venerdì 3 aprile 2020

Le questioni da risolvere dopo la tregua a Idlib
Metin Gurcan, Al Monitor, Stati Uniti

L'accordo raggiunto dalla Turchia e dalla Russia il 5 marzo per fermare la pericolosa escalation a Idlib, l'ultima roccaforte dei ribelli nel nordovest della Siria, è pieno di ambiguità su questioni fondamentali al centro del conflitto nella regione. Chiamato da alcuni Soči 2.0, in riferimento a quello firmato nel 2018 da Ankara e Mosca nella città russa, l'accordo potrebbe ridursi a un breve momento di tregua prima della ripresa del conflitto.
Dall'inizio di febbraio Ankara ha inviato circa 12mila soldati a Idlib per contrastare l'avanzata delle truppe del presidente siriano Bashar al Assad, che hanno intensificato l'offensiva sulla provincia all'inizio di gennaio, con il sostegno dell'aviazione russa. Nell'ultimo mese l'esercito turco ha allestito dodici nuovi avamposti nella regione, in aggiunta ai dodici punti d'osservazione militari creati in seguito all'accordo di Soči. Con l'aumento delle operazioni militari, il 27 febbraio l'esercito siriano ha attaccato un convoglio turco, uccidendo 36 soldati e scatenando la rappresaglia di Ankara. Tra il 29 febbraio e il 2 marzo l'esercito turco ha colpito obiettivi militari siriani.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha parlato al telefono con il presidente russo Vladimir Putin la mattina del 28 febbraio, mentre la Turchia era ancora scossa per quello che finora è stato l'attacco più duro contro le sue truppe in Siria. Anche se la telefonata non è riuscita a calmare la situazione sul terreno, sono cresciute le speranze che il vertice tra Erdoğan e Putin potesse fermare la crisi. Il presidente turco, che vuole trasmettere ai suoi cittadini l'immagine di uomo forte, sperava di ricevere Putin in Turchia, ma alla fine è stato lui ad andare a Mosca il 5 marzo, accompagnato da funzionari di alto livello. Le trattative, durate sei ore, hanno portato a un accordo di cessate il fuoco, che però ha lasciato irrisolte varie questioni cruciali. Per capire se saranno risolte, bisognerà osservare cosa succede sul terreno.
Il primo dubbio riguarda lo spazio aereo. Il 6 marzo, il primo giorno del cessate il fuoco, i cieli sono rimasti silenziosi, facendo pensare che la Russia avrebbe messo fine ai bombardamenti, come previsto dalla tregua. Questo avrebbe portato a un rallentamento delle offensive di terra da parte dell'esercito siriano e delle milizie filoiraniane, che hanno leadership, apparecchiature di comando, controllo e comunicazioni, e sistemi di difesa aerea indeboliti dagli attacchi turchi.
In realtà le operazioni turche all'inizio di marzo hanno diviso in due lo spazio aereo di Idlib. Usando droni armati, la Turchia è riuscita a garantirsi una sporadica supremazia aerea,anche se limitata ad altitudini ridotte, fino a dieci chilometri. Ma la Russia continua a imperversare ad alte e medie altitudini, e lo spazio aereo di Idlib resta inaccessibile a velivoli ed elicotteri turchi.

Nessuna garanzia
La seconda questione riguarda i gruppi radicali presenti a Idlib, in particolare come fargli accettare i termini dell'accordo e fargli consegnare le armi pesanti. Non è ancora chiaro se questi gruppi, che Mosca considera terroristi, rispetteranno il cessate il fuoco e, se lo faranno, quale diventerà il loro status. A giudicare dalle disposizioni relative alla fondamentale autostrada M4, nella zona meridionale della provincia di Idlib, la Russia avrebbe dato alla Turchia un'ultima possibilità d'imbrigliare i gruppi radicali che dominano la regione, innanzitutto Hayat tahrir al Sham. L'accordo prevede la creazione di un corridoio di sicurezza profondo sei chilometri a nord e altrettanti a sud della M4. L'accordo potrebbe prevedere in via confidenziale che la Turchia e i suoi alleati siriani lancino delle operazioni contro i gruppi radicali nelle zone sud e sudovest di Idlib, ma questo si scoprirà solo osservando gli sviluppi sul terreno.
Il problema dei profughi in Turchia è un altro punto rimasto in sospeso. Dopo l'attacco al convoglio turco, Erdoğan ha messo in atto la minaccia di liberare il flusso dei profughi in direzione dell'Europa, nel tentativo di placare l'opinione pubblica turca che, già scontenta della presenza di quattro milioni di siriani, ora vede i suoi soldati morire in Siria. Dall'inizio di febbraio a Idlib sono morti 56 soldati turchi e Ankara cerca di dare buone notizie ai suoi cittadini, sostenendo che la crisi dei profughi è ormai un problema di tutti e che il fardello della Turchia si è alleggerito. Ma l'accordo raggiunto con Putin non è affatto una garanzia contro un nuovo afflusso di profughi in direzione del confine o del territorio turco nel prossimo futuro.
Infine il destino dei punti d'osservazione turchi a est dell'autostrada M5 rimane poco chiaro, anche se Ankara sembra aver rinunciato alle sue pretese su questa via di comunicazione. Secondo fonti giornalistiche turche, gli avamposti, circondati dalle forze del governo siriano, sarebbero in stato precario, a corto di munizioni, carburante e forniture logistiche da quasi un mese. Queste voci suggeriscono che gli avamposti potrebbero essere gradualmente evacuati, senza provocare grandi reazioni in patria.
In breve, il vertice di Mosca ha evitato un conflitto convenzionale tra Turchia e Russia a Idlib, mettendo un freno, per ora, all'aumento degli scontri tra le forze siriane e turche. Il cessate il fuoco è in vigore, ma ci sono alte possibilità che duri poco e abbia scarsa rilevanza sul campo.
Con il corridoio di sicurezza lungo la M4 la Russia si sta frapponendo tra le forze siriane e turche per far diminuire le tensioni. Mosca ha lasciato che parte della M4 sia usata come via di approvvigionamento per la Turchia, sotto la sua supervisione congiunta con Ankara. Ma la misura potrebbe essere solo simbolica.
Il vertice di Mosca ribadisce la volontà della Russia di frenare le tensioni tra la Turchia e la Siria a Idlib, e questo è un elemento positivo. Eppure è difficile escludere la prospettiva che gli scontri riprendano dopo un paio di settimane di tregua. Inoltre bisogna ricordare che dalla fine di febbraio le milizie filoiraniane hanno inviato quasi mille combattenti a Idlib, per rimpiazzare le vittime dell'esercito siriano dell'ultimo mese. ff

(Internazionale, 13 marzo 2020)