FAREMO E ASCOLTEREMO
..E tutto il popolo rispose a una voce e disse:" Noi faremo tutte le cose che il Signore ha dette"(Esodo 24,3)
L'attenzione
di chi legge le parole del Sinai è tutta presa dai contenuti delle
regole stabilite da Dio per il suo popolo, inevitabile domandarsi perché
proprio quelle norme e quale significato hanno per abitare diversamente
una nuova terra. Rimane, invece, più in ombra l'andirivieni di Mosé che
si muove tra il monte dove Dio lo convoca e le pendici dove e
accampato il suo popolo. E solo sullo sfondo rimangono anche le azioni
che si svolgono intorno al dono della Torah espresse dai verbi della
narrazione. La sapienza ebraica che di quelle leggi ha fatto il cuore
della propria fede non di meno ha riflettuto a lungo sulle azioni che
avvengono sulla scena del Sinai.
Soprattutto
su quelle strane successione di verbi con cui il popolo risponde alla
lettura del libro del patto. Alla lettura, la risposta di Israele suona
così: "Tutto quello che il Signore ha detto noi lo faremo e lo
ascolteremo". I traduttori hanno subito colto qualcosa di illogico:
prima infatti si ascolta e poi si fa quello che si è udito e non
viceversa.
La
tradizione ebraica, invece, vi ha letto le cifre della propria
esperienza credente: occorre arrischiarsi a fare, per giungere ad
ascoltare e capire. La Parola dapprima è agita e solo dopo, a partire da
un vissuto obbediente alla Parola, si dischiude l'orizzonte di senso di
cui è portatrice.
Nessun
errore logico dunque; piuttosto, un altro modo di intendere l'ascolto,
la cui verità si dispiega solo in seconda battuta dopo che il futuro
uditore si è coinvolto mettendosi in gioco agendo. Dunque, fare per
arrivare ad ascoltare e capire. Nell'inversione dell'ordine dei verbi
scorgiamo un ripensamento radicale della relazione con Dio e del senso
della libertà umana. Ma questa pagina dell'Esodo appare ancora più
intrigante se la nostra attenzione si allarga fino a comprendere anche
gli altri verbi che esprimono una sequenza di azioni.
Dio parla (V.1) Mosé riferisce al popolo, che accetta di fare quanto detto dal Signore (v.3) poi Mosé scrive quelle parole (v.4) prepara il rito che deve suggellare un patto di sangue (4-6) e legge
quanto scritto nel libro del patto (v.7). Ed è solo a questo punto che
udiamo la risposta della comunità: "noi saremo e ascolteremo" seguita
dall' aspersione che suggella il patto (8). Non è per pedanteria che ho
elencato le diverse azioni messe in evidenzia dal racconto. Vi è qui una
sapienza pedagogica che faremo bene a non sottovalutare. Essa ci
ricorda quanto rischiamo di dimenticare, traditi dalla fretta, ovvero
che nel processo di appropriazione non basta ricevere una parola
significativa, per quanto autorevole, detta da Dio. Occorre un lungo
cammino affinché il popolo si appropri di quella Parola altra, capace di
generare vita. Le tante azioni compiute da Mosè e dal popolo
simboleggiano, liturgicamente, tale processo. Che necessita dei tempi
lunghi dell'apprendimento, dove la prima risposta è solo un inizio. Per
nulla immediata, l'appropriazione della Parola altra risulta complessa,
faticosa. Figurarsi per le generazioni successive, ormai stanziate nella
terra, a rischio di vedere in quella parola una bella favola (Ezechiele
21,5). Di di qui l'esigenza di lasciare almeno traccia dell'articolato
processo di appropriazione della Parola. Di attestare: "noi l'abbiamo
udita quella Parola e abbiamo promesso di seguirla. Ma poi abbiamo
compreso che era necessario scriverla per leggerla e rileggerla più
volte. E occorreva anche mostrare con gesti simbolici e riti che li ne
andava della nostra stessa vita, che si trattava di un patto di sangue.
Dovevamo convincere, innanzitutto, noi stessi, generazione affascinata
dell'immediatezza, troppo stanca per affrontare percorsi lunghi,
soggetta al richiamo degli dei a portata di mano e delle loro parole
statiche. Ma l'abbiamo fatto anche per voi, che leggete queste parole,
affinché intuiste che cosa significhi che con questo Dio si stipulano
patti di sangue, legami di vita. Il Dio dell'Esodo desidera movimento,
cambiamenti; incontrarlo non è mai esperienze di passività. Lui è un Dio
che libera, ma noi dobbiamo scegliere di metterci in cammino verso la
meta da Lui promessa. Un cammino che domanda appropriazione della Parola
liberatrice. O meglio, richiede che ci lasciamo appropriare da quella
Parola. A quanti la odono per la prima volta, domanda seconde volte:
altro tempo, nuove risposte, altri gesti. In attesa che si aprano non
solo le orecchie ma l'intera vita. Fino a poter dire in verità: noi la
faremo e l'ascolteremo."
Lidia Maggi-Rocca 15 dicembre 2019