Comunità cristiana di base di via Città di Gap, Pinerolo
NOTIZIARIO DELLA CASA DELL'ASCOLTO E DELLA PREGHIERA
N°67 aprile '20
INCONTRI COMUNITA' IN VIDEOCONFERENZA
- 12/4: eucarestia di Pasqua
- 17/4: incontro per convegno cdb
- 22/4: inc. organizzativo per conv. cdb
- 26/4: assemblea comunitaria
NOTIZIE DA GRUPPI E COLLEGAMENTI
- Gruppo amicizia islamo - cristiana
RECENSIONI E SEGNALAZIONI
- A. Guagliumi, Buone notizie …
- Pont. Comm. Bibl., Cos'è l'uomo…
- Alcune brevi segnalazioni…
SPUNTI PER MEDITARE E RIFLETTERE
- Gesù entra a Gerusalemme…
- La discussione
DALLA NOSTRA COMUNITA'
- Questa comunità
APPUNTAMENTI DI COMUNITA' IN VIDEOCONFERENZA
DOMENICA 12 APRILE h 15:30 – Eucarestia di Pasqua (per informazioni su come collegarsi seguire il nostro gruppo whatsApp)
VENERDI' 17 APRILE h 15:30 – Incontro con alcuni gruppi ecclesiali di base piemontesi: proseguono, anche se non in presenza, gli incontri con comunità e gruppi ecclesiali di base piemontesi per promuovere il prossimo convegno nazionale cdb che si svolgerà a Torino.
MERCOLEDI' 22 APRILE h 17:30 – Incontro per seminario nazionale cdb: proseguono, anche se non in presenza, gli incontri tra la nostra comunità, la cdb di Piossasco e la cdb di Pinerolo "Viottoli" per fare il punto, dal punto di vista organizzativo, sul prossimo convegno nazionale cdb che si svolgerà a Torino.
DOMENICA 26 APRILE h 15:30 – Assemblea di comunità: proviamo a fare il punto delle nostre attività di maggio sulla base della situazione di fine aprile, sperando di poter riorganizzare incontri in presenza (chissà…). Se non sarà possibile cercheremo di programmare, in modo più organizzato, attività sostitutive in videoconferenza.
NB: chi vuole partecipare alle videoconferenze riceverà le informazioni necessarie tramite il nostro gruppo whatsApp.
ALCUNI APPUNTAMENTI con Franco Barbero
DOMENICA 5 APRILE – h 18 a Torino – Incontro di preghiera con Gruppo "Primavera" di Rivalta (per info su come collegarsi seguire il blog di Franco e il nostro gruppo whatsApp)
NB: dei successivi incontri in videoconferenza sono ancora da definire date e orari (si consiglia di controllare sul blog di Franco Barbero).
NOTIZIE DA GRUPPI E COLLEGAMENTI
Incontri regionale CdB
Purtroppo l'emergenza coronavirus ci ha costretti ad annullare il secondo e terzo incontro previsti.
- Nel mese di marzo avremmo dovuto vederci a Pinerolo per il secondo incontro regionale delle Comunità cristiane di Base, aperto, come sempre, a tutte le realtà ecclesiali di base del nostro territorio.
Scopo dell'incontro era confrontarci a livello regionale sul tema "Cristianesimo: tramonto o tempo di rigenerazione", che affronteremo nel prossimo convegno nazionale CdB, che si svolgerà a Torino o dintorni (sede da definire) il 5-6-7 dicembre 2020.
In vista del convegno nazionale, per allargare il più possibile la partecipazione delle varie realtà presenti nel nostro territorio, continueremo comunque ad organizzare una serie di incontri, purtroppo per ora solo in videoconferenza, con le altre comunità cristiane di base e gli altri gruppi di base piemontesi (il primo è previsto per il 17 aprile alle ore 15:30).
- Nel mese di maggio si sarebbe dovuto tenere ad Albugnano il terzo ed ultimo incontro regionale programmato per il 2020: speriamo di poterlo riprogrammare per il prossimo anno.
Gruppo dell'amicizia islamo-cristiana di Pinerolo
In questa fase di emergenza temporanea purtroppo non possiamo incontrarci in presenza. Continua tuttavia il ciclo di trasmissioni radiofoniche sul tema "Fede e sfide. Dialoghi tra religioni nel tempo presente" che, come gruppo dell'amicizia islamo-cristiana di Pinerolo, abbiamo proposto a Radio Beckwith (se utilizzate internet basta entrare nel sito della radio www.rbe.it, cliccando su "diretta"; se usate la radio la frequenza cambia in base alla zona: 87,8 FM per val Pellice, 88 FM per val Chisone, ecc…. trovate tutto sul sito internet di radio Beckwith).
Dal 16 febbraio al 29 marzo, sono ormai già sette le puntate andate in onda ogni domenica alle ore 16:30 (replica tutti i martedì alle ore 22). Il ciclo, che prevede 18 puntate, si concluderà domenica 16 giugno.
Ecco argomenti, relatori/trici e link ai podcast delle 7 trasmissioni già andate in onda nei mesi di febbraio e marzo (NB: per chi ha meno consuetudine, si ricorda che basta cliccare o attivare il link e dopo aver letto un breve testo introduttivo si può cliccare sul pulsante per attivare l'audio):
1) Dom 16/3/20: "Il gruppo dell'amicizia islamo-cristiana di Pinerolo: storia e prospettive" (relatore: Giorgio D'Aleo, presidente del "Museo Regionale dell'Emigrazione" di Frossasco): https://rbe.it/2020/03/06/amicizia-pinerolo/2) Dom 23/2/20: "L'esperienza della Comunità Islamica di Pinerolo" (relatore: Youness Anfaiha, membro del direttivo della comunità islamica di Pinerolo): https://rbe.it/2020/03/07/islamica-pinerolo/
3) Dom 1/3/20: "Le nostre religioni sono imprigionate alla loro versione arcaica o aperte a nuove opportunità?" (Franco Barbero, presbitero della comunità cristiana di base "via Città di Gap" di Pinerolo): https://rbe.it/2020/03/09/religioni-barbero/
4) Dom 8/3/20: "Il ruolo della donna nella società e nelle tradizioni religiose_I parte: L'esperienza delle comunità islamica e cattolica" (relatrici: Farian Sabahi Seyed, accademica, giornalista e orientalista, e Paola Lazzarini Orrù, sociologa cattolica): https://rbe.it/2020/03/13/donne-chiesa/
5) Dom 15/3/20: "Il ruolo della donna nella società e nelle tradizioni religiose_II parte: L'esperienza delle comunità valdese e cristiane di base" (relatrici: Carla Galetto, della comunità cristiana di base "Viottoli" di Pinerolo, e Erika Tomassone, pastora valdese): https://rbe.it/2020/03/18/donne-fede/
6) Dom 22/3/20: "Fede e migrazione: la difficile integrazione dei migranti nell'esperienza di un prete da sempre in prima linea" (relatore: don Fredo Olivero, ex responsabile dell'Ufficio Pastorale Migranti di Torino, oggi rettore della chiesa di San Rocco di Torino): https://rbe.it/2020/04/01/fede-migrazioni/
7) Dom 29/3/20: "Diritti nelle nostre tradizioni religiose_I parte: l'esperienza cristiana" (relatore: Franco Barbero, presbitero della comunità cristiana di base "via Città di Gap" di Pinerolo): https://rbe.it/2020/04/02/diritti-barbero/
Ecco le 4 trasmissioni che saranno trasmesse nel mese di aprile:
8) Dom 5/4/20: "Le religioni nemiche dei diritti?" (relatrice: Valentina Pazé, docente di filosofia politica dell'Università di Torino).
