domenica 9 febbraio 2020

La strana metamorfosi della libertà

NON NEGO IL Mio '68 e le battaglie per i diritti civili, ci mancherebbe; ma in questi anni, per me autunnali, mi viene da pensare che, con lo slogan "vietato vietare", demmo la stura al desiderio illimitato. Il logos fu per certi aspetti annientato dal desiderio. Credo che il desiderio di libertà assoluta, cui anelavamo in quegli anni, sia in parte responsabile della realtà che oggi viviamo. Il desiderio, alimentato dal capitalismo globalizzato, è indirizzato al consumo di merci, ed è questo un sistema che impoverisce spiritualmente l'uomo, aumentandone l'egoismo e frantumando le relazioni affettive e solidali. Nel nostro tempo l'uomo desidera ciò che il sistema gli "ordina" di desiderare. Pubblicitari ed esperti di marketing operano noctu dieque per manipolare le nostre anime e per indirizzare i nostri desideri. Infantilizzare le masse è l'obiettivo, perché la massa infantilizzata e incapace di decidere sarà sempre disponibile ad essere "guidata" da altri. Viviamo il tempo dell'orrido trumpismo, perché Trump non scandalizza la massa desensibilizzata che vive la vita come un eterno presente, in cui il solo fine è godere hic et nunc, perché altro non c'è. Il consumatore consumato non è libero di scegliere, altri lo fanno per lui.
Rino Gualtieri
ri.gualtieri@yahoo.it


MI compiaccio CON lei che coglie il nesso tra la cultura del '68 a sfondo libertario pensata in termini sociali, e la cultura d'importazione americana che rivendica analoga libertà, giocata però a livello individuale. Per questa strana confluenza degli opposti siamo giunti alla situazione attuale che tanto ci preoccupa, soprattutto se guardiamo le nuove generazioni, dove sembra sia saltato il concetto di "limite" che conferisce la giusta misura ai nostri comportamenti, alle aspirazioni e, più in generale, al nostro modo di vivere.
Prima del '68 vivevamo in una "società della disciplina", dove i nostri comportamenti erano regolati dalla contrapposizione tra il "permesso" e il "proibito". Con l'avvento del '68 la parola d'ordine della gioventù di allora, che ha attraversato l'intero continente, era "emancipazione" all'insegna del tutto possibile, perché la famiglia è una camera a gas, la scuola una caserma, il lavoro un'alienazione, la legge un'imposizione da cui ci si doveva liberare. Di qui lo slogan: "Vietato vietare". Come lei giustamente dice era il trionfo del desiderio che, come ci ricorda Gilles Deleuze, «è potenzialmente rivoluzionario».
Questo motivo libertario è stato catturato dalla cultura americana che, importata da noi insieme al benessere che si andava diffondendo col cosiddetto miracolo economico, ha ribadito a sua volta che tutto è possibile, ma in termini di iniziativa, di efficienza, di successo, di performance spinta al di la di ogni limite. Siamo così passati dalla "società della disciplina" alla "società dell'efficienza", dove la contrapposizione non è più tra il permesso e il proibito, ma tra il possibile e l'impossibile. Non ci si chiese più: "Ho il diritto di compiere questa azione?", ma: "Sono in grado di compiere questa azione?".
Questo vissuto d'insufficienza di fronte alle richieste di una cultura dell'efficienza e della produttività sfrenata ha creato un individuo all'apparenza sovrano, perché tutto è permesso e nulla gli e impedito, ma al tempo stesso ansioso, mai persuaso di essere sufficientemente attivo e all'altezza delle richieste dell'apparato di appartenenza. Ridotto a una risposta alle esigenze efficientistiche della nuova cultura, l'individuo ha assistito a un inaridimento della propria vita interiore, a una desertificazione della sua vita sentimentale, a un'omologazione alle norme di comportamento richieste dalla nostra società, gratificato, come lei dice, dai consumi di massa che compensano, a livello di "avere", una tragica mancanza di risorse del proprio "essere".
Liberati dallo spirito di obbedienza tipico della società della disciplina, nella società dell'efficienza ci siamo trovati paradossalmente nella più assoluta incapacità di essere noi stessi, pressati come siamo dalle richieste sociali di efficienza, iniziativa, rapidità di decisione e di azione, di cui non è dato scorgere il limite.
Umberto Galimberti

(D la Repubblica, 25 GENNAIO 2020)