tra le aspettative delle classi medie e la crescita ridotta dei loro redditi ha alimentato l'insoddisfazione nei confronti della globalizzazione e, per estensione, del capitalismo.
   C'è tuttavia un altro tema che sembra riguardare la maggioranza dei paesi e ha a che fare con il funzionamento dei sistemi politici.
   In linea di principio la politica, come il tempo libero, non è mai stata considerata un'area di transazioni di mercato. Eppure entrambi lo sono diventati. Questo ha reso i politici più corrotti. Anche se non sono coinvolti in episodi di corruzione esplicita nel corso del loro mandato, i politici tendono a usare i contatti acquisiti per guadagnare soldi in seguito. Questa mercificazione ha suscitato sentimenti di diffuso cinismo e disincanto nei confronti della politica e dei politici tradizionali.
   Anche se spesso si ritiene che la politica intesa come capacità imprenditoriale riguardi solo i paesi meno sviluppati, oggi quest'idea si è diffusa anche in Europa. È altrimenti difficile spiegare l'evoluzione di figure come Matteo Salvini, l'ex ministro dell'interno italiano di estrema destra. I legami politici possono anche essere usati come una risorsa di valore nel corso delle carriere politiche.
   Prendiamo il caso di José Barroso, ex presidente della commissione europea che è poi andato a lavorare alla banca d'affari Goldman Sachs. Questa mercificazione è ciò che Francis Fukuyama, autore del saggio La fine della storia e l'ultimo uomo (Rizzoli 2003), definisce ‟altruismo reciproco”: non è illegale, ma è uno scambio di favori dilazionato nel tempo.
  La crisi quindi non riguarda il capitalismo in sé. Si tratta di una crisi provocata dagli effetti disuguali della globalizzazione e dall'espansione del capitalismo ad aree tradizionalmente considerate non idonee alla commercializzazione. Il capitalismo è diventato troppo potente e, in regioni come l'Europa, è in rotta di collisione con credenze profondamente radicate. Se non sarà controllato e il suo ‟campo d'azione” non sarà limitato a quello di un tempo, continuerà a espandersi ad ambiti non ancora commercializzati.

Branko Milanović è un economista statunitense di origine serba specializzato nello studio delle disuguaglianze. in Italia ha pubblicato Ingiustizia globale. Migrazioni, disuguaglianze e il futuro della classe media (Luiss University Press 2017).

(Internazionale, 6 dicembre 2019)