9) Dom 12/4/20: "Il rapporto con il cibo nelle nostre tradizioni religiose" (relatore: Gianni Genre, pastore valdese di Pinerolo).
10)Dom 19/4/20: "Diritti nelle nostre tradizioni religiose_II parte: l'esperienza islamica" (relatore: Adnane Mokrani, teologo musulmano, professore di studi islamici e di relazioni islamo-cristiane presso il PISAI - Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica - di Roma e professore di lingua araba e islamistica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma).
11)Dom 26/3/20: "Come leggiamo nelle varie tradizioni religiose i testi antichi che orientano il nostro cammino di fede_I parte: l'approccio delle comunità cristiane" (relatore: Franco Barbero, presbitero della comunità cristiana di base "via Città di Gap" di Pinerolo).
1) Mencucci e Gianantoni, "Ripensare la fede nella fedeltà a Cristo e al proprio tempo", ed. "Il Pozzo di Giacobbe". Un libro che aiuta a rinnovare il linguaggio delle omelie. Peccato che gli Autori, per ciò che attiene alla cristologia, sono fermi a Nicea e a Calcedonia.
Ricordiamo che i files audio di ognuna di queste trasmissione verrà resa disponibile come podcast sul sito di radio Beckwith (www.rbe.it) dopo la replica del martedì.
RECENSIONI E SEGNALAZIONI (a cura di Franco Barbero)
Dietro e dentro le pagine di questo libro vedi la lunga marcia culturale, spirituale e comunitaria dell'Autore. Si tratta di pagine scritte con rigore in cui l'Autore non si mette mai nei panni del docente, non sale mai in cattedra. Da vero maestro, affronta le questioni nodali come un abile ed appassionato narratore che sa intrecciare esegesi, storia e vita. Se da una parte il libro non presenta mai pagine scontate, dall'altra le conoscenze interferiscono con la vita di fede del narratore, quasi senza interruzione del discorso. L'esegeta non trova in queste pagine questioni inedite, ma la presentazione viene condotta anche per mettere in questione forme tradizionali del linguaggio e della simbologia religiosa, come nel caso della Sindone di Torino e delle varie apparizioni mariane. Il lettore percepisce un legame profondo tra ricerca e pastorale. Su alcuni particolari posso essere non completamente d'accordo, ma queste pagine costituiscono davvero una buona notizia, non solo per le preziose informazioni che trasmettono, ma perché rompono il dogma clericale della inaccessibilità degli studi biblici al popolo di Dio. Quando si compie un cammino comunitario in modo serio, si incontrano maestri e si compiono esperienze in cui uomini e donne (i cosiddetti laici) diventano adulti nella fede, capaci di affrontare le questioni centrali dell'esperienza di una fede, di una comunità, di una costruzione dogmatica con i suoi sviluppi e le sue involuzioni. Non c'è da attendere ulteriormente: nella nostra chiesa esistono già oggi donne e uomini che sanno vivere, ragionare, progettare e costruire ministerialità in modo responsabile e fecondo. Il libro ne è un esempio. Lo si dica chiaramente: questa nostra chiesa vive un imperante clericalismo che si alimenta quanto più regna sovrana l'ignoranza biblica. Il libro di Antonio Guagliumi, membro attivo della comunità cristiana di base San Paolo di Roma, non solo rende accessibili a molti le ricerche centrali sul Gesù storico, ma indica quanto il percorso della lettura e dello studio della Bibbia sia da mettere al centro di un serio cammino comunitario di chi voglia non girare tutta la vita attorno al castello dogmatico. Per questo raccomando vivamente la lettura di questo libro che ha un pregio raro e piacevole a chi non ha familiarità con i "tomi" teologici voluminosi. In queste 140 pagine si trova una sintesi affidabile che non sacrifica il rigore dell'informazione: il buon genio della chiarezza che non compromette la serietà della ricerca. Intanto, mentre invio un saluto grato ed affettuoso ad Antonio, non posso non rivolgere un pensiero riconoscente al teologo e amico Giuseppe Barbaglio il cui lavoro teologico rimane per molti di noi tuttora assai prezioso, come bene ci ha ricordato Antonio Guagliumi.
In libreria per Il mio libro ed., 2019, pp.144, €13,50
Per quanto qua e là non manchino chiusure e supponenze, il testo, senza essere affatto rivoluzionario, è degno di attenzione per alcuni motivi. Intanto esiste in queste pagine un approccio inconsueto alla Bibbia. Sia pure in uno spazio ridotto, alcuni testi biblici, che riguardano i dati antropologici, vengono presentati e discussi in modo decoroso, assai diverso dalle modalità dogmatiche tipiche delle commissioni e congregazioni vaticane. L'antropologia presente nei due Testamenti viene collocata nel contesto culturale del tempo; il che lascia spazio a diverse interpretazioni. Anche riguardo alle nuove acquisizioni della modernità, il presente testo assume un atteggiamento di dialettica rispettosa. Si respira, in molte di queste riflessioni, una visione della storia in cui prevale il soffio vitale dello Spiorito creatore che spinge alla responsabilità e alla fiducia. Mi sembra, tutto sommato, che in questa commissione biblica abbiano lavorato biblisti e bibliste che cercano di confrontarsi seriamente con il nuovo panorama e il nuovo paradigma culturale in cui stiamo vivendo. Si tratta di un buon servizio fatto in questa chiesa che troppo spesso riposa sui guanciali dogmatici della ripetizione litanica. Spero che questo approccio positivo alla realtà favorisca una prassi pastorale capace di valorizzare le nuove opportunità che la presente situazione storica offre ad un vero rinnovamento della nostra fede. Soprattutto mi auguro che questo volume venga letto interamente con spirito di confronto da chi svolge un qualche ministero pastorale nelle nostre comunità.
In libreria per "Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2019, pp.346, €15.
