Carlo Rovelli, fisico italiano sul corriere 1 aprile 2020
Coronavirus, a lezione di umiltà : siamo fragili ne usciremo uniti
Coronavirus, a lezione di umiltà : siamo fragili ne usciremo uniti
L'esperienza
di questo momento difficile mi sembra una lezione di umiltà per tutti.
Non siamo potenti come forse pensavamo. Siamo, come siamo sempre stati,
facile preda di un vento che cambia. Ci eravamo abituati a confinare i
disastri più¹ gravi altrove. Ancora pochi giorni fa ho sentito un
americano dire in televisione «siamo il Paese più¹ potente del mondo", a
noi l'epidemia non fa nulla». Non lo dice più¹. Anche noi italiani
credevamo di poterla fermare prima che arrivasse qui.
La
realtà forse più difficile da accettare è che quello che sta
succedendo non è colpa di nessuno. Non è come la guerra, scatenata
dalla follia di noi umani. Certo, ci sono stati errori, negligenze. Ne
stiamo commettendo probabilmente ancora, ce ne renderemo conto fra un
po'. Ma prendere decisioni in situazioni inedite è difficile:
facciamo quello che possiamo, a tentoni. La prossima volta ci
prepareremo meglio, faremo meglio; ascolteremo di più la scienza quando
lancia allarmi preventivi. La tentazione è di dare sempre colpe a
qualcuno: ai politici che dovevano svegliarsi prima, alla Cina che
doveva dare l'allarme prima, all'impreparazione nonostante gli
avvertimenti, o quant'altro. Ma la realtà è che questo disastro non
ha colpevoli. Abbiamo imparato a proteggerci da tante cose, ma siamo
nelle mani della natura, che a volte ci riempie di regali, a volte ci
maltratta brutalmente, con sovrana indifferenza.
E' rassicurante vedere come governi e pubblico, ora, nel momento del
pericolo, ascoltino la scienza. La conoscenza è il miglior strumento
che abbiamo. Ci permette di evitare errori gravi, come quelli che
commettevamo nel medioevo quando per scongiurare la peste facevamo
processioni, col risultato di infettare tutti. Ma mai come adesso
vediamo che la scienza non sa, ovviamente, risolvere tutti i problemi.
Il nostro splendido sapere si arrende davanti a una cosa che è poco
più di un granello di polvere. La scienza è la nostra forza,
l'utensile migliore che abbiamo trovato, teniamocela cara, ma restiamo
fragili, in una natura indifferente e immensamente più grande e più forte di noi.
Anche le nostre piccole arroganze occidentali sono oggi messe a dura prova. I medici, gli aiuti più necessari, ci sono arrivati da Cuba, dalla Cina, dalla Russia, perfino dall'Albania. Non erano questi i Paesi che dicevamo avevano sbagliato tutto? I Paesi che si sono difesi meglio, molto meglio di noi, con meno morti, sono Singapore, Hong Kong, Taiwan, la Corea. Non eravamo noi occidentali i primi della classe? Quando
questo sarà passato, sarà tempo di rivedere qualche presunzione.
Passerà .
Sono passate tutte, le epidemie del passato. Mi pare che nessuno abbia
ancora chiaro che effetto avrà veramente tutto questo sulla nostra
vita, quanto sarà dirompente, quanto pagherà ciascuno di noi che oggi
vede in dubbio i suoi redditi. Chissà se tutto questo cambierà le
nostre idee sul libero mercato. Anche i più sfrenati difensori del
mercato più libero possibile ora gridano: «Stato, Stato, aiutaci!».
Nei momenti di difficoltà, si capisce a fondo perché collaborare è
meglio che competere, e la mia speranza segreta è che questa sia la
lezione che porteremo a casa.
I problemi si risolvono meglio insieme.
L'umanità può riuscire solo tutta insieme. Ci sarà tempo anche per
quello. Adesso stiamo lottando, nel migliore dei modi possibile, per
guadagnare un po' più¹ di vita per i nostri cari e noi stessi.
Perché questo, a me sembra questo, quanto stiamo facendo: stiamo aiutando
tutti insieme la medicina a fare quello che sa fare: regalarci giorni,
anni, di vita in più, che non sono un nostro diritto, sono un
privilegio che ci siamo conquistati piano piano, collaborando, con il
sapere e la civiltà .
Quella
che è in corso non è una battaglia fra vita e morte, non dobbiamo
vederla così. In questi termini abbiamo perso comunque, perché vince
sempre la morte alla fine; siamo mortali. Quello che è in corso è il
grande sforzo di tutti noi per regalarci l'un l'altro un po' di
tempo in più, per questa breve vita, che nonostante sofferenze e
fatiche, ci sembra bellissima, ora più che mai. In questo mese
durissimo sono già morti oltre tredicimila italiani, portati via
dall'epidemia. E'un numero terribile. Ma diecimila italiani muoiono
comunque in Italia, senza epidemia, in un anno qualunque, ogni singola
settimana. A tutt'ora l'epidemia non è la principale causa di morte
in italia.
Il dolore non è statistica, la sofferenza di perdere ogni
singola persona cara è profonda. Ma questa sofferenza non l'ha
inventata questa epidemia: c'è comunque. Diecimila morti sono
tantissimi, ma sono moltissimi meno dei morti ogni anno per tumore. O
per malattie di cuore. O semplicemente per l'età . E, non
dimentichiamolo, sono immensamente meno del numero di morti nel mondo
per fame o malnutrizione. Quello che sta veramente facendo questa
epidemia è metterci davanti agli occhi qualcosa che di solito
preferiamo non guardare: la brevità e la fragilità della nostra vita.
Non
siamo i padroni di tutto, non siamo immortali: siamo, come siamo sempre
stati, foglie che il vento d'autunno spazza via. Cerchiamo di
allungarla, questa vita, combattiamo insieme con tutte le nostre forze:
questo stiamo facendo tutti insieme, ed è una bellissima battaglia. Ma è questo ciò che stiamo facendo, non combattendo contro la morte:
stiamo regalandoci un po' di vita in più perché la vita è
bellissima, e viverla è ciò a cui diamo più valore.