Il gioco pericoloso di Ankara
Da
molto, forse troppo tempo la Turchia di Recep Tayyp Erdoğan sta
giocando su più tavoli, talvolta con gli stessi giocatori che, a seconda
delle circostanze, possono essere alleati o avversari, illudendosi di
poterli piegare a suo piacimento ai propri fini, che possono essere
definiti egemonici, ma che vengono presentati come propri interessi
vitali.
In questo quadro non c’è dubbio che la stabilità nella fascia
territoriale siriana contigua alla frontiera turca sia importante per
sottrarre santuari sicuri all’irredentismo curdo, ma è altrettanto vero
che un ruolo dominante su quel che resta dello stato siriano sarebbe un
tassello fondamentale per le tentazioni egemoniche di Ankara in tutto il
Medio oriente. Allo stesso modo, l’accesso alle disponibilità
energetiche del Mediterraneo orientale costituisce un’esigenza
imprescindibile per ridare fiato ad una situazione economica che non è
esagerato definire traballante, pur occupando ugualmente un ruolo
determinante dell’intreccio geopolitico ed energetico tra Israele,
Egitto, Cipro, con Francia e Italia, e che contribuirebbe a ottenere una
centralità regionale.
Si
tratta di un gioco rischioso, soprattutto quando ci si illude di potere
impunemente strumentalizzare i diversi fattori e attori. Può riuscirci
davanti a un’Europa divisa e timorosa, agitando lo spauracchio di
riaprire il flusso dei disperati che hanno abbandonato le loro terre?
Sembra un po’ meno facile quando si pensa di poterlo fare con un
giocatore dalla consumata abilità come Putin. Si ricorderanno le
giravolte con l’abbattimento del Sukoi 24 nel novembre del 2015 e con il
successivo abbraccio, con il corollario dell’acquisizione del sistema
antiaereo S400 dalla Russia, chiedendo contemporaneamente alla Nato di
difendere i propri cieli orientali (abbiamo anche noi a lungo schierato i
nostri SAMP-T). Al contrario, è Mosca che sta conducendo la partita,
con l’abilità di un maestro di scacchi ed è pura illusione pensare di
averla come alleata in un dossier e come avversaria in un altro.
Analoghe
considerazioni valgono per la questione libica. Non c’è dubbio che
l’occasione fosse ghiotta: un’arena incerta, per non dire caotica, in
cui nessuno degli attori libici ha la capacità di un’azione risolutiva e
di imporsi, con le potenze occidentali pressoché paralizzate,
nonostante i vitali interessi in gioco, e nuovamente una situazione in
cui interessi immediati, la partita energetica, si sposano con quelli
strategici di massimizzazione del proprio ruolo anche nel Mediterraneo
Centrale. Purtroppo, anche qui in campo opposto si trova la Russia, con
l’aggravante che le condizioni dello strumento militare turco non sono
tali da sostenere uno sforzo prolungato di tal fatta in concomitanza con
le attività nel teatro operativo siriano, mettendo con ciò a nudo le
velleità di Ankara.
L’episodio
poi delle ultime ore, in cui sarebbero caduti 33 militari turchi in un
attacco portato da velivoli siriani nella zona di Idlib, mette in luce,
oltre alle vulnerabilità turche, anche le contraddizioni interne alla
Nato: certamente ha un interesse vitale a salvaguardare l’appartenenza
all’Alleanza di tutti i suoi membri, ma sta tollerando in modo
francamente inaccettabile il comportamento di chi sta occupando,
militarmente e in modo ostile, territori di un altro stato sovrano, la
Siria, mentre al contempo giustamente stigmatizza l’analogo
comportamento russo in Crimea. Invece, non è commentabile
l’atteggiamento di chi, a fronte dell’”aggressione” subita dalle truppe
turche in territorio siriano, ha evocato addirittura un richiamo
all’art. 5 del Trattato Nato (la clausola di difesa collettiva), salvo
poi ripiegare sull’art. 4, riferito alle ‘consultazioni’.
Un gioco pericoloso, dunque, di cui condividiamo i rischi, senza volerci assumere la responsabilità di partecipare alla partita.
Vincenzo Camporini
da Affari Internazionali