martedì 7 aprile 2020

Don Ciotti
"Appendino ha ragione attenzione al virus dell'odio"


«Nelle situazioni di crisi, con il diffondersi di paure e rancori, può riproporsi la logica del capro espiatorio». Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, condivide le preoccupazioni sul rischio di una "caccia all'untore", affidate a un'intervista a Repubblica della sindaca Chiara Appendino: «Concordo - dice - E aggiungo che non dobbiamo permettere al virus delle relazioni di continuare a diffondersi».
Cos'è il virus delle relazioni?
«È antecedente il "coronavirus" e può manifestarsi in vari modi: come risentimento, odio, ma anche, quando torna comodo, indifferenza, silenzio, neutralità e vile ritiro dalla responsabilità».
La sindaca sostiene che non sia il momento della caccia all'untore. Concorda?
«Non è mai il momento della "caccia all'untore". Caccia che si rivela sempre persecuzione di deboli e spesso d'innocenti. La giustizia è compito dello Stato, anche e soprattutto nelle situazioni di crisi. Questo è il momento della riflessione e della responsabilità. Ognuno è chiamato a fare la sua parte per tutelare la propria e l'altrui vita. Le riflessioni di Appendino sono misurate, ispirate dal buon senso. Parole come ci si attende da un sindaco, un punto di riferimento collettivo, che associo, su un altro piano, a quelle del vescovo Cesare Nosiglia, che in una lettera ai sacerdoti della Diocesi ci richiama all'essere pastori, padri e amici di una comunità segnata dalla paura e dal dolore dei tanti che hanno perso i loro cari».
Perché tanti usano i "social" per additare gli altri?
«Non avremo vinto del tutto la battaglia contro il "coronavirus", se permetteremo al virus delle relazioni di continuare a diffondersi».
È preoccupato del clima che si sta creando?
«Un po' di preoccupazione c'è. Ma confido che chi, a vari livelli, è chiamato a questa delicatissima responsabilità, sappia gestire la crisi nel migliore dei modi. E più in generale confido nella capacità delle persone di reagire se opportunamente ascoltate, accompagnate e sostenute. Per questo abbiamo deciso come Gruppo Abele di tener aperte, seppur con tutte le precauzioni del caso, le nostre accoglienze. Ci sono tante persone che oggi non possono "stare a casa" perché una casa non ce l'hanno».
Si uscirà ancora più divisi e rabbiosi da questa crisi? «Dobbiamo uscirne più consapevoli. E dunque più uniti e solidali. La solidarietà che in varie forme vediamo in molte città non può essere estemporanea, dettata dall'emergenza. Deve entrarci nelle coscienze, perché in questo caso si tratta di un contagio di vita e non di morte. Ci potremo ritenere davvero "guariti" quando, superata l'emergenza, c'impegneremo tutti a costruire una società che sia innanzitutto, una comunità, una società non dell'io ma del "noi"».
Jacopo Ricca

 (la Repubblica 24 marzo)