sabato 1 febbraio 2020

LA VOCE DEI MINORI

LA VOCE DEI MINORI
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Tanti momenti difficili.
Non è facile sentire fin da piccoli di avere dentro di sé qualcosa di diverso di quello che la gente definisce “normalità”.
Io l’ho voluta esplorare questa diversità: mi piacciono i ragazzi, pur essendolo io stesso.
Ho esplorato la paura: delle persone, della perdita, di essere deriso. Una soluzione l’avevo trovata: morire senza che nessuno venisse mai a saperlo.
Ma quella stessa esplorazione sconvolse questo piano.
Intanto io cominciavo a piacermi, cominciavo a credere di volere viverla mia di vita e non quella di un’altra persona. Cominciavo ad accarezzare l’idea di doverla raccontare la mia vita. Ma era difficilissimo. In una classe di soli maschi (lo so, state pensando che avrei dovuto essere felice per questo e, in realtà, anch’io lo pensavo) continuavo a provare paura. La parola “frocio” pur non indirizzata a me, la sentivo come un macigno.
Non mi impegnavo.
Non partecipavo. Ero chiuso.
Fui rimandato.
Cambiai scuola, accompagnato dal timore che nulla si modificasse.
E invece no. Forse perché ero cambiato io.
Cominciai a parlare di me e mi sentii accolto. Il mio segreto era stato donato a persone amiche. Prima si potevano contare sulle dita di una mano. Poi non bastarono più, neanche quelle di due mani.
Certo capii subito la differenza tra gli amici e quelli che non lo sono. Ma non me ne importava. Mancava un pezzo di mondo a cui dirlo. La mia famiglia.
Una domenica mattina successe. Deciso, fermo, con le lacrime che mi riempivano gli occhi e le gambe che tremavano, andai in camera di mia sorella.
Io in quello stato, muto.
Lei spaventata continuava a chiedermi che cosa fosse successo.
Sono gay” riuscii a dire.
Entrai in un vortice di consigli. Anzi di obblighi. Lei mi voleva portare dallo psicologo, mia madre a fare una cura ormonale. Pensarono al plagio di un adulto pedofilo.
I maschi di casa, mio padre e mio fratello, quelli che temevo di più, si mostrarono accoglienti. Certo sapevo che per mio padre era una botta. La mia casa si trasformò nella casa di cenerentola: tra matrigne e sorellastre.
Diventai violento, dispettoso, orgoglioso, egoista. Per difendermi.
Avevo trovato un’altra delle mie soluzioni: non avrei mai più parlato con loro.
Adesso sono sul divano di casa dei miei. Mamma è ritornata mamma e mia sorella non è più Genoveffa.
Posso stare sereno buttato qui, pensare al passato, ma libero di immaginare il futuro.

AnDe

AnDe, 15 anni.
Da un po’ di tempo non ha più il broncio che lo caratterizzava. Adesso sorride. Anzi ride.
Non sa ancora cosa vuole fare da grande.
Innamorarsi, sicuro.

Riflessione:
Tutti i tentativi di spiegazione teorica, quelli seri e quelli basati su confusioni, ambiguità, principi che poco hanno a che fare con un approccio scientifico, cigolano davanti alla sofferenza e al disagio di un adolescente che scopre un aspetto di sé che lo rende “differente” dalla maggior parte dei suoi coetanei. Scuotono i pensieri, le parole, le lacrime, la rabbia di chi, in una mancata di anni di vita, deve lottare per farsi amare così com’è, per dire la sua, per sentirsi ascoltato, per potere sentirsi parte integrante di una comunità. Il racconto di Ande è voce di tanti ragazzi e ragazze che hanno un volto, un nome, una storia, una famiglia, degli amici e che scoprono, nella loro esistenza, di essere orientati ad amare persone dello stesso sesso. Omoaffettivi prima che omosessuali. Perché la sessualità è linguaggio dell’amore e il compito dell’adulto è prendersi cura della maturità affettiva, a prescindere dal suo orientamento.
Luigi Russo – Rocca 1/2020