La verità delle donne, una forza che guarisce
Un libro sulle vittime del conflitto armato in Colombia
BOGOTÀ-ADISTA. Ignorata, disprezzata, calpestata in maniera sistematica, la verità delle donne trova prima o poi sempre un varco per venire alla luce. È questo senz'altro il caso del libro La verità delle donne. Vittime del conflitto armato in Colombia, sintesi, a cura della Rete italiana delle Donne in nero, di un più ampio documento elaborato dalla Ruta Pacifica de las Mujeres, una rete femminista e pacifista attiva da molti anni nel Paese di cui fanno parte oggi trecentocinquanta organizzazioni di donne (tra cui le Donne in Nero della Colombia).
Si tratta del prezioso frutto di un progetto nato dal basso e finalizzato alla costituzione della Comision de Verdad y Memoria de Mujeres, coordinata dalla Ruta Pacifica, che, in tre anni di lavoro collettivo, ha raccolto le testimonianze di oltre mille donne - meticce, afrodiscendenti, indigene e di altre identità etniche, di differenti età e luoghi di provenienza - vittime del conflitto armato interno che per più di cinquant'anni ha insanguinato la Colombia, allo scopo di «dare risposta alla loro richiesta di giustizia» e di «ricostruire una verità da affermare nella scena pubblica, in relazione alla violazione dei diritti umani a lungo perpetrata». Perché, come si legge nella prefazione, se la guerra colombiana è stata caratterizzata da «una violenza estesa e brutale» sulla popolazione civile, «di violenza contro le donne si è iniziato a parlare molto tardi» e solo «grazie alle inchieste e alle denunce messe in atto con straordinaria determinazione da numerosi movimenti e associazioni femminili che hanno saputo utilizzare un approccio di genere nell'analisi di questo fenomeno». Tanto più in quanto «la logica della guerra inasprisce la subordinazione delle donne e legittima il dominio patriarcale sulla loro vita e sui loro corpi, restringendo la loro libertà e la loro autonomia in tutti gli spazi in cui vivono, si relazionano e si muovono».
Non a caso, le donne della Ruta Pacifica denunciano «un continuum di violenze» che attraversa tanto la sfera domestica quanto quella pubblica, in termini di «brutalità fisiche e psicologiche», esecuzioni extragiudiziali, sparizioni, rappresaglie, persecuzioni, oltre alle immancabili violenze sessuali, con tutte le esperienze dolorose e stigmatizzanti che portano con sé. Violenze che dimostrano in maniera evidente «come il controllo del corpo delle donne sia un obiettivo fondamentale del potere».
In questo quadro, la parola delle donne «non è solo espressione di una sofferenza iscritta nei corpi e conservata per "anni e per decenni"» nel «retro bottega del dolore di ciascuna vittima» - «Noi donne teniamo le redini della sofferenza», riferisce una delle testimoni - ma è anche segno di fiducia e affidamento reciproco, di solidarietà, di mutuo soccorso». Una forza che «crea soggettività politica, trasforma le vittime in protagoniste della realtà sociale, consente percorsi collettivi di resistenza, di messa in discussione dei ruoli sessuali preordinati, di cambiamento delle relazioni di subordinazione imposte dalla cultura patriarcale». Una forza che fa dire a una delle donne intervistate: «Mi stanno rispuntando le ali... e questo mi guarisce».
È a tutto ciò che riesce a dare voce questo libro, il quale, come ricorda la Rete italiana delle Donne in Nero, va ad arricchire la riflessione elaborata dai movimenti femministi in diverse parti del mondo in relazione a nuovi paradigmi del diritto: quelli della giustizia riparativa, transizionale e di genere. (claudia fanti)
(Adista, 23 febbraio 2020)
Un libro sulle vittime del conflitto armato in Colombia
BOGOTÀ-ADISTA. Ignorata, disprezzata, calpestata in maniera sistematica, la verità delle donne trova prima o poi sempre un varco per venire alla luce. È questo senz'altro il caso del libro La verità delle donne. Vittime del conflitto armato in Colombia, sintesi, a cura della Rete italiana delle Donne in nero, di un più ampio documento elaborato dalla Ruta Pacifica de las Mujeres, una rete femminista e pacifista attiva da molti anni nel Paese di cui fanno parte oggi trecentocinquanta organizzazioni di donne (tra cui le Donne in Nero della Colombia).
Si tratta del prezioso frutto di un progetto nato dal basso e finalizzato alla costituzione della Comision de Verdad y Memoria de Mujeres, coordinata dalla Ruta Pacifica, che, in tre anni di lavoro collettivo, ha raccolto le testimonianze di oltre mille donne - meticce, afrodiscendenti, indigene e di altre identità etniche, di differenti età e luoghi di provenienza - vittime del conflitto armato interno che per più di cinquant'anni ha insanguinato la Colombia, allo scopo di «dare risposta alla loro richiesta di giustizia» e di «ricostruire una verità da affermare nella scena pubblica, in relazione alla violazione dei diritti umani a lungo perpetrata». Perché, come si legge nella prefazione, se la guerra colombiana è stata caratterizzata da «una violenza estesa e brutale» sulla popolazione civile, «di violenza contro le donne si è iniziato a parlare molto tardi» e solo «grazie alle inchieste e alle denunce messe in atto con straordinaria determinazione da numerosi movimenti e associazioni femminili che hanno saputo utilizzare un approccio di genere nell'analisi di questo fenomeno». Tanto più in quanto «la logica della guerra inasprisce la subordinazione delle donne e legittima il dominio patriarcale sulla loro vita e sui loro corpi, restringendo la loro libertà e la loro autonomia in tutti gli spazi in cui vivono, si relazionano e si muovono».
Non a caso, le donne della Ruta Pacifica denunciano «un continuum di violenze» che attraversa tanto la sfera domestica quanto quella pubblica, in termini di «brutalità fisiche e psicologiche», esecuzioni extragiudiziali, sparizioni, rappresaglie, persecuzioni, oltre alle immancabili violenze sessuali, con tutte le esperienze dolorose e stigmatizzanti che portano con sé. Violenze che dimostrano in maniera evidente «come il controllo del corpo delle donne sia un obiettivo fondamentale del potere».
In questo quadro, la parola delle donne «non è solo espressione di una sofferenza iscritta nei corpi e conservata per "anni e per decenni"» nel «retro bottega del dolore di ciascuna vittima» - «Noi donne teniamo le redini della sofferenza», riferisce una delle testimoni - ma è anche segno di fiducia e affidamento reciproco, di solidarietà, di mutuo soccorso». Una forza che «crea soggettività politica, trasforma le vittime in protagoniste della realtà sociale, consente percorsi collettivi di resistenza, di messa in discussione dei ruoli sessuali preordinati, di cambiamento delle relazioni di subordinazione imposte dalla cultura patriarcale». Una forza che fa dire a una delle donne intervistate: «Mi stanno rispuntando le ali... e questo mi guarisce».
È a tutto ciò che riesce a dare voce questo libro, il quale, come ricorda la Rete italiana delle Donne in Nero, va ad arricchire la riflessione elaborata dai movimenti femministi in diverse parti del mondo in relazione a nuovi paradigmi del diritto: quelli della giustizia riparativa, transizionale e di genere. (claudia fanti)
(Adista, 23 febbraio 2020)