1) Mencucci e Gianantoni, "Ripensare la fede nella fedeltà a Cristo e al proprio tempo", ed. "Il Pozzo di Giacobbe". Un libro che aiuta a rinnovare il linguaggio delle omelie. Peccato che gli Autori, per ciò che attiene alla cristologia, sono fermi a Nicea e a Calcedonia.
2) Ortensio da Spinetoli, "La prepotenza delle religioni", ed. Chiarelettere, 2020, pp.112, €12. L'ho presentato il mese scorso facendo centro sul fatto che spesso si confonde la Parola di Dio con una sua interpretazione da parte degli uomini.
3) AA.VV., "Una spiritualità oltre il mito", ed. Gabrielli, 2019, pp.240, €18. E' il terzo volume della collana "Oltre le religioni" e merita un'attenta lettura.
4) Roberto Massari, "Gesù e i suoi cugini", ed. Massari, pp.464, €22. Il libro che sbriciola il mito mariano, si presenta in 464 voluminosissime pagine (formato normale 1150 pagine) e va richiesto all'editore (casella postale 89 - 01023 Bolsena (VT)). Fra pochi giorni recensirò l'opera antologica di Si tratta di un'opera preziosa e rigorosamente fondata su testi, documenti, reperti appassionatamente valutati da questo Editore -Autore, unico nel suo genere. Si tratta di una galleria e di una miniera di fonti che l'Autore presenta e discute in cui prevale la dimensione storica.
SPUNTI PER MEDITARE E RIFLETTERE
Oggi la liturgia cattolica propone la lettura della passione secondo il Vangelo di Matteo dal capitolo 26.
Preferisco raccogliere uno stimolo che ritengo particolarmente significativo dal capitolo 21 in cui dal versetto 1 al versetto 11 si narra l'entrata di Gesù in Gerusalemme.
Lasciando le infinite disquisizioni sul significato reale e sui significati conferiti dalle letture del fatto a cura degli evangelisti, la testimonianza è unanime su un particolare: Gesù non entra in Gerusalemme seduto sul destriero dei ricchi e dei potenti, su un carro da governante, ma sulla cavalcatura dei padri di Israele (Genesi 49,11 e Giudici 5,10). Egli entra su "un'asina con un puledro figlio di bestia da soma". Qui gli evangelisti si sbizzarriscono saltando dalla citazione di Zaccaria 9,9 a Isaia 62,11.
Ecco il significato: Gesù è totalmente estraneo alle modalità dei potenti e questo ingresso, nel suo stile umile, caratterizza tutti i suoi comportamenti dai primi passi della Galilea fino al suo ingresso a Gerusalemme.
Egli è il testimone del regno di Dio. L'esatto opposto del regno dei re che la potenza romana allora esemplificava in modo insuperabile.
Le nostre chiese non dimentichino di entrare nelle vie del mondo in compagnia di questa asina e di questo asinello. Il quadro parla da sé: il Vangelo non si annuncia con strumenti del potere.
Preferisco raccogliere uno stimolo che ritengo particolarmente significativo dal capitolo 21 in cui dal versetto 1 al versetto 11 si narra l'entrata di Gesù in Gerusalemme.
Lasciando le infinite disquisizioni sul significato reale e sui significati conferiti dalle letture del fatto a cura degli evangelisti, la testimonianza è unanime su un particolare: Gesù non entra in Gerusalemme seduto sul destriero dei ricchi e dei potenti, su un carro da governante, ma sulla cavalcatura dei padri di Israele (Genesi 49,11 e Giudici 5,10). Egli entra su "un'asina con un puledro figlio di bestia da soma". Qui gli evangelisti si sbizzarriscono saltando dalla citazione di Zaccaria 9,9 a Isaia 62,11.
Ecco il significato: Gesù è totalmente estraneo alle modalità dei potenti e questo ingresso, nel suo stile umile, caratterizza tutti i suoi comportamenti dai primi passi della Galilea fino al suo ingresso a Gerusalemme.
Egli è il testimone del regno di Dio. L'esatto opposto del regno dei re che la potenza romana allora esemplificava in modo insuperabile.
Le nostre chiese non dimentichino di entrare nelle vie del mondo in compagnia di questa asina e di questo asinello. Il quadro parla da sé: il Vangelo non si annuncia con strumenti del potere.
Franco Barbero
La Torah o la Scrittura vengono raccontate, interpretate, scandagliate, allegorizzate, manipolate, massaggiate, falsificate, psicanalizzate, invertite, tagliate a fette e a cubetti. Non esiste una sola interpretazione corretta. Il giudaismo incomincia sì con un libro ma finisce nelle nuvole. Non è una tradizione letterale o integralista. Il rispetto per i maestri e per il testo si manifesta discutendo con loro. I rabbini lo hanno capito molto tempo fa, quando dicevano che le storie che si trovano nella Torah non posso essere come sembrano, altrimenti ne avremmo scritte noi di migliori.
Questa è un'importante differenza tra l'interpretazione letterale e la metafora. La letterale è chiara, inequivocabile, completa; la metafora invece è suggestiva, ingannevole, insicura di sé, incompiuta e, per così dire, un po' nebulosa. "E il Signore apparirà in una nuvola". In una nuvola ogni cosa è pronta per essere afferrata. Dicono i rabbini che ogni parola del testo sacro ha settanta facce e seicentomila significati. La Scrittura, come ha insegnato Freud per i sogni, può essere analizzata all'infinito, e tutte le parti sono essenziali: ogni parola, ogni lettera. In linea di principio, non vi è distinzione fra i dieci comandamenti e il capitolo 36 della Genesi che elenca i discendenti di Esaù.
Gershom Scholem, il più grande storico del misticismo ebraico, osservò una volta che in una tradizione rivelata la creatività deve essere travestita da commento. E' come dire che se Dio, sul Monte Sinai, ha detto al popolo tutte le cose che questi doveva sapere, allora non resta altro che spiegarle, esporle e interpretarle. Si potrebbe dire che il giudaismo inizia con Dio che dice al popolo ebraico: "Tieni, portati questo libro a casa e leggilo. Poi fammi sapere che cosa ne pensi".
Lawrence Kushner, "Con gli occhi della mente", ECIG, pag. 58.
Alle cittadine e ai cittadini, con particolare attenzione alle autorità competenti.
La morte è entrata nelle nostre case. Ogni giorno riceviamo con sgomento le cifre dei decessi a causa del virus. E' diventato un bollettino di guerra guardare il telefono, leggere e ascoltare le notizie di cronaca. Cifre sproporzionate.
Dietro l'anonimato dei numeri ci sono volti, nomi, storie, persone che hanno intersecato le nostre vite: i nostri genitori, parenti, amici, colleghi e conoscenti. Molti di loro hanno vissuto la tragedia di morire da soli, senza l'affetto dei loro cari.
