lunedì 27 gennaio 2020

UN MODO POSITIVO DI STARE AL MONDO

È stata una battaglia tra chi cavalca i timori e chi non lo fa Sconfitto chi pensa che serva un nemico permanente da cui guardarsi le spalle

La lezione dell’Emilia: dal duello sulla paura all’idea di comunità
di Concita De Gregorio

Si vive meglio a non avere paura, mi ha detto una persona che mi ha aiutata in un momento di difficoltà, un giorno, per strada, lungo la via Emilia. Il gesto semplice di uno sconosciuto: l’aiuto io, non abbia paura. E’ così facile, alla fine, leggere questo risultato elettorale che ha tenuto in tensione il paese intero per settimane. Il testa a testa, il voto incerto, il voto disgiunto, i citofoni e le sardine, la contendibilità dell’avamposto, il modello, l’ultimo presidio, le rivalità i risentimenti, le inerzie degli uni, certo, le urla degli altri, e i baci ai salami che però la gente lo capisce, quel linguaggio lì. La gente vuole la semplicità, mica i ragionamenti. I ragionamenti hanno stancato, è ora di cambiare. 
E invece era più facile: era un duello fra chi ha paura, chi la semina e la cavalca, e chi no. Perché si vive meglio a non avere paura e chi non ha paura, comunque vadano le cose, ha vinto.
È questi la lezione di stamani, perché poi alla fine non c’entrano nemmeno i partiti, gli schieramenti – certo che conta, certo che era anche una sfida politica – ma è molto di più, invece: l’Emilia Romagna ci parla di un modo di stare al mondo, che è davvero agli antipodi del presunto “spirito del tempo”. Si può vivere in pace: si può vivere meglio che con il fucile puntato, con la rabbia in corpo, con un nemico permanente da cui guardarsi le spalle. Dopo: tutto è migliorabile, ti dicono qui. Certo che quel che va abbastanza bene potrebbe andare meglio, e certo che un sistema di governo che dura dal dopoguerra si è arroccato, anche, e non ha capito, e ha campato di rendita. Ma se pure voti Lega, o Fratelli d’Italia: puoi stare calmo. Puoi essere convinto delle tue ragioni, ma rilassati. Dai una mano, che c’è tanto da fare. Unisciti al turno per portare i bimbi a scuola, fai funzionare il robot che restituisce una mano a chi l’ha persa, ridipingi il centro dove gli anziani giocano a carte. Fare bene insieme, diceva Giuseppe Dossetti. Insieme. È la comunità che vince. Insieme bisogna fidarsi. La violenza, le urla, la paura dividono, e da soli dietro le trincee si vive peggio.
Erano già ai seggi di prima mattina, ieri. I ragazzi tornati dalle città dove sono andati a studiare e lavorare – le madri: “Te lo pago io, il biglietto, ma vieni: torna che serve” – la gente in fila che era il doppio della volta scorsa, si vedeva subito. Il doppio. Tanti ridevano, ai seggi, e i sorrisi in questa gara pesano più degli exit poll: se sorridi, sei di quelli che aiutarsi è meglio. Sei dell’esercito che si rimbocca le maniche quando sente il pericolo. La vecchia sinistra contadina che esce quando c’è l’alluvione a dare mano e non guarda in faccia: scava. Sono i nonni, quelli. È la radice delle cose. Poi i nipoti sono anche nelle liste di Salvini, tanti ce ne sono, ma la storia di questo posto è un’altra e non si può dimenticare: “La Resistenza qui è un fatto di famiglia, è dentro casa. Non è un’idea astratta da discutere, sono le mani di tua nonna. Ce l’hai tu una nonna?”, chiedeva un ragazzo alla cameriera dell’enoteca che annunciava: io voto per cambiare, voto prima gli italiani. Sì, ce l’ho una nonna. Silenzio.
Le nonne e i nipoti. L’Emilia, e la Romagna. Al centro del corpo del Paese come un cuore. Non è un modello teorico, è una pompa che pulsa e porta sangue fino alla Sicilia, fino al Veneto. Porta ossigeno anche a chi non lo sa, che arriva da lì. Le scuole materne pubbliche di Scandiano, le cooperative sociali di Imola, le guide che portano gli escursionisti alle lapidi del Monte Penna. I volontari, i rugbisti, le Acli, le balere, i circoli Arci dove è nato il rock. Non è un posto di uguali, sono tutti diversi - naturalmente: le badanti, i maghi, gli chef dei ristoranti stellati, i massoni, i circoli degli esteti, i maestri di musica, i vescovi che suonano la tromba e i parroci che aprono le chiese per farci dormire chi non ha tetto. E’ una regione- mondo fatta di lingue, confini, invidie e rivalità, come ovunque. Bologna che è tutto lei, Parma la bella Budrio la misteriosa Reggio la testa quadra. Reggio Emilia, che Kobe Bryant ci è cresciuto e diceva: ho imparato qui che ogni sogno si può realizzare. Le poesie sui muri di Santarcangelo e quella lingua che scivola direttamente nei sogni, appunto. E poi certo, anche: quel rumore di fondo, che se accosti l’orecchio lo senti fortissimo. Un rombo cupo, cambiare per cambiare, ora basta favori agli amici, basta con questa vostra fortezza chiusa, fateci passare che arriviamo noi. Erano due campagne elettorali agli opposti. Bonaccini è andato a dire sono il sindaco di Emilia e di Romagna, ha nascosto le insegne di partito: ha fatto una corsa di prossimità, sono io, ha detto, queste sono amministrative. Salvini al contrario ha giocato alle politiche: ha mandato la candidata alle cene, l’ha tenuta dietro le spalle nei circoli ristretti, in piazza e ai citofoni è andato lui. Le regionali, da sempre, sono un voto più politico che locale. Ma le sardine hanno portato in piazza chi non ci tornava più da anni. È stato un duello Sardine-Salvini, soprattutto sui media, mentre palmo a palmo i coraggiosi e le coraggiose battevano i paesi e andavano a dire: non abbiate paura. Cambiamo, sì, ma cambiamo noi. Perché poi ad avere paura quando suoni ti dimentichi le note, sorride il maestro Scala che parla la lingua universale della musica. La paura, diceva, si combatte insieme. Con umiltà, con pazienza. Con rispetto della bellezza che c’è e che può sempre, naturalmente, essere meglio di così. Più bella ancora.
Bonaccini Il candidato presidente del centrosinistra Stefano Bonaccini, 53 anni, modenese, governatore uscente in Emilia Romagna, verso la riconferma.

La Repubblica 27/01