Il
mito religioso riguarda soprattutto le origini del mondo o la comparsa
di determinati personaggi fondatori di una religione o che si sono
affacciati alla sua storia dandole nuovo lustro. Lo scopo finale del
mito, più o meno dichiarato è sempre di dare giustificazione e senso
alla condizione dell'essere umano sulla terra, a partire dal grande
problema posto dalla presenza del male, della sofferenza e
dell'ingiustizia.
Un secondo polo mitologico riguarda sicuramente la fine del mondo e la visione dell'aldilà.
Il
cristianesimo non solo non fa eccezione ma è ricchissimo di miti che
riguardano in particolare le origini del Salvatore e l'escatologia
personale, cioè il destino finale delle singole anime ed eventualmente
quello dei corpi e la consumazione del cosmo o nuovo inizio di tutte le
cose.
Ai miti
contenuti nelle scritture sacre che il cristianesimo ha in comune con
l'ebraismo-la parte della Bibbia detta Antico Testamento-si sommano
quelli specificamente suoi, contenuti nel Nuovo Testamento. Il problema
che si pone oggi al credente non è tanto di sbarazzarsi dei miti, quanto
di non prenderli alla lettera, come è avvenuto per i miti antichi sino
alle soglie dell'età moderna-e come si continua a fare da parte di
chiese e ambienti religiosi tradizionalisti-e di essere consapevoli
della provvisorietà di quelli nuovi.
Per
quanto infatti, suoni paradossale, anche l'approccio moderno alla
religione comporta l'elaborazione di nuovi miti, perlomeno nel senso
generico dell'impossibilità di prescindere dal linguaggio simbolico. La
differenza con il passato consiste nel fatto che la cultura di oggi
riconosce i miti e i simboli già in partenza per ciò che sono: strumenti
interpretativi con data di scadenza, cioè che resteranno in funzione
fino ha che la cultura non troverà qualcosa di meglio.
John Shelby Spong, La nascita di Gesù, Massari editore