Potrebbe accadere anche a noi. Il virus colpisce in modo indistinto. Potrebbe succedere anche a noi di ritrovarci in ospedale, da soli, senza la presenza di un familiare. Si pensa con spavento alla propria morte, ma ora appare ancora più terribile l'idea di doverla affrontare nella solitudine, senza la possibilità di congedarsi dai propri cari.
Sappiamo che, da sempre, il reparto di terapia intensiva è luogo interdetto ai visitatori; e che nei momenti di epidemia, le cautele si fanno ancora più stringenti.
Tuttavia, nel dibattito democratico che non dovrebbe venir meno anche in questi momenti di emergenza, vorremmo richiamare l'attenzione sul venir meno del carattere umanizzante del morire, senza il quale si lascia la persona morente nella solitudine affettiva.
Chi muore da solo non ha la possibilità di far udire la propria voce, le sue ultime volontà. Al massimo, le può consegnare al personale medico.
Un metro di misura dell'umanità di una società civile è dato dal tutelare i più deboli, dando voce a quanti non hanno voce.
Riteniamo che anche questo rivesta il carattere di emergenza che muove le decisioni di questi giorni.
Chiediamo, dunque, che ci si interroghi seriamente su questo aspetto e che si provi a formulare un protocollo che tenga assieme le ragioni della salute con quelle degli affetti.
È veramente improponibile pensare che una persona cara, nell'assoluto rispetto delle norme sanitarie, possa essere presente per accompagnare un proprio congiunto nel delicato momento del passaggio dalla vita alla morte?
Si può, con fatica, accettare la solitudine della tumulazione: una volta passata l'emergenza, ci potranno essere gesti pubblici per elaborare il lutto. Ma per chi muore, non si possono differire i tempi: c'è un unico momento.
Nessuno merita di morire da solo, nemmeno in una situazione come l'attuale, sotto il ricatto del sacrificio per il bene dei propri cari.
Come il personale sanitario, con le dovute cautele, può avvicinarsi al morente, così, a nostro giudizio, è necessario pensare di prevedere la presenza di un congiunto.
Ci appelliamo, dunque, all'intelligenza vigile e creativa di quanti hanno a cuore di promuovere la dignità del vivere e del morire di tutte e tutti.
Nell'emergenza, insieme all'eccellenza sanitaria e al governo politico della situazione, facciamo emergere anche una chiara attenzione al profilo umano di quanti sono vittime dell'epidemia.
Lidia Maggi, Paolo Scquizzato, Andrea Grillo, Fabio Corazzina,
Cristina Arcidiacono, Massimo Aprile, Paolo Curtaz, Carlo Molari,
Gianni Marmorini, Silvia Giacomoni, Marco Campedelli, Angelo Reginato.
Vicini al nostro vescovo
Tutta la diocesi, le altre confessioni cristiane e tanta parte della città ha il cuore vicini al vescovo Olivero.
La nostra preghiera è rivolta a Dio affinché gli dia la forza di far fronte a questo momento di grave sofferenza.
La nostra preghiera è rivolta a Dio affinché gli dia la forza di far fronte a questo momento di grave sofferenza.
La comunità cristiana di base - Via città di Gap.
Etica e politica alla prova del coronavirus
Ci stiamo abituando a sentirci ripetere, in modo ossessivo, che da noi ‒ solo da noi e dai nostri comportamenti responsabili ‒ dipenderà la vita delle persone più fragili ed esposte al rischio di esiti letali da Coronavirus. Stare a casa il più possibile, evitare i contatti, cambiare "stile di vita" sembra la chiave per rallentare e, prima o poi ‒ si spera ‒ fermare, un contagio che sta sovraccaricando un sistema sanitario al collasso. Come se dall'etica individuale, ben più che dalla politica, dipendesse oggi la comune salvezza.
C'è, in questa tesi, qualcosa di vero. Che le nostre scelte individuali ‒ di consumo, svago, mobilità ‒ producano, cumulativamente, effetti su una scala infinitamente più ampia di quella delle nostre piccole vite, è ormai noto. Pensiamo alle questioni ambientali. Fare la raccolta differenziata, sprecare meno acqua, spostarsi a piedi e in bicicletta anziché in macchina, mangiare meno carne, possono contribuire in modo determinante a invertire la rotta della corsa pazza verso la distruzione del pianeta in cui siamo al momento impegnati.
Ce lo ricorda una nota pubblicità: «Eni più Silvia è meglio di Eni». Senza il nostro contributo individuale, il mondo non si salverà. E tuttavia, si tende spesso a dimenticare la prima parte. Anche «Silvia senza Eni» non basta. Nel caso specifico, appellarsi a «Silvia» è un modo assai subdolo per deviare l'attenzione dalle discutibilissime scelte di un'azienda che è stata tra l'altro recentemente multata per «pratica commerciale ingannevole», avendo cercato di contrabbandare come "green" il diesel prodotto con l'olio di palma (cfr.: http://sbilanciamoci.info/green-diesel-greenwashing-maxi-multa-per-eni/). Pubblicità ingannevoli a parte, dovrebbe essere evidente che non basta esortare i cittadini a muoversi in bicicletta, se la città continua a essere disegnata in funzione dell'auto. O invitare al consumo responsabile se la filiera alimentare è lasciata nelle mani di colossi industriali interessati solo al profitto. Come non ha senso invitare a «stare a casa» e a «indossate la mascherina» se un gran numero di persone continua ad esser costretta a uscire per motivi lavorativi e le mascherine non sono messe a disposizione neppure di medici e infermieri
Nel clima angoscioso e surreale di questi giorni, assistiamo a interviste di esponenti politici che, dopo avere snocciolato i numeri drammatici dei contagiati, delle persone in rianimazione e dei morti, concludono intimando: «State a casa». E minacciando, nel caso non bastino le raccomandazioni, i divieti e le sanzioni, interventi ancora più restrittivi (difficile pensare quali, dopo che sono state criminalizzate anche le passeggiate solitarie in spazi aperti).
Restiamo a casa, certo. Facciamo la nostra parte, nella consapevolezza che i virus non fluttuano nell'aria, ma si spostano sulle nostre gambe e più riduciamo i contatti meno è possibile la trasmissione degli agenti patogeni. Ma attenzione a non spoliticizzare una questione che non è esclusivamente demandabile al sapere esperto di medici e scienziati, da una parte, e alle buone condotte dei cittadini, dall'altra. Se la metropolitana di Milano, tra le 8.00 e le 9.00 di mattina, era fino a qualche giorno fa (e forse è ancora) affollata, non sarà perché molti ‒ troppi ‒ uffici e imprese impegnate nella produzione di beni non essenziali (o addirittura esiziali: le armi!) sono rimaste aperte, per effetto di una decisione tutta politica? Quanto agli ospedali al collasso, chiamano in causa le politiche del passato più e meno recente: di destra, di sinistra, di centro. Tutte concordi nel considerare la sanità, la ricerca, l'istruzione come rami secchi da tagliare. E se oggi i ricercatori dichiarano che sarà arduo trovare in tempi brevi un vaccino non è perché la loro abnegazione sia insufficiente, ma perché «in un'emergenza è difficile trovare soluzioni se non ci sono stati investimenti prima» (così il virologo D. Lembo, in un'intervista a Repubblica Torino del 25 marzo).
