giovedì 30 gennaio 2020

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 2 FEBBRAIO

SIMEONE E ANNA: PER UNA COMUNITA' CHE VIVE L'ATTESA

Luca 2,22-40

22 Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, 23 come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; 24 e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.25 Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; 26 lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. 27 Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, 28 lo prese tra le braccia e benedisse Dio:29 «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
30 perché i miei occhi han visto la tua salvezza,31 preparata da te davanti a tutti i popoli,32 luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele».
33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34 Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione 35 perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima».36 C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, 37 era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.39 Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. 40 Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

Maria e Giuseppe, i genitori di Gesù, ci vengono presentati come fedeli alle tradizioni del loro popolo. Gesù e gli altri figli e figlie crebbero nel contesto di una famiglia ebraica del loro tempo in cui l’educazione alla fede era centrale.
La famiglia , nelle sue varie forme, anche oggi può ancora essere  uno dei luoghi fondamentali per la testimonianza e l’iniziazione alla fede.
Questo “compito” dei genitori oggi mi sembra, nelle mutate condizioni, “tutto da inventare”, cioè un percorso quasi da creare ex novo. Chi si limita a ripetere ai figli  il catechismo della propria infanzia, non prende atto del fatto che il messaggio  del Vangelo deve continuamente “fiorire” in linguaggi diversi. 
Uno dei primi passi da compiere, a livello culturale ed ecclesiale, consiste nella presa d'atto che le famiglie sono tante e diverse e la concezione del modello unico marginalizza altre esperienze. La comunità ecclesiale deve ancora imparare che cosa significhi accogliere realmente modalità familiari diverse e diventare una "casa" in cui si gusti la pace con se stessi, con Dio e con altre esperienze.
Una comunità che "profumi" di Vangelo non giudicherà un modello superiore agli altri. Anche chi ritrova l'amore che aveva perduto e ricostruisce una famiglia dopo una separazione, non ha bisogno di sentire gli occhi puntati come se fosse un cristiano di seconda classe...Ma oggi esiste un problema preliminare: quante sono le famiglie in cui i figli e le figlie possono ricevere una testimonianza di fede vissuta? Quanti sono i genitori che hanno a cuore la testimonianza del Vangelo?

Ritratti
Ma oggi voglio soffermarmi brevemente sui “ritratti” che Luca ci presenta di Simeone e Anna.
Queste due persone anziane sono dipinte da Luca come modelli e testimoni della fede d’Israele. In essi splende la miglior tradizione di Israele, quella che – secondo  la discutibile prospettiva teologica dell’evangelista – aveva accolto e riconosciuto in Gesù il messia di Israele e la luce delle nazioni.
Questi due quadri in realtà per Luca sono finalizzati a contestare coloro che in Gesù non avevano visto e accolto il messia e a sottolineare che in  Gesù si realizza l’attesa di Israele. La disputa circa il messia attraversò per secoli il mondo ebraico e il movimento del nazareno. 
I Vangeli ci testimoniano una delle varie correnti del giudaismo di quel tempo.
Concentrando il nostro sguardo sul  pio Simeone e sulla profetessa Anna, siamo indirizzati ad accogliere la loro testimonianza di “giganti” dell’attesa.
Tutta la loro vita , nei ritratti spirituali che il pittore Luca ci regala con particolari pieni di luce e di calore, è impostata sul registro dell’attesa.  Non siamo davanti ad una pagina di cronaca, ma davanti ad un linguaggio midrashico. Non ribadiamo mai abbastanza che spesso nella Bibbia, come in questo caso, i "personaggi" sono costruiti per trasmetterci un messaggio. Sono pagine letterarie e teologiche per stimolarci con una esemplare lezione di vita e di fede. 
La comunità di Luca
In realtà questo "dipinto letterario" è una retroproiezione teologica: si mettono sulla bocca di Simeone e Anna, nel primo incontro con Gesù e la sua famiglia, le convinzioni e gli atteggiamenti che l'evangelista propone alla sua comunità. In parole povere: si mette agli inizi, nelle persone di Anna e Simeone, la fede che la comunità di Luca andò scoprendo lentamente.
E’ evidente che Luca qui aveva ben presente la sua comunità. Questi due testimoni di ieri sono, per Luca, maestri e profeti di oggi. L’evangelista doveva fare i conti con la tentazione incombente sulla sua generazione di credenti. La fragilità dell’esperienza comunitaria e il desolante paesaggio del dominio imperiale romano avevano persuaso molti fratelli e sorelle a rassegnarsi al panorama presente, a rinunciare all’attesa di qualcosa di nuovo: un futuro che si presentava “senza avvenire”.
La messa in scena di questi due protagonisti diventa un messaggio esplicito per la sua comunità: per accogliere Gesù e il suo messaggio bisogna essere o diventare uomini e donne dell’attesa, non lasciarsi imprigionare nella ideologia del destino o della rassegnazione.

