È
stata una battaglia tra chi cavalca i timori e chi non lo fa Sconfitto
chi pensa che serva un nemico permanente da cui guardarsi le spalle
La lezione dell’Emilia: dal duello sulla paura all’idea di comunità
di Concita De Gregorio
Si
vive meglio a non avere paura, mi ha detto una persona che mi ha
aiutata in un momento di difficoltà, un giorno, per strada, lungo la via
Emilia. Il gesto semplice di uno sconosciuto: l’aiuto io, non abbia
paura. E’ così facile, alla fine, leggere questo risultato elettorale
che ha tenuto in tensione il paese intero per settimane. Il testa a
testa, il voto incerto, il voto disgiunto, i citofoni e le sardine, la
contendibilità dell’avamposto, il modello, l’ultimo presidio, le
rivalità i risentimenti, le inerzie degli uni, certo, le urla degli
altri, e i baci ai salami che però la gente lo capisce, quel linguaggio
lì. La gente vuole la semplicità, mica i ragionamenti. I ragionamenti
hanno stancato, è ora di cambiare.
E invece era più facile: era un
duello fra chi ha paura, chi la semina e la cavalca, e chi no. Perché si
vive meglio a non avere paura e chi non ha paura, comunque vadano le
cose, ha vinto.
È
questi la lezione di stamani, perché poi alla fine non c’entrano nemmeno
i partiti, gli schieramenti – certo che conta, certo che era anche una
sfida politica – ma è molto di più, invece: l’Emilia Romagna ci parla di
un modo di stare al mondo, che è davvero agli antipodi del presunto
“spirito del tempo”. Si può vivere in pace: si può vivere meglio che con
il fucile puntato, con la rabbia in corpo, con un nemico permanente da
cui guardarsi le spalle. Dopo: tutto è migliorabile, ti dicono qui.
Certo che quel che va abbastanza bene potrebbe andare meglio, e certo
che un sistema di governo che dura dal dopoguerra si è arroccato, anche,
e non ha capito, e ha campato di rendita. Ma se pure voti Lega, o
Fratelli d’Italia: puoi stare calmo. Puoi essere convinto delle tue
ragioni, ma rilassati. Dai una mano, che c’è tanto da fare. Unisciti al
turno per portare i bimbi a scuola, fai funzionare il robot che
restituisce una mano a chi l’ha persa, ridipingi il centro dove gli
anziani giocano a carte. Fare bene insieme, diceva Giuseppe Dossetti.
Insieme. È la comunità che vince. Insieme bisogna fidarsi. La violenza,
le urla, la paura dividono, e da soli dietro le trincee si vive peggio.
Erano
già ai seggi di prima mattina, ieri. I ragazzi tornati dalle città dove
sono andati a studiare e lavorare – le madri: “Te lo pago io, il
biglietto, ma vieni: torna che serve” – la gente in fila che era il
doppio della volta scorsa, si vedeva subito. Il doppio. Tanti ridevano,
ai seggi, e i sorrisi in questa gara pesano più degli exit poll: se
sorridi, sei di quelli che aiutarsi è meglio. Sei dell’esercito che si
rimbocca le maniche quando sente il pericolo. La vecchia sinistra
contadina che esce quando c’è l’alluvione a dare mano e non guarda in
faccia: scava. Sono i nonni, quelli. È la radice delle cose. Poi i
nipoti sono anche nelle liste di Salvini, tanti ce ne sono, ma la storia
di questo posto è un’altra e non si può dimenticare: “La Resistenza qui
è un fatto di famiglia, è dentro casa. Non è un’idea astratta da
discutere, sono le mani di tua nonna. Ce l’hai tu una nonna?”, chiedeva
un ragazzo alla cameriera dell’enoteca che annunciava: io voto per
cambiare, voto prima gli italiani. Sì, ce l’ho una nonna. Silenzio.
Le
nonne e i nipoti. L’Emilia, e la Romagna. Al centro del corpo del Paese
come un cuore. Non è un modello teorico, è una pompa che pulsa e porta
sangue fino alla Sicilia, fino al Veneto. Porta ossigeno anche a chi non
lo sa, che arriva da lì. Le scuole materne pubbliche di Scandiano, le
cooperative sociali di Imola, le guide che portano gli escursionisti
alle lapidi del Monte Penna. I volontari, i rugbisti, le Acli, le
balere, i circoli Arci dove è nato il rock. Non è un posto di uguali,
sono tutti diversi - naturalmente: le badanti, i maghi, gli chef dei
ristoranti stellati, i massoni, i circoli degli esteti, i maestri di
musica, i vescovi che suonano la tromba e i parroci che aprono le chiese
per farci dormire chi non ha tetto. E’ una regione- mondo fatta di
lingue, confini, invidie e rivalità, come ovunque. Bologna che è tutto
lei, Parma la bella Budrio la misteriosa Reggio la testa quadra. Reggio
Emilia, che Kobe Bryant ci è cresciuto e diceva: ho imparato qui che
ogni sogno si può realizzare. Le poesie sui muri di Santarcangelo e
quella lingua che scivola direttamente nei sogni, appunto. E poi certo,
anche: quel rumore di fondo, che se accosti l’orecchio lo senti
fortissimo. Un rombo cupo, cambiare per cambiare, ora basta favori agli
amici, basta con questa vostra fortezza chiusa, fateci passare che
arriviamo noi. Erano due campagne elettorali agli opposti. Bonaccini è
andato a dire sono il sindaco di Emilia e di Romagna, ha nascosto le
insegne di partito: ha fatto una corsa di prossimità, sono io, ha detto,
queste sono amministrative. Salvini al contrario ha giocato alle
politiche: ha mandato la candidata alle cene, l’ha tenuta dietro le
spalle nei circoli ristretti, in piazza e ai citofoni è andato lui. Le
regionali, da sempre, sono un voto più politico che locale. Ma le
sardine hanno portato in piazza chi non ci tornava più da anni. È stato
un duello Sardine-Salvini, soprattutto sui media, mentre palmo a palmo i
coraggiosi e le coraggiose battevano i paesi e andavano a dire: non
abbiate paura. Cambiamo, sì, ma cambiamo noi. Perché poi ad avere paura
quando suoni ti dimentichi le note, sorride il maestro Scala che parla
la lingua universale della musica. La paura, diceva, si combatte
insieme. Con umiltà, con pazienza. Con rispetto della bellezza che c’è e
che può sempre, naturalmente, essere meglio di così. Più bella ancora.
Bonaccini
Il candidato presidente del centrosinistra Stefano Bonaccini, 53 anni,
modenese, governatore uscente in Emilia Romagna, verso la riconferma.
La Repubblica 27/01