C'è qualcosa di disperato nelle parole di chi sembra quasi suggerire l'esistenza di un nesso causale tra l'aumento delle morti (che in certe zone avvengono in casa e non sono neppure conteggiate) e le troppe persone che fanno sport all'aperto o portano a spasso il cane. E che invocano l'esercito come panacea per tutti i mali. Christopher Lasch scriveva che la disperazione non è una buona maestra, essendo spesso solo l'altra faccia del vacuo ottimismo di chi ‒ passata la buriana ‒ continuerà imperterrito sulla vecchia strada. Speriamo che a guidare la politica nelle scelte cruciali di questi giorni non sia la disperazione, ma la fredda consapevolezza della serietà della sfida che si è aperta. Pur contenendo «misure condivisibili», secondo Giulio Marcon, economista di "Sbilanciamoci", il decreto "Cura Italia" è ben lungi dal rappresentare il salto di qualità che sarebbe necessario. Non c'è traccia di quel piano straordinario di investimenti pubblici che ‒ non da ora ‒ sarebbe necessario anche solo per raggiungere il livello di spesa di Francia e Germania in servizi sanitari, ricerca, istruzione. In particolare, i fondi destinati ad assumere (a tempo indeterminato) personale medico e sanitario sono ancora estremamente modesti (cfr. http://sbilanciamoci.info/il-governo-di-fronte-all-emergenza-coronavirus/?spush=dmFsZW50aW5hLnBhemVAdW5pdG8uaXQ=). Eppure è dalle scelte di oggi e dei prossimi giorni che dipenderà se la prossima pandemia ci troverà preparati o se tutto si ripeterà nello stesso modo. E se, pandemie a parte, saremo capaci di rivedere la nostra scala di priorità, mettendo al primo posto ‒ come prevede la Costituzione ‒ i diritti delle persone, anziché il mercato.
(Tratto da Valentina Pazé, "Volerelaluna" del 27/3/20)
Chi non sa restare solo tema la comunità
Venendo alla vita concreta delle nostre comunità, sarà bene che facciamo i conti con una pagina molto esplicita ed ammonitrice di Dietrick Bonhoeffer nel suo libro ‟La vita comune", Brescia 1969:
«A te, o Dio, nel raccoglimento sale la lode in Sion» (Sal. 65:2). Molti cercano la comunione per paura della solitudine. Siccome non sanno più rimanere soli, sono spinti in mezzo agli uomini. Anche cristiani che non riescono a risolvere i loro problemi, sperano di trovare aiuto dalla comunione con altri. Di solito, poi, sono delusi e rimproverano alla comunità ciò che è colpa loro. La comunità cristiana non è una casa di cura per lo spirito; chi, per sfuggire se stesso, entra nella comunità, ne abusa per chiacchiere e distrazione, per quanto spirituale possa sembrare il carattere di queste chiacchiere e di questa distrazione. In realtà egli non cerca affatto comunione, ma l'ebbrezza che possa fargli dimenticare per un momento la sua solitudine, e proprio così crea la solitudine mortale dell'uomo. Il risultato di simili tentativi di guarigione sono la disgregazione della Parola e di ogni reale esperienza e, infine, rassegnazione e morte spirituale.
«Chi non sa rimanere solo tema la comunità». Infatti egli arrecherà solo danno a sé e alla comunità. Se ti sei trovato di fronte a Dio quando ti ha chiamato, solo hai dovuto seguire la sua chiamata, solo hai dovuto prendere su di te la tua croce, lottare e pregare solo, e solo morrai e renderai conto a Dio. Non puoi sfuggire a te stesso; infatti è Dio che ti ha scelto. Se non vuoi restare solo, respingi la vocazione rivolta te da Cristo e non partecipare alla comunione degli eletti. «Siamo tutti destinati a morire e nessuno potrà morire per l'altro, ma ognuno dovrà lottare personalmente per sé con la morte… e io non sarò con te e né tu con me» ( Lutero).
Ma vale pure il contrario: «chi non sa vivere nella comunità si guardi dal restare solo». Tu sei stato chiamato alla comunità, la vocazione non è stata rivolta a te solo; nella comunità degli eletti porti la tua croce, lotti e preghi con loro. Non sei solo nemmeno nella morte, e al giudizio universale sarai solamente un membro della grande comunità di Gesù Cristo. Se sdegni la comunione con i fratelli, rifiuti la chiamata di Gesù Cristo e la tua solitudine non può che portarti male. «Se devo morire non sono solo nella morte, se soffro, essi [la comunità] soffrono con me» (Lutero). Riconosciamo che possiamo rimanere soli, soltanto se siamo inseriti nella comunità dei credenti, e solamente chi è solo può vivere nella comunità. Ambedue le cose vanno insieme. Solo nella comunità impariamo a vivere come si deve, e solo essendo soli impariamo a inserirci bene nella comunità. Una cosa non precede l'altra: ambedue incominciano insieme, cioè con la chiamata di Gesù Cristo. Ognuna delle due presa a sé ci mette di fronte a profondi abissi e gravi pericoli. Chi desidera comunione senza solitudine, precipita nella vanità delle parole e dei sentimenti; chi cerca la solitudine senza la comunità perisce nell'abisso della vanità, dell'infatuazione di se stesso, della disperazione.
Ma vale pure il contrario: «chi non sa vivere nella comunità si guardi dal restare solo». Tu sei stato chiamato alla comunità, la vocazione non è stata rivolta a te solo; nella comunità degli eletti porti la tua croce, lotti e preghi con loro. Non sei solo nemmeno nella morte, e al giudizio universale sarai solamente un membro della grande comunità di Gesù Cristo. Se sdegni la comunione con i fratelli, rifiuti la chiamata di Gesù Cristo e la tua solitudine non può che portarti male. «Se devo morire non sono solo nella morte, se soffro, essi [la comunità] soffrono con me» (Lutero). Riconosciamo che possiamo rimanere soli, soltanto se siamo inseriti nella comunità dei credenti, e solamente chi è solo può vivere nella comunità. Ambedue le cose vanno insieme. Solo nella comunità impariamo a vivere come si deve, e solo essendo soli impariamo a inserirci bene nella comunità. Una cosa non precede l'altra: ambedue incominciano insieme, cioè con la chiamata di Gesù Cristo. Ognuna delle due presa a sé ci mette di fronte a profondi abissi e gravi pericoli. Chi desidera comunione senza solitudine, precipita nella vanità delle parole e dei sentimenti; chi cerca la solitudine senza la comunità perisce nell'abisso della vanità, dell'infatuazione di se stesso, della disperazione.
