Un figlio è un albero
Claudio Rossi Marcelli
Sono
una ragazza di 32 anni e con il mio compagno ci chiediamo spesso quale
futuro potremo dare ai nostri eventuali figli. Siamo circondati da
governi nazionalisti e in piena crisi ambientale, e la nostra speranza è
sempre più debole. In questo clima aberrante qual è il tuo consiglio?
–Giulia
Decidere
di fare un figlio richiede sempre una buona dose di ottimismo e
immagino che l’allarmismo di questi giorni non contribuisca a farvi
sentire più sereni: dopo il sovranismo e il riscaldamento globale, ci
mancava solo la pandemia ad agitarci tutti! Il problema è che, se
prevale il pessimismo, la voglia di fare un bambino passa.
Tredici
anni fa, quando avevo profondi dubbi se fosse giusto o meno mettere al
mondo un bambino con due papà in una società ancora così omofoba,
un’amica mi disse: “Certo che è giusto, anzi è tuo dovere: perché vostro
figlio sarà un omofobo di meno nel mondo”. Io e il mio ex compagno la
prendemmo alla lettera, e così di piccoli attivisti per i diritti civili
ne abbiamo avuti tre. E il loro attivismo non si ferma lì, perché
stanno anche attentissimi alla differenziata, se prendi un aereo ti
guardano male e se una donna guadagna meno di un uomo pensano sia
un’ingiustizia assurda.
La
vera domanda che ti devi porre non è quale futuro potrete dare ai
vostri figli, ma quale futuro potranno dare loro a voi: fare un figlio
in un mondo che non ci piace vuol dire piantare un albero in un terreno
arido. Voi dovete piantare il seme, annaffiarlo e farlo diventare forte,
ma poi il suo futuro, e quello del mondo, è nelle sue mani.
Questo articolo è uscito sul numero 1347 di Internazionale.