giovedì 23 gennaio 2020

Quando la Curia ordinò a Giotto un presepe normale

IL PRESEPE. Non c'è forse immagine sacra più fraintesa, abusata, profanata. Fin dall'inizio: tra quando Francesco lo inventò, nella notte di Natale del 1226, e quando Giotto, intorno al 1290-92, rappresentò nella Basilica superiore di Assisi proprio quella notte. Francesco aveva chiesto al suo amico Giovanni di preparargli a Greccio una rappresentazione vivente: un bambino vero adagiato in una mangiatoia, e due animali, il bue e l'asino, non meno reali. Tutto qua: senza nemmeno Maria e Giuseppe.
Davanti a tutta quella piccolezza, Francesco predicò all'aperto, nella gelida notte della montagna umbra. E sappiamo che uno dei presenti ebbe poi una visione in cui Francesco si avvicinava al piccolo che dormiva nella mangiatoia, e lo destava come da un sonno profondo. Il senso era chiaro: Francesco voleva ridestare nell'anima di chi lo ascoltava la presenza dirompente del Dio-bambino. Vengono in mente le parole, lontanissime, con cui George Orwell ha riflettuto sulla necessità di «non abbandonare completamente la visione del mondo acquisita nell'infanzia»: e cioè «la capacità di desiderare follemente cose che da grandi non si sognano più». Cose come la giustizia e l'eguaglianza tra gli uomini.
Quando tocca a Giotto rappresentare tutto questo, il risultato è un capolavoro figurativo. Uno spazio vero, un ambiente credibile: in cui pare di poter toccare gli oggetti e sentire il canto che esce da quelle bocche aperte. Un apice di pittura della realtà, dove nature morte e creature vive si offrono ai nostri occhi con una straordinaria forza di persuasione. Ma i committenti di Giotto, i capi di un ordine ormai potente e allineato con la Curia romana, usano quel potere di persuasione per tradire le intenzioni di Francesco e ribaltare il senso del presepe. La scena non è quella della povera montagna di Greccio, ma è una sontuosa basilica piena di arredi all'antica. Il bue e l'asinello sono solo inerti statuette. I frati sono ormai clero, divisi da un popolo (specie le "pericolosissime" donne) respinto fuori dallo spazio sacro. E lo stesso Francesco indossa una lussuosa dalmatica. Il presepe è stato normalizzato.
Chissà se Giotto voleva farci capire che aveva capito: egli dipinge magnificamente un grande crocifisso visto da dietro, con la parchettatura bene in mostra. Il segno più sconvolgente della storia cristiana ridotto a un inerte oggetto di legno: proprio come oggi il presepe nelle mani di politicanti che con una mano lo impongono, con l'altra seminano odio. Negando ogni riga del Vangelo che quel Bambino portò agli uomini, e per il quale Francesco ardeva d'amore.
Tomaso Montanaro

(il venerdì, 10 gennaio 2020)