Covid-19: "avvolti dalla morte nel bel mezzo della vita"
Il cap. 2 versetto 7 della Genesi ci dice: "allora il Signore plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente".
Il racconto ci informa che l'uomo viene plasmato con elementi naturali, ossia la polvere del suolo; ne deriva che gli esseri umani, pro vengono dal di dentro della terra, non sono al di sopra della natura.
Ciò che rende l'uomo però un essere vivente, ci dice il libro della Genesi, è l'alito di vita che il Signore soffia nelle sue narici. Attraverso l'alito l'uomo partecipa dell'essere di Dio, condivide la sua vita. L'alito che viene soffiato, l'ebraico usa il termine nefeš, è un principio creatore dal quale scaturisce la vita. La vita comincia sempre inspirando: i bimbi, appena nati, vengono sculacciati affinché i loro polmoni si riempiano d'aria.
Ciò che rende l'uomo però un essere vivente, ci dice il libro della Genesi, è l'alito di vita che il Signore soffia nelle sue narici. Attraverso l'alito l'uomo partecipa dell'essere di Dio, condivide la sua vita. L'alito che viene soffiato, l'ebraico usa il termine nefeš, è un principio creatore dal quale scaturisce la vita. La vita comincia sempre inspirando: i bimbi, appena nati, vengono sculacciati affinché i loro polmoni si riempiano d'aria.
L'azione del respirare rende possibile e conserva la vita, la trasmette e l'attualizza in tutte le sue espressioni. Gli stati emozionali sono spesso associati ad una modifica del ritmo respiratorio: avere il fiato corto per la paura di un qualcosa che sopraggiunge improvviso, per una fatica….
La vita comincia quindi inspirando e termina espirando. Alla fine si spira, si esala l'ultimo respiro, riconsegnandolo, secondo il racconto della Genesi, a colui che ha alitato un soffio nelle narici dell'uomo.
Tra il primo e l'ultimo respiro si gioca tutta la nostra esistenza. Nel bel mezzo della nostra vita, precisamente gli ultimi mesi del 2019 e i primi del 2020 un virus, detto Covid -19, invisibile ed impercettibile sta tentando di toglierci il respiro, anzitempo. Rischiamo quindi di essere precocemente, come diceva Lutero: "avvolti dalla morte nel bel mezzo della vita". Questo virus non risparmia nessuno, ciascuno di noi potrebbe essere avvolto dalla morte nel bel mezzo della vita, che improvvisa sopraggiunge paralizzandoci i polmoni e facendoci esalare l'ultimo respiro.
Riflettiamo poco su questa funzione basilare. Il respiro rende possibile la vita. Questa sosta forzata nelle nostre case potrebbe essere l'occasione per renderci consapevoli che il respiro rende il nostro essere "vivente" e smetteremo, forse, superata la pandemia, di vivere in apnea le relazioni, il lavoro, l'ordinarietà, la straordinarietà.
Il respiro in fondo è l'unica cosa che ci accomuna, respiriamo tutti la stessa aria e se ci viene a mancare a causa del Covid-19 oggi, dei virus dell'indifferenza, dell'ipocrisia, del tornaconto domani, la morte avvolgerà nel bel mezzo della vita la nostra salute, la nostra economia, la nostra socialità.
Questa esperienza dolorosa ci aiuterà, forse, a distinguere meglio tra ciò che è importante e ciò che è futile. A capire che il respiro è la nostra risorsa più preziosa.
La vita comincia quindi inspirando e termina espirando. Alla fine si spira, si esala l'ultimo respiro, riconsegnandolo, secondo il racconto della Genesi, a colui che ha alitato un soffio nelle narici dell'uomo.
Tra il primo e l'ultimo respiro si gioca tutta la nostra esistenza. Nel bel mezzo della nostra vita, precisamente gli ultimi mesi del 2019 e i primi del 2020 un virus, detto Covid -19, invisibile ed impercettibile sta tentando di toglierci il respiro, anzitempo. Rischiamo quindi di essere precocemente, come diceva Lutero: "avvolti dalla morte nel bel mezzo della vita". Questo virus non risparmia nessuno, ciascuno di noi potrebbe essere avvolto dalla morte nel bel mezzo della vita, che improvvisa sopraggiunge paralizzandoci i polmoni e facendoci esalare l'ultimo respiro.
Riflettiamo poco su questa funzione basilare. Il respiro rende possibile la vita. Questa sosta forzata nelle nostre case potrebbe essere l'occasione per renderci consapevoli che il respiro rende il nostro essere "vivente" e smetteremo, forse, superata la pandemia, di vivere in apnea le relazioni, il lavoro, l'ordinarietà, la straordinarietà.
Il respiro in fondo è l'unica cosa che ci accomuna, respiriamo tutti la stessa aria e se ci viene a mancare a causa del Covid-19 oggi, dei virus dell'indifferenza, dell'ipocrisia, del tornaconto domani, la morte avvolgerà nel bel mezzo della vita la nostra salute, la nostra economia, la nostra socialità.
Questa esperienza dolorosa ci aiuterà, forse, a distinguere meglio tra ciò che è importante e ciò che è futile. A capire che il respiro è la nostra risorsa più preziosa.
(tratto da Nicola Martinelli, nicolamartinelli@hotmail.com)
Psichiatria, il tempo delle camicie di forza
Nel numero di marzo di "Le Monde diplomatique" compare questo studio che analizza la psichiatria francese in questi ultimi anni.
L'abbandono della visione umanista della follia e della cura, che si era sviluppata nel dopoguerra, ha fatto precipitare la crisi della psichiatria.
È tornato il tempo della contenzione e dell'isolamento e sempre più spesso si assiste a gravi violazioni dei diritti dei pazienti. Il personale ospedaliero reclama dei mezzi per porre fine ai maltrattamenti.
La scienza non è in grado di fornire una spiegazione globale della follia. Anche la psichiatria statunitense lo riconosce. Lo testimonia un recente articolo dei ricercatori Caleb Gardner e Arthur Kleinman, pubblicato sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine. «Le nuove scoperte nel campo della genetica e delle neuroscienze sono entusiasmanti, scrivono, ma sono ancora molto lontane dall'offrire un aiuto reale alle persone in carne e ossa negli ospedali, nelle cliniche e negli ambulatori. Data la complessità degli esseri umani, questo scarto non sorprende».
