LA
VOCE DEI MINORI
Attendere
Tanti
momenti difficili.
Non
è facile sentire fin da piccoli di avere dentro di sé qualcosa di
diverso di quello che la gente definisce “normalità”.
Io
l’ho voluta esplorare questa diversità: mi piacciono i ragazzi,
pur essendolo io stesso.
Ho
esplorato la paura: delle persone, della perdita, di essere deriso.
Una soluzione l’avevo trovata: morire senza che nessuno venisse mai
a saperlo.
Ma
quella stessa esplorazione sconvolse questo piano.
Intanto
io cominciavo a piacermi, cominciavo a credere di volere viverla mia
di vita e non quella di un’altra persona. Cominciavo ad accarezzare
l’idea di doverla raccontare la mia vita. Ma era difficilissimo. In
una classe di soli maschi (lo so, state pensando che avrei dovuto
essere felice per questo e, in realtà, anch’io lo pensavo)
continuavo a provare paura. La parola “frocio” pur non
indirizzata a me, la sentivo come un macigno.
Non
mi impegnavo.
Non
partecipavo. Ero chiuso.
Fui
rimandato.
Cambiai
scuola, accompagnato dal timore che nulla si modificasse.
E
invece no. Forse perché ero cambiato io.
Cominciai
a parlare di me e mi sentii accolto. Il mio segreto era stato donato
a persone amiche. Prima si potevano contare sulle dita di una mano.
Poi non bastarono più, neanche quelle di due mani.
Certo
capii subito la differenza tra gli amici e quelli che non lo sono. Ma
non me ne importava. Mancava un pezzo di mondo a cui dirlo. La mia
famiglia.
Una
domenica mattina successe. Deciso, fermo, con le lacrime che mi
riempivano gli occhi e le gambe che tremavano, andai in camera di mia
sorella.
Io
in quello stato, muto.
Lei
spaventata continuava a chiedermi che cosa fosse successo.
“Sono
gay” riuscii a dire.
Entrai
in un vortice di consigli. Anzi di obblighi. Lei mi voleva portare
dallo psicologo, mia madre a fare una cura ormonale. Pensarono al
plagio di un adulto pedofilo.
I
maschi di casa, mio padre e mio fratello, quelli che temevo di più,
si mostrarono accoglienti. Certo sapevo che per mio padre era una
botta. La mia casa si trasformò nella casa di cenerentola: tra
matrigne e sorellastre.
Diventai
violento, dispettoso, orgoglioso, egoista. Per difendermi.
Avevo
trovato un’altra delle mie soluzioni: non avrei mai più parlato
con loro.
Adesso
sono sul divano di casa dei miei. Mamma è ritornata mamma e mia
sorella non è più Genoveffa.
Posso
stare sereno buttato qui, pensare al passato, ma libero di immaginare
il futuro.
AnDe
AnDe,
15 anni.
Da
un po’ di tempo non ha più il broncio che lo caratterizzava.
Adesso sorride. Anzi ride.
Non
sa ancora cosa vuole fare da grande.
Innamorarsi,
sicuro.
Riflessione:
Tutti
i tentativi di spiegazione teorica, quelli seri e quelli basati su
confusioni, ambiguità, principi che poco hanno a che fare con un
approccio scientifico, cigolano davanti alla sofferenza e al disagio
di un adolescente che scopre un aspetto di sé che lo rende
“differente” dalla maggior parte dei suoi coetanei. Scuotono i
pensieri, le parole, le lacrime, la rabbia di chi, in una mancata di
anni di vita, deve lottare per farsi amare così com’è, per dire
la sua, per sentirsi ascoltato, per potere sentirsi parte integrante
di una comunità. Il racconto di Ande è voce di tanti ragazzi e
ragazze che hanno un volto, un nome, una storia, una famiglia, degli
amici e che scoprono, nella loro esistenza, di essere orientati ad
amare persone dello stesso sesso. Omoaffettivi prima che omosessuali.
Perché la sessualità è linguaggio dell’amore e il compito
dell’adulto è prendersi cura della maturità affettiva, a
prescindere dal suo orientamento.