venerdì 27 marzo 2020

LA PRIMA "QUARANTENA " DI MOSE'

Cari fratelli e sorelle, cari amici e amiche, anche stasera voglio con impegno e con affetto trasmettervi un messaggio biblico.  Lo titolerei così: “La prima quarantena di Mosè”.
 Prendiamo ancora tra le mani quel gioiello della Bibbia ebraica, il libro dell'Esodo che racconta l'evento fondatore, cioè la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Si tratta di una narrazione teologica così ricca di senso e di significati che l'ebreo credente deve riproporsi continuamente di ritornare a leggerla, a meditarla.
 Voglio soffermarmi su un particolare: Mosè, secondo il racconto salvato dalle acque e cresciuto negli agi della casa del faraone, un giorno decide di mettere il naso fuori dal palazzo e che cosa gli succede? E’ sconvolto: i suoi fratelli ebrei sono oppressi dai lavori pesanti. Vede che un egiziano picchia un ebreo.Preso dall’ira, vendica il fratello ebreo e uccide l'egiziano.  La cosa è risaputa; il faraone cerca di mettere a morte Mosè. Allora prosegue il racconto, Mosè si allontana dal faraone e si stabilisce nel paese di Madian, si ferma presso il pozzo, dice Esodo 2 versetti 11,15.
 Mosè di primo acchito aveva pensato che cambiare vita fosse un fatto semplice come un gesto coraggioso di buona volontà. Invece il vecchio stile di vita, il clima faraonico impastato di prevaricazione e di violenza aveva seminato in lui l'idea del potere, aveva messo radici anche nel suo cuore.   Si accorse che le cose non si risolvono con una sola decisione. Come il faraone, questa volta è lui che opprime e uccide l'egiziano. A questo punto Mosè compie una scelta di grande saggezza: anziché tuffarsi in una vita nuova con il cuore vecchio,  anziché fare il liberatore con il cuore dell'oppressore, si ferma a Madian e siede presso un pozzo, dice il racconto. Per lui è un’esperienza nuova, in una terra sconosciuta: dal palazzo ad un campo riducendo i suoi agi, la sua iperattività,  i suoi consumi al minimo, quasi gli basta l'acqua del pozzo.
 Ma la Bibbia non ha tanto lo scopo di narrarci le avventure del trasloco da un palazzo ad una zona desertica: ben altro vuole dirci la Bibbia.  Mosè deve fare la sua quarantena, il suo trasloco interiore, per deporre lo stile faraonico e cercare una strada nuova.
 Questo Mosè che depone la presunzione di essere capace di una vita nuova, diventa lentamente consapevole di questo lungo itinerario interiore. E' nei suoi tanti momenti di quarantena che l’Esodo riporta, che Mosè scopre che ogni vero cambiamento esige un cammino interiore profondo, lungo, sofferto.
 Questa pagina biblica mi sembra così vicina alle nostre vite di oggi e potremmo dire che questa quarantena può essere il segno della nostra Quaresima per cambiare lo stile di vita con cui la società del mercato e dell’immagine ha infettato l'esistenza di ciascuno e ciascuna di noi e ha spesso sovvertito la scala dei valori e delle priorità.
Sempre usando quuesta immagine biblica, potremmo dire  ci vuole una quarantena spirituale profonda per ciascuno e ciascuna di noi.
Io sento di dovermi sedere vicino a Mosè presso il pozzo dell'acqua viva di cui ci parlano le Scritture.  Sento che nella vita c'è bisogno di questa quarantena. 
Però, fermi al pozzo, non sarebbe un grande bene se noi eventualmente sopravvissuti al coronavirus tornassimo semplicemente al tutto come prima, al ritmo di prima, alle cose di prima. Mosè a quel pozzo, in quella esperienza difficile e radicale, cominciò a percepire il senso, il bisogno, la forza per vivere diversamente.
  Fu dentro quella vita a Madian, fatta di silenzio,  di sobrietà e di solidarietà con i pastori del deserto che Dio cominciò a farsi percepire nel roveto ardente come una presenza che accompagna, sconvolge, converte, chiama a vita nuova
 Spero proprio che il nostro futuro non sia solo una pezza alla pandemia con qualche piccolo correttivo alla vita del passato, ma piuttosto una disamina attenta, coraggiosa e concreta di ciò che dobbiamo trattenere e di ciò che dobbiamo radicalmente cambiare.
 Qui la nostra fede ha bisogno dell'ossigeno biblico del silenzio, della preghiera per affidarci al  Dio che ci chiama a cambiare,  a mettere al centro della nostra esistenza e della nostra esperienza di fede le relazioni, la semplicità, le persone più deboli: meno cose più persone più relazioni.
 Anche la nostra chiesa e le nostre esperienze comunitarie devono avere più attenzione al mistero di Dio del roveto ardente e deporre i troppi sandali che abbiamo tra i piedi (Esodo 3,5) le troppe cianfrusaglie religiose, i madonnismi idolatrici, i linguaggi paludati e le litanie senza senso.
 Questi sandali da deporre secondo la richiesta di Dio a Mosè, sono fatti appunto per camminare un po' scalzi tra gli appiedati e leappiedate  e per sentire la voce di Dio che parla ai nostri cuori,  forse per dirci ancora una volta che non saremo mai liberi e felici da soli, che l’io senza il noi non crea un futuro più umano perché già Dio ci ha pensati e ci ha amati/e come un insieme. 
Caro Dio, ho fiducia in Te. 
Da questa stagione così difficile Tu ci aiuterai a cercare strade veramente nuove ma abbiamo bisogno come figli e figlie tue, come fratelli e sorelle, di essere non degli spettatori in attesa del miracolo oppure plaudenti per le fatiche altrui; dobbiamo diventare attori e partecipi di un futuro nuovo.Non qualche etichetta nuova su un arelatà vecchia, ma  una qualità di vita e di fede veramente nuova. Vi auguro una buona sera  e buonanotte.
 Franco Barbero
(Traslazione scritta della conversazione orale del giorno 25 marzo a cura di Franca Gonella)