E per essere chiari aggiungono: «La psichiatria biologica non è riuscita finora a produrre un modello teorico completo di un disturbo psichiatrico maggiore» (7). Nel 2013, l'ultima versione della Bibbia della psichiatria statunitense, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dms-5), ha sostituito quella del 2000, con la speranza che vi potessero figurare i marcatori della schizofrenia. Niente di fatto. Da un lato, si vorrebbe che la scienza spiegasse tutto; dall'altro, non riesce a risolvere nulla, il che alimenta la paura e i comportamenti arcaici nei confronti della follia.
La paura arcaica del folle
Dopo la faccia scientista, la faccia gestionale. Per decenni, la malattia mentale è stata considerata un peso finanziario: non si «ripara» un lavoratore affetto da schizofrenia. Perché, allora, spendere così tanti soldi quando il «ritorno sull'investimento» è poco probabile? Di conseguenza, nel corso degli anni la psichiatria è stata riorganizzata. Per esempio, si è assistito a un crescente ritorno all'accettazione per patologia - mentre in precedenza la psichiatria di settore, prima di fare una diagnosi, riceveva delle persone, qualunque fosse la loro condizione.
Allo stesso modo, le strutture sono state fuse per «mutualizzare» le risorse, creando dei «centri territoriali» necessariamente più affollati e… più lontani dai pazienti. La gestione della crisi del paziente è stata affidata all'ospedale, il che ha portato alla politica del laccio emostatico: ospedalizzazione, dimissioni sempre più rapide, ritorno qualche tempo dopo e così via... La «gestione» dei malati cronici, invece, è stata sempre più affidata alle associazioni. Si sta cercando di ricorrere anche ai medici di famiglia.
I direttori delle strutture non sono più psichiatri, ma manager, dei «capi», come ha affermato Nicolas Sarkozy in un discorso pronunciato in un ospedale di Antony nel 2008, quando era presidente della Repubblica.
Come si può curare, nel senso umanistico del termine, se l'istituzione si disinteressa dell'assistenza e si dedica solo alla gestione finanziaria? Il delirio gestionale sta soffocando il personale, che non ce la fa più a passare il tempo a inserire dati senza sapere bene a cosa servono. Tutto tempo che non possono trascorrere con i loro pazienti.
Infine, c'è la faccia della sicurezza. La pericolosità è tornata in superficie. Nel suo discorso di Antony, Sarkozy ha insistito sulla pericolosità dei malati di mente. «Il mio dovere, ha detto al personale presente, è anche quello di proteggere la società e i nostri connazionali» - i suoi successori, d'altronde, - non lo hanno contraddetto. Le conseguenze di questo approccio sono state spaventose. Da un lato, sono stati sbloccati 70 milioni di euro per la realizzazione di sistemi di sicurezza, l'assunzione di vigili e la creazione di nuove camere di isolamento. Cosa ancora più grave, i malati di mente sono ormai considerati delle persone di cui diffidare, in preda a «esplosioni di violenza imprevedibili e improvvise», secondo le parole dell'ex presidente. Questo non ha fatto che rafforzare la paura arcaica nei confronti delle «folle».
Ormai, quando qualcuno arriva in ospedale, una volta placata la crisi a colpi di iniezioni gli si chiede qual è il suo «progetto di vita». Sarà poi pregato di fare lo sforzo di «rimettersi in sesto» realizzando questo progetto. Se non ci riesce - ed è il caso della maggior parte dei pazienti, soprattutto se soffrono di una patologia grave -, se è «inadeguato», come dicono i dirigenti quando parlano di questi malati, andrà ad aggiungersi a quelli che devono essere monitorati. Non siamo più nel campo dell'assistenza, ma in quello della gestione della popolazione.
Scientismo e psichiatria farmaceutica, abbandono e reificazione del paziente, delirio gestionale, miseria materiale, fine della riflessione sulla follia... tutto questo porta a una perdita di senso. Gli operatori si sentono impotenti e non sanno più per quale motivo lavorano; gli interni non scelgono più la psichiatria; altri preferiscono accontentarsi della libera professione. I processi di banalizzazione del male che portano alla barbarie e agli orrori denunciati da Hazan sono sotto gli occhi di tutti.
Ormai, quando qualcuno arriva in ospedale, una volta placata la crisi a colpi di iniezioni gli si chiede qual è il suo «progetto di vita». Sarà poi pregato di fare lo sforzo di «rimettersi in sesto» realizzando questo progetto. Se non ci riesce - ed è il caso della maggior parte dei pazienti, soprattutto se soffrono di una patologia grave -, se è «inadeguato», come dicono i dirigenti quando parlano di questi malati, andrà ad aggiungersi a quelli che devono essere monitorati. Non siamo più nel campo dell'assistenza, ma in quello della gestione della popolazione.
Scientismo e psichiatria farmaceutica, abbandono e reificazione del paziente, delirio gestionale, miseria materiale, fine della riflessione sulla follia... tutto questo porta a una perdita di senso. Gli operatori si sentono impotenti e non sanno più per quale motivo lavorano; gli interni non scelgono più la psichiatria; altri preferiscono accontentarsi della libera professione. I processi di banalizzazione del male che portano alla barbarie e agli orrori denunciati da Hazan sono sotto gli occhi di tutti.
Questa è la crisi del nostro mondo. Non si tratta solo dei folli. Il loro statuto, come sempre, fornisce un indicatore di ciò che accade nel profondo della società. La negazione dell'essere umano è all'opera e sta aprendo un abisso davanti a noi.
Come ha scritto il filosofo Henri Maldiney, «l'uomo è sempre più assente dalla psichiatria, ma in pochi se ne rendono conto perché è sempre più assente anche dall'uomo (8)».
(Traduzione di Federico Lopiparo, "Le monde diiplomatique", marzo 2020)
Preghiera per questi giorni
Signore, Aiuta ogni donna e ogni uomo a non cedere alla rassegnazione e continare a inseguire nel quotidiano il Tuo sogno di giustizia e di pace.
Aiutaci, o Dio, a fare della nostra vita un luogo di rinascita e di lotta, perché in questo momento di smarrimento, il mondo diventi più giusto e più umano.
Concedi a noi di poter ancora sognare, non per fuggire dalle nostre responsabilità,
ma per lavorare ogni giorno nel Tuo regno.
Mantieni salda nei nostri cuori, o Dio, e soprattutto nella vita e nel cuore di tante persone ferite, la fiducia che non si lotta mai invano e che la notte più buia, non impedirà il sorgere del sole.
Fiorentina
19 marzo: basta con la fabbrica dei burattini
Con un po' di ritardo rispetto alla data del calendario, voglio fare memoria di un uomo "giusto" ( Matteo 1,19) che nella chiesa cattolica viene celebrato nel giorno della festa di San Giuseppe. Tolgo subito il santo e metto il giusto secondo la dizione biblica.