Per noi oggi
Il messaggio mi sembra tutt’altro che irrilevante per noi oggi. Dopo tante lotte, dopo tanti anni di speranze e di progetti, i poteri della nostra “società” usano ogni mezzo per predicarci la impossibilità di cambiare e per “distrarci” dall’impegno per il cambiamento. Succede anche nella chiesa: quando si vogliono introdurre cambiamenti veri, c'è subito chi grida all'allarme. Peggio ancora è la situazione di quei cristiani e di quei preti che dormono beati nel regno delle litaniche ripetizioni. La chiesa che dorme è assai lontana dalla chiesa che attende e guarda attenta ai segni di Dio che compaiono nel mondo.
Il “sistema” deride coloro che credono che un mondo “altro” sia possibile. Li dipinge come illusi, sognatori, ingenui o sovversivi mentre protegge e lascia a piede libero furfanti, ladri, corrotti.
Come Simeone e Anna, non possiamo abbandonare una operosa attesa.  No: “ciò che tarda avverrà”. Un mondo “altro”, in cui l’amore e la giustizia siano più forti dell’egoismo e della violenza , non solo è possibile. 
E’ diventato necessario e urgente per un cristiano che crede nel Dio della creazione e della liberazione.
Questo squallido mondo dei mercanti di oggetti, di armi e di corpi non rispetta l’ordine della creazione, il sogno di Dio per il creato.
Dio, il soffio vitale che accompagna e penetra ogni creatura, ci chiama ad una attesa sovversiva, a guardare avanti e oltre. Non siamo figli/e di un destino, ma discepoli di un profeta.
La idolatria liturgica del potere economico e finanziario, le multinazionali, le cattedrali bancarie in cui il dio denaro siede sul trono del dominio  e dello sfruttamento, sono la bestia che seduce, la “grande babilonia” che affama i poveri e dà spettacolo di onnipotenza.
La Parola di Dio , nel suo potere antidolatrico, smaschera questo teatro dell’oppressione e ci sollecita a non lasciarci né incantare né paralizzare.
La strada che i profeti e Gesù ci indicano è in questa direzione. Lungo questo percorso ci è dato di incontrare quella folla immensa di donne e di uomini che, da percorsi e da esperienze diverse, nutrono lo stesso sogno e combattono la stessa battaglia.
Bisogna, come Simeone, “prendere tra le braccia il bambino” (Luca 2, 28), cioè prenderci a cuore, abbracciare tutte le nascenti esperienze di novità umana, tutti gli spazi in cui si partorisce il mondo “altro”.
Sono proprio io che, dentro il piccolo solco del quotidiano, debbo accogliere, partorire ed abbracciare quei frammenti di mondo nuovo e di chiesa nuova che qua e là compaiono. 
L’attesa evangelica è attiva: non è come aspettare il bus. Essa sa che Dio è fedele e ….”ciò che tarda avverrà”.

Non portarlo fuori

Ma non possiamo dimenticare che, se Giuseppe e Maria hanno accompagnato Gesù e gli altri loro figli e figlie dentro il percorso della fede ebraica, espressa nelle categorie del giudaismo del loro tempo, noi cristiani abbiamo fatto il cammino contrario: abbiamo "portato fuori Gesù" dal suo contesto, dalla sua tradizione ebraica.  
Ma il "Gesù fuori dall'ebraismo" oltre o contro l'ebraismo, è una nostra invenzione, un tradimento della sua storia reale e della sua fede nel Dio di Abramo.
Sono bastati pochi secoli per operare questo stravolgimento tanto che il mostruoso edificio dell'antisemitismo è in larga misura una produzione cristiana di cui vediamo i frutti avvelenati ogni giorno. 
Una memoria, sana e storicamente fondata, ci porterebbe a ricollocare Gesù nel suo contesto.
Così la sua fede in Dio e tutto il suo messaggio ritroverebbero una nuova fioritura, fuori dalle secche delle infinite prigioni dogmatiche che hanno ridotto Gesù ad un idolo ecclesiastico.