Siccome la nostra fede deve essere consapevole e adulta e informata, sento il dovere morale non di santificare ma di fare memoria di questo uomo giusto, come dice il Vangelo la cui vita reale è stata violentata dalla tradizione cristiana.
La storia dice poche cose certe e reali di Giuseppe, ma quando si dogmatizzò la verginità perpetua di Maria, Giuseppe diventò quell'anziano padre putativo, una parvenza di padre in una famiglia di cugini e di fratelli strani, con una seconda moglie che lui amava spiritualmente senza alcuna intimità sessuale. Il Giuseppe reale, uomo, vero sposo di Maria e padre di una numerosa famiglia, come infiniti studi hanno documentato, scompare dietro quel personaggio un po' da impotente, un po' da tonto, che gli angeli menano per il naso e che si arrende al mistero andando a lavorare lontano da casa per arrivare poi e trovarsi la sorpresa della moglie incinta.
In verità, se dovessi soffermarmi su tutta la letteratura apocrifa e devozionale, dall'arte alla letteratura, verrebbe fuori quel vecchietto di cui avrei da raccontarvi per una settimana.
Ma io non sono un esperto della vita dei santi; anzi detesto le santificazioni.
Sta di fatto che nel secondo millennio cominciarono le raccolte delle reliquie: la cintura, il bastone, alcuni bastoni, l'anello nuziale, le bende che Giuseppe usava per fasciare Gesù, un'infinità di mantelli.... Insomma si scatena la ricerca delle reliquie che arrivavano da Gerusalemme e i primi ricordi addirittura da Nicea, finché nel secondo millennio nacque sempre di più un devozionalismo rispetto alla figura di Giuseppe e nacquero nel 1700-1800 parecchie congregazioni che sentivano nell'uomo Giuseppe il giusto, un uomo affidabile che avrebbe vissuto in perfetta castità, sottomesso, gran lavoratore, umile ed accogliente anche di fronte al "mistero" della nascita di questo figlio Gesù.
Negli ultimi secoli poi, quanto più si sviluppò e si deteriorò la mariologia fino a diventare mariolatria sessuofobica, tanto più si sviluppò il giosefismo come devozione al casto custode di Maria e di Gesù.
Il castello crebbe a dismisura.
Giuseppe diventò il patrono della chiesa cattolica fino a diventare il patrono della festa dei lavoratori. Ce ne sarebbe da dire e da ridire..... Ma che cosa voglio sottolineare in positivo come sempre? Il dogma quando viene posto contro la storia violenta le persone. Questo papà di Gesù, questo sposo di Maria, va riscoperto nella sua vita e nel suo impegno di testimonianza: un uomo semplice, l'elogio di un uomo giusto, non del santo.
Noi abbiamo bisogno nella sequela di Gesù di una vita reale, con persone reali, non dissanguate, desessualizzate e rese ridicoli immaginari.
La fede non nega la realtà, ma valorizza ogni persona. Non facciamo i santi facciamo semplicemente l'uomo e la donna che siamo, cercando la fedeltà al Vangelo, alla giustizia e alla pace.
Questo Giuseppe in carne e ossa è la persona da riscoprire. Provo sempre un certo sgomento quando vedo che, per creare un dogma, si falsifica e si cancella una persona. Ho voluto darvi questa breve documentazione per dimostrare ancora una volta che, mentre i santi si fabbricano nei creativi laboratori dell'istituzione ecclesiastica, gli uomini giusti come Giuseppe di Nazareth vivono con i piedi per terra e meritano il nostro ricordo perché hanno vissuto e creduto in Dio dentro il piccolo quotidiano. La fede adulta ha il compito di far crescere uomini e donne nella vita piena e libera e non sopporta che le gerarchie cattoliche fabbrichino dei burattini pii ed esangui.
Franco Barbero (trasposizione dal racconto orale del 20 marzo a cura di Franca Gonella)
DALLA NOSTRA COMUNITA'
- Siamo partecipi di questa stagione e corriamo il rischio di rinchiuderci nello nostre paure o preoccupazioni. Ma soprattutto stiamo pensando: che cosa possiamo fare per un futuro altro?
- Resta l'opportunità di approfondire un po' la nostra cultura e di alimentare più intensamente la nostra fede nutrendola di preghiera, di silenzio, di lettura biblica.
- Ai tanti libri che in questo tempo possono esserci utili possiamo aggiungere:
Ortensio da Spinetoli, "La prepotenza delle religioni", ed. Chiarelettere.
Gabriella Caramore, "La parola di Dio", ed. Einaudi.
Paola Cavallari, "Non sono la costola di nessuno", ed. Gabrielli.
Adriana Destro e Mauro Pesce, "L'uomo Gesù", ed. Mondadori.
Antonio Guagliumi, "Buone notizie dal Gesù storico", ed. Il mio libro
Gabriella Caramore, "La parola di Dio", ed. Einaudi.
Paola Cavallari, "Non sono la costola di nessuno", ed. Gabrielli.
Adriana Destro e Mauro Pesce, "L'uomo Gesù", ed. Mondadori.
Antonio Guagliumi, "Buone notizie dal Gesù storico", ed. Il mio libro
- Buona lettura anche del numero speciale di "Insonnia" che raccoglie molte e diverse riflessioni aul presente che stiamo vivendo e sul futuro.
- Franco ha lanciato l'idea di raccogliere in un libro almeno un centinaio di preghiere da lui composte. Guido Piovano, Franca Gonella, Maria Grazia Bondesan hanno comunicato la loro disponibilità.
- Chiunque abbia riflessioni e preghiere da mettere in circolo sul blog di Franco, lo faccia. Così favoriamo questo scambio e facciamo crescere la nostra personale capacità creativa mettendola a frutto per la comunità dei lettori e delle lettrici.
- La comunità è fatta di vicinanza, sempre più preziosa nei tempi della nostra necessaria distanza fisica.
- Angelo Paoletti ci comunica che è guarito. Evviva!! Attendiamo le ultime notizie sulla salute del vescovo Derio che abbiamo ricordato con tanto affetto in queste settimane.
Il nostro notiziario
Grazie alla spedizione via e-mail abbiamo ridotto il numero di copie cartacee del notiziario. Per ricevere il notiziario via e-mail contattare Francesco (320-0842573).
- Franca Avaro: 339-8426075
- don Franco Barbero: 0121-72857; e-mail: donfrancobarbero24@gmail.com
- Fiorentina Charrier: 339-4018699; e-mail: francoefiore3@gmail.com
- Ada Dovio: 340-4738130
- Francesco Giusti: 320-0842573; e-mail: fragiu0168@gmail.com
- Franca Gonella: 338-5622991
- Ines Rosso: 339-8310247
